Fiammelle – clelia pierangela pieri

Non si sapeva più, come una volta, quale fosse la stagione delle castagne, quella del vino nuovo o il tempo dell’uva.  Forse era solo il tempo dei lupi.

Luisa

Tornava dal lavoro, come ogni sera a quell’ora. Luisa sull’autobus non si sedeva mai: troppi anziani da rispettare, e poi come avrebbe potuto osservare “tutto” altrimenti?
Un cappottino a quadretti e le mani rosse. Inadeguata sempre, in ogni situazione si respirava intorno a lei aria d’insicurezza, forse paura.
E’ il momento, scendono tutti e a malincuore scende anche lei. – Maledetto capolinea! -.
Non può tornare a casa troppo presto, lui sarà ancora sveglio, non vuole rischiare il giro intorno al tavolo. Basta girare, basta paura, basta tutto.
Mentre al solito rimuginava sui suoi troppi “basta”, Luisa avverte un profumo, il profumo delle caldarroste! Sì, era quello l’odore, era quella la sensazione. Il ritorno al tepore, alla nonna e alle mani calde. Calde di castagne calde, nere di buccia nera e bruciata.
Insostituibile odore di caldarroste.
Ecco il cappottino a piccoli quadri diventare segugio, annusare l’aria e aguzzare lo sguardo.
Dapprima il fumo, poi  – Sergio, non è possibile, è proprio lui – come dimenticare quegli occhi verdi, i suoi riccioli, la piega perennemente imbronciata delle labbra – Sergio! Mio dolce primo amore, mio dolce uomo già uomo, come sei cresciuto, come sei bello ancora – e così pensando in uno scatto volta le spalle e s’allontana.

Forse domani troverà il coraggio di guardarlo a viso aperto e salutarlo.
Forse tornerà ancora da Sergio.
Forse sarà lui il suo odore di castagne calde al cuore.
Forse, se il tavolo smetterà d’esistere, d’essere tondo e non finire mai.
Forse, se il serpente smetterà di girare, girare.

 

 

Angela

 

   «Ti vesti come una puttana».

Era la solita frase che doveva sopportare, come se bastasse vestirsi in un certo modo per essere una puttana, come se le puttane fossero scelta e gioia di stoffe e moda, non sudore, sangue e vergogna inghiottita.
Era questo che pensava Angela mentre stancamente, per l’ennesima volta andava a togliersi la minigonna che la faceva tanto bella per infilare una gonna (modesta) in lana (calda) fantasia scozzese che non si sporca mai (pratica) e ripeteva in litania, con un sorriso stanco: «modestacaldapratica, modestacaldapratica, mode…».

E nascondendo con fare iroso la minigonna in borsa, mormorò risoluta:

   «Al diavolo tutti, io metterò questa alla Festa del Vinello!»
 
E via in ascensore: cinque piani per lasciare scivolare la modestacaldapratica gonna e infilare quella da puttana, cinque piani per il rossetto e la matita nera. Cinque piani per l’unica libertà che al momento conosceva: gestire se stessa e il suo aspetto.

   «Angela, sei bellissima».

Alla porta Franco, dietro di lui decine di ragazzi e ragazze già alla festa, già felici e sazi di vino novello e nuova gioia. Le gote arrossate, gli occhi lucidi.
Inizia la danza finta sulla musica di “Beppealgiradischi” ma diventerà intima e ancestrale, tutti l’avvertono preludio.
Lo sa anche lei, Angela, che in un tempo troppo esiguo è già catturata da carezze e mani che frugano. Non vorrebbe, ma l’eccitazione la lascia muta ad assaporare quel che immagina e ancora non conosce. Il suo corpo la stupisce per quella gioia mista a paura che le trasmette e si chiede cosa sia ora quella luce che piano arriva da lontano, sempre di più sempre di più…

   «Basta fermati».

   «Angela, ma perché? Ti piaceva!»

   «Sì, mi piaceva ma ora levati di qui».

   «Sei proprio una puttana…».

E’ già sera e sale l’ascensore mentre la minigonna scende e lascia spazio alla modestacaldapratica.
Sulle labbra di Angela un sorriso ha preso il posto del rossetto e nella nebbia del ritorno, nel dolciastro del vino così bambino e leggero, nell’odore delle sigarette mal fumate e bruciate in troppi, un pensiero ancora immerso nella musica:

Siamo tutte puttane, siamo sempre puttane. Domani andrò a conoscere il cuore di una puttana, non può essere che rubato …un cuore prestato -.

 

 

Giulia

 

Aveva atteso tutto l’anno l’evento, accarezzando mesi e mesi con lo sguardo la distesa apparentemente gerbida.
Giulia, lievi capelli ed occhi magri. Silenziosa sempre, un sorriso solo alle viti deliziose e al loro rinascere. Piccole foglie da disegnare con i polpastrelli prima e solo dopo tratteggiare con la matita sempre più corta, sì, sempre più corta.
Quante volte, poi, assaggiarne un acino e risputarlo troppo tardi, ormai, per non sentire la tensione dell’acido che le stravolgeva i lineamenti.
E dopo tanto sole, sudore, avanti e indietro.
Dopo sorrisi, dopo la pelle avvizzita e la semplicità dei contadini precisi sul campo, maldestri nella vita, si va.
Finalmente si va a pigiare l’uva.
Qualcuno magicamente imbraccia la fisarmonica. Le donne sdentate ridono comunque, gli uomini osservano furenti d’attesa, di terra e fatica. Alla musica le ragazze, ridendo, si trasformano in femmine che simili a baccanti cambiano volto. Non hanno più le scarpe che già non avevano, non portano calze che sono per la domenica ma hanno gambe tornite e vellutate, pallide e lucenti come i tesori nascosti.
Fermenta, la vita pulsa e fermenta.

Giulia le guarda, ama la vita che le pervade e le accarezza con lo sguardo.
Giulia ha deciso: essere così per sempre, non solo di vendemmia.

 

 

 

per informazioni e invio testi:
clelia pierangela pieri – xdonnaselva@yahoo.it
luigi di costanzo       – onig1@libero.it

Clelia

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