Ferdydurke – Witold Gombrowicz

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di Francesco Masala

Questo è un libro straordinario (fuori dall’ordinario), magari un po’ difficile (?), scritto a 33 anni, da uno scrittore polacco, nel 1937. (Witold è stato amico di Bruno Schulz).

Dice Kundera: “Considero Ferdydurke uno dei tre o quattro più grandi romanzi scritti dopo la morte di Proust” (sulla quarta di copertina) e “I bambini non sono l’avvenire perché un giorno saranno adulti, ma perché l’umanità si avvicina sempre di più a loro, perché l’infanzia è l’immagine dell’avvenire” (da qui ).
La storia è quella di un mondo che vuole rendere tutti bambini, ragazzini, immaturi, e oggi capiamo quanto queste cose scritte più di 70 anni fa siano profetiche. Il protagonista è Gingio, su cui si tenta la “cura”.
Cito dal romanzo: “Non per vantarmi,” disse il preside con orgoglio, “ma il nostro è un corpo selezionato con cura, quanto di più spiacevole e scostante possa offrire il mercato. Non un solo corpo simpatico, tutti corpi pedagogici, come può ben vedere; e le poche volte che mi trovo costretto ad assumere un insegnante giovane, faccio sempre in modo che abbia una caratteristica repellente.”…
…”… Ma hanno il tatto, l’esperienza e la consapevolezza per una missione importante come l’insegnamento?”
“Sono i migliori cervelli della capitale,” replicò il preside. “Non ce n’è uno che abbia un’idea sua. Se proprio a qualcuno dovesse venirgliene una, ci penserei io a far sloggiare l’idea o l’ideatore. Sono nullità innocue, insegnano solo quello che c’è nei programmi scolastici! No, no, nessun pericolo che gli venga un’idea originale.”
Non perdetevi questo grande romanzo, questa profezia, questo oggetto divertent’inquietante.

Inizia così:
Quel martedì mi svegliai nello smorto evanescente attimo quando la notte vera e propria è ormai finita e l’alba non riesce ancora a farsi strada. Destato di soprassalto, stavo già per precipitarmi in taxi alla stazione pensando di dover partire. Mi ci volle un minuto buono per rendermi conto che nessun treno, ahimè, mi aspettava alla stazione, e che non era quella la mia ora. Giacevo in una luce lattiginosa, il corpo pervaso da una paura insopportabile che mi opprimeva angosciosamente l’anima, l’anima opprimeva il corpo e ogni infima fibra si torceva nel presentimento che niente sarebbe successo, niente cambiato, niente sopraggiunto e qualunque cosa avessi intrapreso il risultato sarebbe sempre stato zero via zero. Era il terrore di non esistere, la paura del non essere, l’ansia del non vivere, il timore della non realtà, l’urlo biologico di tutte le mie cellule davanti alla lacerazione, alla dispersione, allo sparpagliamento interiore…

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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