Fernando Eros Caro nel braccio della morte – 5

«Mariposa» (la farfalla): un racconto ripreso da «Saai Maso» (*)

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La mariposa (farfalla) è uno spirito buono che assume le sembianze di un serpentello con le ali. Le persone amano teneramente i colori bellissimi che decorano le sue ali e, per un attimo, dimenticano le loro preoccupazioni terrene. Le farfalle sono anche simbolo di cambiamento, di armonia, di pace e di bellezza. La loro presenza è un segno che preannuncia sempre qualcosa di buono.

C’era una volta un piccolo gusano (verme) che viveva su Yoania, la Terra Incantata. Preferiva starsene sottoterra perché la superficie, dove vivevano gli yoeme, era sempre piuttosto calda.

Ogni volta che gli wikitem (uccelli) volevano mangiare, andavano a trovare sapo (la rana) e le dicevano: «Ehi tu, abbiamo fame. Vai a svegliare lo spirito della pioggia che vive nel cielo e fagli buttare giù l’acqua, così i vermi vengono in superficie e noi ce li possiamo pappare!».

«Ma non vi sentite nemmeno un po’ in colpa?» – tentava di impietosirli la rana – «se piove, i vermi sono obbligati a salire all’aperto, totalmente indifesi, e voi ne approfittate per mangiari!».

Stizziti, i pennuti allora minacciavano: «Senti, noi abbiamo fame e se tu non ci aiuti, peggio per te. Ti strapperemo gli occhi a colpi di becco e tu precipiterai nell’oscurità!».

La rana, che non voleva diventare cieca, ogni volta si prestava a invocare la pioggia. Saliva su un’alta montagna, e chiamava: «Oh, Spirito della pioggia, il popolo degli uccelli mi manda a chiederti di scendere sulla terra asciutta. Hanno fame e vogliono che i vermi risalgano in superficie per poterseli mangiare». Lo spirito della pioggia allora scendeva di nascosto, nel bel mezzo della notte, perché durante il giorno Ta’a (il sole) non lo permetteva.

Quando la terra riarsa diventava bagnata, soffice e fresca, il popolo dei vermi non aveva altra scelta che salire in superficie e lì nell’huyapo (il deserto) c’erano gli uccelli ad attenderli, che si precipitavano in picchiata e iniziavano a banchettare con grande avidità. Le creaturine striscianti e indifese, quelle che vi riuscivano, se ne tornavano nelle loro tane sottoterra, in tutta fretta. Solo lì si sentivano al sicuro, ma sapevano pure che ogni volta che la pioggia arrivava, malgrado la loro paura, erano costrette a risalire all’esterno.

Un giorno, un gusano domandò alla rana: «Ma perché tu aiuti gli uccelli e fai venire la pioggia? Non hai neanche un po’di pietà per noi e per i nostri fratelli quando ci mangiano?».

Con evidente imbarazzo, lei rispose: «Ma sì, certo che provo tristezza, e tanta, per te e per i tuoi fratelli, però se non faccio quello che mi chiedono, mi cavano gli occhi e mi fanno diventare cieca!». Il gusano, che non aveva alcuna intenzione di essere mangiato, le raccontò che già da tempo desiderava tanto avere le ali per poter volare e sfuggire agli uccelli: «Se tu mi aiuti a fabbricarle, io ti perdono».

La rana attese sino al primo temporale, poi quando Ta’a ritornò e i fiori cominciarono ad aprirsi, ne raccolse molti, di tanti colori differenti e con i petali fabbricò le ali per gusano.

Il verme allora salì in alto sopra un cespuglio, con addosso le sue ali nuove di zecca e si lanciò nel vuoto. Era veramente felice di volare e di poter finalmente sfuggire agli uccelli. Ringraziò la rana per le splendide ali e, come le aveva promesso, la perdonò.

Tornato a casa, gusano mostrò ai suoi fratelli il dono meraviglioso, quindi tolse via un po’ di petali dalle sue ali, in modo da fabbricarne altre, che donò a loro in modo che il resto della famiglia potesse volare come lui. Ora tutti avevano ali variopinte, con petali di colori diversi e quando pioveva strisciavano verso l’alto, uscivano dalle loro tane e si libravano in aria.

Quando Sapo li vide, restò incantata dalla festosa visione di tutti quei vermiciattoli felici, che svolazzavano con le loro ali multicolori. Da quel giorno, li chiamò mariposas, cioè farfalle.

Questa è la fine della storia.

Avere paura, isolarsi o autocommiserarsi non basta per essere davvero al sicuro. Bisogna fidarsi delle proprie intuizioni, perché spesso sono vere. L’istinto e la volontà di sopravvivenza aprono le porte all’intelligenza creativa. L’esperienza acquisita nell’affrontare e risolvere un problema diventa conoscenza e saggezza profonda.

(*) Questo è uno dei brevi racconti che Fernando Eros Caro ha inviato tempo fa a Marco Cinque dal braccio della morte di San Quentin dove si trova da più di 25 anni. Sono stati pubblicati nel libro «Saai Maso (Fratello Cervo)» che è ormai esaurito ma volendo si può acquistare dal sito de ilmiolibro.it, perché Marco Cinque ne aveva realizzata anche un’auto-pubblicazione: andate a questo link http://ilmiolibro kataweb.it/schedalibro.asp?id=540587. Se cercate altre notizie su Fernando Eros Caro ricordate che qui in “bottega” di lui si è parlato più volte. (db)

 

 

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