Femmina Accabadora

di Miriam Altea (*)

In seguito all’uscita del nuovo film intitolato ”l’Accabadora” di Enrico Pau , ho deciso di scrivere un articolo per farvi conoscere la storia di queste ”femmine”.

 

  • Cosa significa Accabadora?

Accabadora è un termine sardo con il quale si indica la figura, quasi misteriosa di una donna che uccideva persone anziane o comunque con gravi condizioni di malattia e salute, su richiesta dei familiari o della stessa ”vittima”. S’accabadora letteralmente ”colei che finisce”, probabilmente deriva in primis dallo spagnolo <<Acabar>> che significa finire e dal sardo <<s’acabbu>> ossia la ”fine” proprio perché il suo compito era quello di compiere una sorta, diremo oggi, di ”eutanasia”.  La presenza di queste figure all’interno delle piccole comunità sarde, è attestata da studi approfonditi e da valutazioni attente e accurate portate avanti all’interno di diocesi e musei sardi. Si è infatti accertato non solo l’esistenza di questa persona, ma anche una maggiore presenza di queste importanti figure in determinate zone della Sardegna quali la Gallura, Marghine e Planargia. Sebbene si possa pensare che il ruolo della Femmina Accabadora fosse inutile e crudele, non è affatto così. Per capire l’importanza assunta da quest’ultima, basta pensare alle condizioni di povertà dei ceti meno abbienti, i quali non potevano né permettersi le cure del moribondo né potevano permettersi il materiale per assisterlo. Il ruolo dell’Accabadora era quindi in un certo senso, necessario alla sopravvivenza del nucleo famigliare costituito molto spesso da un numero elevato di persone che si occupavano del sostentamento necessario alla vita di tutti i giorni.

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Ma andiamo al dunque.

  • Quando e come agiva l’Accabadora?

Alcuni sostengono che ”Sa femmina Accabbadora” si recasse durante la notte, nella casa del morente vestita di nero e con il viso coperto, e che uccidesse i moribondi tramite soffocamento con un cuscino . Altre testimonianze affermano che l’Accabadora uccidesse il malato tramite il ”mazzolu” cioè attraverso un colpo secco con un bastone di olivo o sulla fronte o sulla nuca. Sappiamo però che lo strumento più utilizzato, consisteva in un martello di legno ottenuto tagliando un ramo dal quale si dirama un ramo più piccolo che diventa il manico dell’oggetto. Accabadora

Ancora altri autori, non descrivono come strumento principale dell’accabadora una mazza, ma un piccolo giogo in miniatura che veniva poggiato sotto il cuscino del moribondo, al fine di alleviare la sua agonia.

I mezzi utilizzati da Sa Accabadora non erano comunque degli strumenti che permettessero una morte veloce e indolore. Difatti è famosa l’espressione proverbiale sarda “Ohi de Sa Accabadora” che probabilmente indica l’ultimo lamento del moribondo.

Una riflessione importante su questa figura, ci viene data dall’antropologo , il quale sostiene che il compito dell’Accabadora non fosse incentrato nell’atto fisico di porre fine alla vita, ma ella si doveva occupare di accompagnare al termine della agonia i moribondi tramite importanti riti di cui non abbiamo nessuna conoscenza.

Nonostante le varie fonti, alcuni storici e antropologi, ritengono che la femina accabadora non sia mai esistita, io lascio un po’ a voi la scelta e vi allego le fonti di cui mi sono servita. a_2_20121206_1353746687

Fonti

  • Michela Murgia, Accabadora 
  • Alessandro Bucarelli, Carlo Lubrano, Eutanasia ante litteram in Sardegna. Sa femmina accabbadòra. Usi, costumi e tradizioni attorno alla morte in Sardegna
  • Pier Giacomo Pala, Antologia della Femina Agabbadòra – tutto sulla Femina Agabbadòra” , 2010

(*) Posted on 6 maggio 2017 sul blog   Around the world  di Miriam Altea

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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