Fernando Eros Caro nel braccio della morte – 3

Un altro racconto ripreso da «Saai Maso» (*)

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Alejeme che amava Hiapsi Bwika

Ci sono due tipi di bakot (serpenti), uno buono e l’altro cattivo. I serpenti sono abili cacciatori e sanno interpretare la psiche delle loro prede. Essi esistono sin dalla creazione di Yoania, il mondo incantato. Il serpente cattivo ha capacità ammaliatrici e il potere di catturare la volontà degli esseri umani.

C’era una volta un giovane hiak (Yaqui) di nome Alejeme, pazzamente innamorato di una bella fanciulla del suo popolo. Lei si chiamava Hiapsi Bwika, cioè “canzone del cuore”. Egli l’amava così tanto che nelle calde e tranquille sere d’estate era solito suonare con il suo baka kusia (flauto) una soave melodia d’amore. E la musica, attraverso la quiete notturna, arrivava a toccare il centro del cuore della fanciulla.

Si innamorarono profondamente e si sposarono. Erano così felici di stare insieme che quando uno dei due era via, l’altro si struggeva in attesa del ritorno, finché non erano di nuovo insieme.

Un giorno accadde che lei si ammalò e morì. Alejeme si disperò, così tanto da non riuscire più a mangiare. Divenne triste e inconsolabile per aver perduto il suo amore. Finché, una notte, successe qualcosa di strano: c’era un’aria tiepida e non si sentivano rumori, neppure quelli degli yoawa, cioè gli animali selvatici, gli uccelli e gli insetti, e al ragazzo parve di sentire una voce famigliare, che si faceva sempre più chiara e sembrava proprio quella di Hiapsi Bwika. La Mecha (luna) era piena, ed egli si incamminò nella direzione della voce. Era molto emozionato ma più ancora desiderava rivedere la sua sposa.

Arrivò ai piedi di una tenhawe (montagna che sbadiglia) e trovò una kueva (caverna) con un grande ingresso. La voce femminile veniva dall’interno dell’antro, ed era come se lo invitasse ad entrare. Egli si affacciò, entrò nella grotta, piano piano fece alcuni passi, e finalmente la vide. Di corsa si precipitò per abbracciarla ma Hiapsi Bwika, di colpo, si trasformò in un bakot, un serpente molto, molto grande! Alejeme si rese subito conto del suo sbaglio e si precipitò fuori a tutta velocità.

Corse, corse senza fermarsi mai, ma ogni volta che si voltava indietro, poteva vedere il bakot che lo seguiva senza sosta. Fuggì a perdifiato fino a raggiungere un sentiero fitto di pitahayas (cactus) sempre sperando di seminarlo.

Scalò alte montagne, attraversò acque profonde, invano: la bestiaccia era costantemente alle sue calcagna. Poi, casualmente, incontrò un maso (cervo) e chiese al saggio animale di aiutarlo. Il maso gli rispose: «In primo luogo, non avresti dovuto andare nella grotta. Specialmente in una notte di luna piena, quando i bakot hanno molto potere».

Alejeme replicò: «Ma io avevo sentito la voce della mia sposa e non ho saputo resistere, perché lei mi manca proprio tanto».

«No, non posso aiutarti – ribatté il cervo – ma c’è una brujo (strega) che vive qui vicino. Forse lei potrà esserti utile».

Alejeme corse fino alla casa della potente strega e le raccontò cos’era successo, aggiungendo che il bakot non era troppo lontano da lui. Lei fu disposta ad aiutarlo e, senza esitazione, tramutò il giovane in una nuvola e lo spedì a scorrazzare nel cielo.

Quando il bakot arrivò alla casa della brujo, chiedendole dove fosse andato il giovane, lei puntò subito un dito verso l’alto. Il serpente volle essere tramutato anch’esso in una nuvola e lanciato verso il cielo. La vecchia acconsentì, senza battere ciglio, perché era una strega cattiva.

Così, se ti capita di alzare gli occhi e di vedere due nuvole a spasso per il cielo, che si rincorrono sospinte dal vento, significa che il bakot è ancora lì che dà la caccia ad Alejeme.

Questa è la fine della storia.

Il serpente è il simbolo del legame con la terra, della sottomissione di ognuno ai fardelli della vita. La nuvola è il simbolo della liberazione dello spirito da questa schiavitù. Camminare lungo il sentiero della vita significa comprenderne il significato e seguire la propria felicità.

(*) Questo è un altro dei brevi racconti, ripresi dalla cultura yaqui, che Fernando Eros Caro ha inviato tempo fa a Marco Cinque dal braccio della morte di San Quentin dove si trova da più di 25 anni. Sono stati pubblicati nel libro «Saai Maso (Fratello Cervo)» che è ormai esaurito. Come racconta Marco Cinque «la pubblicazione venne fatta da Wicasa, un’associazione di Cave, vicino Roma, che aveva indetto un torneo di calcetto dedicato a Fernando, i cui proventi sono andati proprio a coprire le spese di stampa. Una bella cosa, no? Volendo è possibile ordinarne copie dal sito de ilmiolibro.it, perché ne avevo realizzata anche un’auto-pubblicazione; a questo link http://ilmiolibro. kataweb.it/schedalibro.asp?id=540587». Se cercate altre notizie su Fernando Eros Caro ricordate che qui in “bottega” di lui si è parlato più volte.

 

Redazione
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Un commento

  • Giuseppe Lodoli

    Si’, Nendy oltre che un pittore è un poeta.
    C’è il partito di quelli che lo preferiscono come poeta, c’è il partito di quelli che lo preferiscono come pittore… Nessuno dei due partiti avrà mai la meglio sull’altro.

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