«Faust: una ricerca sul linguaggio dell’Opera di Pechino»

di Susanna Sinigaglia   

 È stato davvero sorprendente questo spettacolo presentato al pubblico dell’Elfo, un Faust di Goethe riveduto e corretto per adattarlo ai canoni dello Jingju, termine con cui in cinese si indica l’Opera di Pechino. I personaggi sono ridotti a quattro, quanti sono i ruoli previsti dal canone: Sheng, termine con cui si designa il ruolo maschile; Jing, il ruolo maschile con il viso dipinto; Dan, il ruolo femminile; e Chou, il clown. Nel caso della nostra rappresentazione tuttavia, Faust e Mefistofele interpretano vari ruoli: così Faust prima è Sheng e poi Jing, Mefistofele è Chou ma nello svolgersi della performance anche Sheng e Jing mentre Margherita e Valentino, suo fratello, semplicemente Dan e Sheng. Tale sistema, come ci spiega la giovane e straordinaria regista tedesca Anna Peschke, può essere paragonato a quello della Commedia dell’Arte. Lo spettacolo, una coproduzione italocinese che prevede la presenza in scena di un’orchestra dal vivo composta da musicisti sia italiani sia cinesi, nasce dallo sforzo congiunto della Fondazione Emilia Romagna Teatro e della China National Peking Opera Company. I performer sono vestiti con abiti sgargianti e si esprimono, oltre che con la parola, con la danza, l’acrobatica e la mimica. Gli oggetti di scena sono ridotti al minimo e l’ambientazione è spesso descritta dal gesto degli attori.

L’opera di Goethe è condensata al massimo, resa essenziale; mancano infatti scene memorabili come quella della “Notte di Valpurga”, per esempio, e tutti i personaggi che Mefistofele e Faust incontrano nel loro viaggio. È comunque straordinaria la capacità di evocazione che traspira dall’interpretazione degli attori cui fa da contrappunto l’accompagnamento dell’orchestra, fra musica tradizionale cinese ed elettronica. Anche i testi recitati in cinese, questa lingua che a noi occidentali suona così strana, concorrono a creare un’atmosfera ammantata di favola, magia e mistero.

La vicenda di Faust è narrata in modo semplice e lineare.

All’inizio compare Mefistofele che parla con Dio e lo sfida: gli dimostrerà che anche il vecchio Faust, malgrado abbia dedicato tutta la vita alla ricerca della conoscenza – e magari proprio per questo – non saprà sfuggire alla tentazione se messo di fronte alla possibilità di trasgredire. Dio è sicuro del contrario e così gli concede il permesso di accostarsi a Faust che, nel frattempo, si dispera in quanto si è accorto che tutto il suo studio non l’ha portato a nulla, tanto meno ad arricchire la comprensione della vita, e sta per suicidarsi.

Ovviamente non lo farà e si lascerà tentare dall’offerta di Mefistofele: il ritorno alla giovinezza e il godimento in cambio della sua anima.

Segue quindi l’incontro con la dolce Margherita, l’incantesimo che ne provocherà l’innamoramento, in questo caso attraverso il dono di una collana da parte di Faust che a sua volta l’ha avuta da Mefistofele (nell’opera di Goethe, avviene in modo più complesso), la somministrazione di un potente sonnifero all’anziana madre di Margherita che ne provocherà la morte, il ritorno a casa di Valentino che sfida Faust a duello e ne viene ucciso.


Segue la fuga di Faust che abbandona Margherita e si dà al godimento dei piaceri attraverso il mondo, il suo improvviso senso di colpa che gli fa presentire la sorte della sventurata Margherita, andata fuori di senno e arrestata per aver annegato il figlioletto nato dalla loro relazione; l’incontro in carcere e il rifiuto di lei di fuggire con lui, accettando così la propria condanna a morte. A questo punto, nell’originale Faust si allontana dalla prigione con Mefistofele lasciando Margherita alla sua sorte; inizia quindi la seconda parte del dramma, dove Faust prosegue il viaggio e alla fine sarà redento in cielo, proprio – anche – per l’intercessione di Margherita.

Nella rappresentazione teatrale adottata da Li Meini e Anna Peschke invece l’opera si conclude con la disperazione di Faust. Poiché ne viene rappresentata solo la prima parte, non c’è finale consolatorio come nel lungo dramma originale. Solo e disperato era Faust all’inizio rendendosi conto di non aver raggiunto la conoscenza cercata, anche più solo e disperato è alla conclusione della sua parabola rendendosi conto di non aver raggiunto l’appagamento e la felicità attraverso il piacere. Ma forse proprio questa disperazione lo salva, sciogliendolo dal patto con Mefistofele che sarebbe stato rispettato a condizione che Faust avesse vissuto un momento così perfetto da desiderare di volerlo fermare per sempre.

È un finale che c’invita a riflettere tanto più oggi, in un momento in cui la ricerca senza limiti dei beni materiali rende cieca una civiltà occidentale circondata da tragedie che si ostina a non voler vedere.

Faust: una ricerca sul linguaggio dell’Opera di Pechino

Drammaturgia di Li Meini

Progetto e regia di Anna Peschke

per ulteriori informazioni, vedi al link:

https://www.elfo.org/stagioni/20162017/faust.html

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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