Ferrovia Madeira-Mamoré, una storia operaia

di David Lifodi

Sono trascorsi cento anni esatti dal 30 Aprile 1912: quel giorno gli operai posero l’ultima traversina della ferrovia Madeira-Mamoré, 366 chilometri di binari che avrebbero permesso al Brasile di controllare la frontiera con la Bolivia, mentre il Paese andino cercava uno sbocco sul mare dopo la guerra del 1879-1884 persa con il Cile, che di fatto precludeva a La Paz una via diretta per l’Oceano Pacifico.

La storia della ferrovia Madeira-Mamoré non è conosciuta solo per le mire espansionistiche dei due Paesi, con il concorso delle imprese occidentali, ma anche per la strage degli operai che vi lavorarono fin dal 1907: le 549mila traversine della strada ferrata (alcuni parlano di oltre 750mila) causarono 6208 morti, dovuti a malattie tropicali allora sconosciute, attacchi delle comunità indigene impegnate, già da allora, nella difesa del proprio territorio (abitato da millenni), incidenti di vario tipo nella mata, la foresta amazzonica. L’intento dei governi di Brasile e Bolivia era costruire una ferrovia che collegasse le sponde del Rio Mamoré al tratto navigabile del Rio Madeira, secondo quanto stabilito da un trattato sottoscritto dai due Paesi nel 1882. Il Rio Mamoré nasce in territorio boliviano per poi fondersi con il Beni e formare il Rio Madeira, uno dei maggiori affluenti del Rio delle Amazzoni. Successivamente, nel 1903, il Trattato di Petrópolis sanciva la fine della disputa fra i due Paesi per il controllo dell’attuale Stato brasiliano dell’Acre, confinante a sud con la Bolivia: come riparazione per aver ottenuto quel territorio, il Brasile dovette impegnarsi nella costruzione di una ferrovia che collegasse Santo Antonio do Rio Madeira con Guajará Mirim: entrambe queste località sono adesso collocate nello Stato brasiliano di Rondonia, il cui confine a sud guarda verso la Bolivia, che così avrebbe avuto accesso al navigabile Rio Madeira. Da allora si scatenò una folle corsa nella costruzione della ferrovia, che cominciò nel 1907 su impulso dell’impresa Usa Jekill&Randolph e si concluse, nel 1912, grazie ai lavori della Madeira-Mamoré Railway. Nel mezzo, la strage silenziosa degli operai. Secondo uno schema che ben ricorda l’attuale voracità delle multinazionali impegnate a costruire dighe e miniere a cielo aperto inviando in loco migliaia di lavoratori, anche nel caso della Madeira-Mamoré il tessuto urbano e sociale di quei luoghi fu sconvolto. Gran parte degli operai era di origine brasiliana, ma arrivarono a centinaia anche da Spagna, Italia, Francia, Ungheria, Danimarca, Grecia e Polonia, oltre che dall’America Latina. Molti di loro conobbero l’Hospital da Candelária, costruito principalmente per curare i reduci della Madeira-Mamoré, affetti da malattie tropicali. Più di ventimila lavoratori furono impegnati nella costruzione della ferrovia (in alcuni periodi fu raggiunto anche il picco di 34mila), ma la maggior parte di loro resisteva solo pochi mesi in condizioni disumane: quelli che riuscivano a tornare a casa erano talmente debilitati da non poter svolgere altri lavori per anni, mentre la grande maggioranza finiva per essere annichilita da broncopolmonite (responsabile di oltre il 60% dei decessi), morbillo, parassitosi quali beriberi e anchilostomiasi (entrambe diffuse nei Paesi tropicali a clima caldo umido), febbre gialla e malaria. Essere affetti da malattie di questo tipo era la prassi e ancora oggi, in alcune località dello Stato di Rondonia, si registrano epidemie di questo tipo fra gli abitanti. La ferrovia però doveva essere portata a termine a qualsiasi costo, sebbene già negli ultimi 30 anni del secolo precedente fossero falliti numerosi tentativi di edificazione, anche questi finanziati da imprese occidentali, fra cui l’inglese Public Work Construction Company, e il prezzo da pagare fu di nuovo un alto numero di vite umane. I primi 90 chilometri del tracciato furono inaugurati comunque il 31 maggio 1910 e collegavano Porto Velho (attuale capitale dello Stato di Rondonia) a Jaci Paraná (sempre in Rondonia): un anno e mezzo dopo i chilometri percorribili erano già 306, fin quando, il 1 Agosto 1912, fu inaugurato l’intero percorso ferroviario, che si snodava per 306 chilometri da Porto Velho a Guajará Mirim, al confine con la Bolivia.

In cinque anni, dal 1907 al 1912, furono sacrificati migliaia di operai, giunti in quell’angolo, allora remoto, al confine tra Brasile e Bolivia, sedotti dalla possibilità di guadagnare qualcosa, oppure, più semplicemente, per il gusto dell’avventura: la città di Porto Velho, costruita per alloggiare i lavoratori provenienti da mezzo mondo, si trasformò ben presto, insieme a Santo Antonio do Rio Madeira, in una sorta di infernale maquiladora a cielo aperto ante-litteram, poco diversa dalle attuali città di frontiera messicane al confine con gli Stati Uniti. Nel 1908, dopo solo un anno dall’inizio dei lavori, il 95% degli abitanti di Porto Velho era afflitto dalla malaria. La funzionalità della ferrovia non si spinse oltre l’inizio degli anni ’30, quando il rapido declino del commercio del caucciù che dalla Bolivia avrebbe dovuto raggiungere il Brasile fino al porto di Belém (sull’Oceano Atalantico) segnò la fine del tracciato ferroviario, già provato dalle piogge tropicali che minavano la tenuta della ferrovia. La linea fu definitivamente dismessa nel 1972, escluso il breve tratto di 7 chilometri che collega Porto Velho a Santo Antonio do Rio Madeira e permette ai turisti di visitare le cascate del Rio Madeira.

Su questi pochi chilometri di binari, attivi solo per fini turistici e dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco, incombe, per ironia della sorte, la costruzione di un complesso di centrali idroelettriche, per le quali saranno impiegati operai in condizioni di sfruttamento e senza i necessari requisiti di sicurezza: la storia non ha insegnato niente e a pagare, allora come oggi, sono sempre i lavoratori.

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