Fiction climatica: nuova fantascienza impegnata?

di Franco Ricciardiello

Il presente post (*) contiene il testo dell’intervento omonimo di Franco Ricciardiello a «Stranimondi 2022», a Milano 9 ottobre 2022

parte II – la parte I è disponibile qui

La consapevolezza della crisi climatica irreversibile non è né invenzione né esclusiva americana; anzi, forse la parte del leone spetta oggi alle autrici e agli autori europei, e se in libreria è più facile trovare una climate fiction d’oltre oceano, è perché una pluridecennale colonizzazione culturale spinge a tradurre quasi tutto ciò che si pubblica negli USA, trascurando spesso le letterature gemelle d’oltralpe.

Rimanendo alla lingua inglese, troviamo in Gran Bretagna Solar (2010) di Ian McEwan, autore molto apprezzato anche in Italia. La storia si svolge tra il 2000 e il 2009. Il protagonista è uno scienziato premio Nobel, che dirige il “Centro di Ricerca per le Energie Rinnovabili” nella città britannica di Reading; disilluso burocrate, non crede assolutamente nel progetto, ma si trova a ereditare da un giovane e brillante collega un brevetto di pannelli fotovoltaici che ricreano artificialmente la fotosintesi. Viene così riconosciuto come punta di diamante nello sviluppo delle energie rinnovabili, ma gli inganni e le mistificazioni con cui è arrivato alla posizione che occupa verranno a galla nel momento dell’inaugurazione del suo impianto d’avanguardia in New Mexico.

Jeannette Winterson, che esordì brillantemente con il semi-autobiografico Non ci sono solo le arance (1985), è autrice di Gli dei di pietra (2007). Il romanzo adotta alcuni luoghi comuni fantascientifici, ma va più correttamente situato nel postmoderno per la sua autoreferenzialità: alcune situazioni narrative si ripetono più volte, e i personaggi trovano e leggono sezioni precedenti del libro stesso. Entrambi gli accorgimenti tecnici sono utilizzati per mettere in guardia contro la tendenza della storia a ripetersi, dal momento che l’umanità non impara dagli errori del passato.

Il romanzo affronta la questione climatica come metafora, piuttosto che come tematica esplicita. Sulla Terra, pianeta distrutto e senza speranza diviso tra il Potere Centrale, superpotenza occidentale, il Califfato Orientale e il Patto Sinomoscovita, si diffonde come una promessa di futuro la notizia della scoperta di un nuovo mondo: il Pianeta Azzurro, con una natura intatta e un clima accogliente. Questa è soltanto la prima delle quattro parti di una trama complessa che comprende anche una storia d’amore, che Ursula Le Guin definì “sentimentale in modo stressante”, aggiungendo però che il romanzo è “una vivida messa in guardia, o più precisamente un acuto lamento per la nostra specie, irrimediabilmente incauta”.

Molto più recente è The high house (2021) di Jessie Greengrass, storia di fenomeni meteorologici estremi provocati dall’innalzamento della temperatura globale. È l’altra faccia del cambiamento climatico: l’estendersi di un clima di tipo monsonico fino alle zone temperate, fino all’Europa centro-settentrionale, mentre presumibilmente il Mediterraneo diventa un mare tropicale. È la storia di una coppia di attivisti per il clima che, resisi conto dell’irreversibilità del disastro, predispongono in segreto un rifugio sicuro nella “casa alta”, una loro proprietà immobiliare sopraelevata rispetto a un villaggio costiero che un tempo era abitato da pescatori; è destinata ai figli, un’adolescente e un bambino, che grazie all’accumulo di provviste alimentari, generi sanitari, vestiario e altro, dovrebbe riuscire a sopravvivere quando il maltempo colpirà davvero, quando tutta l’acqua che entra in circolo dalle fasce climatiche inaridite troverà sfogo nelle ex zone temperate, provocando piogge continue e spaventose, inarrestabili inondazioni.

L’allarme per il disastro ecologico non è più patrimonio esclusivo del post-catastrofico, è uscito dalle pagine della science fiction per diventare preoccupazione comune di scrittrici e scrittori in tutto il mondo.

Ancora più che in Gran Bretagna, la preoccupazione per il clima è presente tra gli scrittori francesi e scandinavi. In Francia, Nadia Coste è autrice dello young adult Rhyzome (2018): dopo una catastrofe ecologica senza precedenti, la terra sopravvive solo grazie a vegetali importati dalle lune di Giove, che purificano l’atmosfera e le acque; tuttavia la loro eccezionale proliferazione inquieta scienziati e politica. Protagonista è una giovane ricercatrice botanica che rimane contagiata da una malattia sconosciuta, e comincia a sentire voci nella mente: sono le piante, che le chiedono di fare portavoce con i governi.

Jean-Marc Ligny è autore di una trilogia che stigmatizza la follia autodistruttiva del capitalismo;  la pubblicazione è iniziata prima ancora che la climate fiction diventasse sottogenere. AquaTM (2006) è ambientato nel 2030, quando la risorsa principale che i governi cercano di accaparrarsi non è più il petrolio ma l’acqua. La trama inizia quando, in un panorama di siccità e riscaldamento globale, un piccolo paese africano assetato scopre, grazie a un’immagine satellitare piratata, una falda freatica nel proprio sottosuolo. Un enorme consorzio d’imprese americano, proprietario del satellite, rivendica il possesso dell’acqua e non si fermerà davanti a nulla per ottenerla. Il successivo Exodes (2012) ha il ritmo di un thriller. La siccità è ormai ovunque realtà sulla Terra, la temperatura è appena sopportabile all’alba, la fauna è praticamente scomparsa, una mutazione nella vegetazione la rende pericolosa. Questo quadro d’insieme provoca carestie e guerre devastanti. Qua e là sorgono le enclaves, città che una cupola protegge dal clima inospitale e dal mondo esterno; sono, naturalmente, costruite per i più ricchi. L’ultimo episodio, Semences (2015), è ambientato tre secoli più tardi; le condizioni di vita nel pianeta sono totalmente diverse da quelle che conosciamo. Una giovane coppia abbandona la sua tribù, che vive in caverne, alla ricerca del paradiso terrestre dipinto su una sciarpa di seta, ricevuta da un uomo proveniente dal deserto. Durante il viaggio scoprono città, rovine radioattive, residui di antiche tecnologie, fino alla Groenlandia dove gli Inuit sono sopravvissuti al disastro.

La trilogia di Ligny scivola dalla climate fiction al fantasy, o allo science fantasy, inseguendo i mutamenti dell’ambientazione, a mano a mano che procede verso l’ultimo volume. Meno fantastico e decisamente più disilluso è il romanzo di un autore non di genere, Pierre Ducrozet, che dopo un esordio nei dintorni del surrealismo si è dimostrato vicino alla protesta giovanile contro il cambiamento climatico. Le grand vertige (2020) si riferisce alla incapacità dell’umanità di comprendere il mondo in cui si trova, dopo secoli in cui si è considerata padrona del pianeta, della natura e di se stessa: «Siamo preda di una grande vertigine: il terreno si apre sotto i nostri piedi, il cielo sopra diventa nuvoloso. Niente rimane com’è, tutto si muove.» Il romanzo, ambientato in anni recenti, racconta un tentativo d’arrestare la catastrofe ambientale che non è mai avvenuto. Prendendo atto del cambiamento climatico causato dall’attività umana, un centinaio di governi nazionali, tra i quali significativamente non figurano né gli USA di Trump né la Russia di Putin, istituiscono una “Commissione internazionale sul cambiamento climatico e per un nuovo contratto naturale”; una cinquantina di inviati viaggiano le vie del mondo, mettendo in comune, tramite una rete web, uno “stato mondiale dei luoghi” — energia, biodiversità, mobilità — ma anche ipotesi su cosa si dovrebbe fare per arrestare il processo. Il loro lavoro si scontrerà con interessi assolutamente contrari: «Un solido e ampio esercito di pseudoscienziati, falsi esperti, economisti e politici disposti a diffondere false informazioni per i propri interessi e quelli delle compagnie petrolifere, dell’industria pesante e dei trasporti». Il romanzo è estremamente efficace per comprendere il legame perverso, diretto e strettissimo tra combustibili fossili e capitalismo, e l’inerzia dei suoi interessi economici che non riescono a arrestarsi neppure di fronte al rischio di distruggere il pianeta, cioè le risorse su cui il sistema stesso si fonda.

Illustrazione di Dofresh

Arriviamo alla penisola scandinava. Il nome più conosciuto è quello della norvegese Maja Lunde, autrice di una quadrilogia che affronta «temi specifici legati al clima: insetti, acqua, animali, semi, ogni cosa che cresce sulla Terra. Ogni romanzo ha trame parallele che si svolgono sia nel nostro tempo che da qualche parte nel nostro futuro non troppo lontano, oltre a guardare indietro al nostro passato. Tutti e quattro esplorano gli esseri umani nel rapporto con la natura, e le conseguenze delle scelte che facciamo, non solo per quanto riguarda l’ecologia e il clima, ma anche le persone.» Il primo e più celebre, La storia delle api (2015), racconta su tre piani temporali le conseguenze della scomparsa degli insetti impollinatori per le colture alimentari; la trama più lontana nel futuro è ambientata nel 2098 in un distretto agricolo del Sìchuān in Cina, dove si ricorre all’impollinazione manuale di piante e ortaggi. La distruzione delle api  ha provocato una devastante crisi alimentare, da cui carestia e spopolamento di interi continenti; in questa situazione la Cina è avvantaggiata rispetto, per esempio, all’Europa, dal momento che in certe zone già oggi esiste una pratica tradizionale di impollinazione agevolata. Il mondo futuro che Lunde ci presenta è desolante, terribilmente impoverito non solo nella vita quotidiana, ma soprattutto nelle prospettive per il futuro: una civiltà in declino. La storia dell’acqua (2017), intreccia due trame; una, nel presente, racconta il sabotaggio messo in atto da un’anziana attivista ambientale contro lo sfruttamento commerciale di un ghiacciaio in Norvegia, l’altra, in un futuro drammaticamente prossimo, il 2041, racconta la vita di un profugo climatico e sua figlia che dalla cosa mediterranea della Francia, divenuta inabitabile, si muovono verso nord e finiscono in un desolante campo per “profughi climatici”. Gli ultimi della steppa (2019) è pure costruito su tre trame in tempi diversi, racconta la grande estinzione animale in corso attraverso la storia di una razza di cavalli mongola, gli Przewalski, nell’Eurasia sconvolta da cambiamenti climatici, carestie e alluvioni. L’ultimo libro della quadrilogia non è ancora stato dato alle stampe.

Svedese è invece Jens Liljestrand, autore di La foresta brucia sotto i nostri passi (2021), ottimo esempio di climate fiction emancipata dai tópoi del post-apocalittico: l’ambientazione è ai nostri giorni, appena al termine della pandemia di Covid-19, e il conflitto tra personaggi mette in scena opinioni divergenti, anche antitetiche sul comportamento da tenere di fronte all’innalzamento della temperatura globale del pianeta. Al lettore, poi, giudicare quale posizione sia migliore.

Sono gli ultimi giorni di agosto quando la Svezia centrale, che è un’unica, immensa foresta, viene devastata da una serie di incendi catastrofici a causa del clima secco: le popolazioni di intere aree fuggono verso sud. Il sistema statale svedese, tra i più ordinati al mondo, va in pezzi: le strade verso Stoccolma si riempiono di veicoli in coda, i trasporti su rotaia si bloccano, un rovinoso black out priva dell’energia elettrica la capitale e le zone circostanti, la gente scende in strada a protestare contro l’inerzia di chi non ha fatto nulla per impedire il disastro. Il tenore della storia è assolutamente drammatico, malgrado in parecchi punti traspaia humour nero. Malgrado la soluzione positiva della vicenda “privata” di alcuni protagonisti, il messaggio è che non esiste soluzione, ci siamo già spinti troppo oltre: non nella possibilità di invertire il riscaldamento, accantonare i combustibili fossili etc, bensì nell’inerzia del capitalismo, che per sua natura continuerà a divorare il pianeta finché rimane economicamente redditizio.

Finlandese è infine Emmi Itäranta, autrice di La memoria dell’acqua (2013). In un futuro non lontano, la terra è un arido paesaggio bruciato dal sole; la protagonista appartiene a una famiglia di custodi della tradizione del tè (il titolo originale significa “il libro del maestro di tè”), che di generazione in generazione si tramandano l’ubicazione di sorgenti segrete d’acqua, ormai scarsissima. L’Unione scandinava, governata da un regime violento e oppressivo, vuole venire in possesso del segreto.

Quasi tutte le letterature mondiali, anche quelle “minori”, che contano cioè su un pubblico linguisticamente ridotto, oggi raccontano il deterioramento della situazione ecologica del pianeta, sotto la spinta dei cambiamenti climatici. Núria Perpinyà, che scrive in catalano, è autrice del recentissimo Diatomea (2022). XXIII secolo, la guerra non esiste più, gli esseri umani sono serviti da robot onnipresenti, la classe politica è esclusivamente femminile; sarebbe una società perfetta, se non fosse per le continue e devastanti inondazioni che colpiscono la Terra. Uno scienziato propone un’idea demagogica e demenziale: eliminare i mari e di conseguenza le nuvole, perché l’umanità ha il diritto di difendersi dalle aggressioni della natura. La trama avventurosa si dipana tra imprenditori corrotti, politici populisti, scienziati illuminati e combattenti della resistenza che lottano per la sopravvivenza del pianeta blu.

Illustrazione di Dofresh

E arriviamo finalmente all’Italia.

La situazione non è certamente quella che ci si aspetterebbe, visto il panorama internazionale. La produzione è sorprendentemente scarsa. Bruno Arpaia ha pubblicato nel 2016 Qualcosa, là fuori, romanzo atipico nella sua bibliografia. Come l’intera zona temperata del pianeta, l’Italia è divenuta praticamente inabitabile; l’agricoltura è impossibile, la civiltà organizzata si sfalda. Il protagonista è un professore in pensione che, rimasto vedovo, si unisce a una colonna di trentamila disperati, convinti di pagarsi una possibilità di salvezza emigrando verso la Scandinavia: è infatti intorno al circolo polare l’unica parte d’Europa in cui il clima permette ancora una forma di governo democratica, e la coltivazione di derrate alimentari. I migranti procedono a piedi, come i disperati che nei nostri tempi attraversano il Sahel e poi il Mediterraneo. A capitoli alterni, il romanzo presenta il passato del protagonista, ed è in queste pagine la parte più interessante, perché racconta il lento scivolare del mondo verso il disastro. L’impossibilità di porvi rimedio è insita nel meccanismo decisionale delle democrazie e nella psicologia di  massa: piuttosto che prendere provvedimenti seri, che influirebbero pesantemente sul proprio stile di vita e sul livello di consumi, i popoli si affidano all’irrazionale, alla demagogia di leader senza scrupoli, al messianismo che non solo è incapace di frenare la corsa, ma limita le libertà civili scaricando la colpa della situazione sulle minoranze. In questo modo le vittime della crisi climatica, i migranti, diventano i colpevoli.

Nel relativo disinteresse dell’editoria per il tema che ha fatto seguito al libro di Arpaia, spicca per fortuna una pubblicazione di pochi mesi fa, che dobbiamo alla casa editrice Future Fiction di Francesco Verso: si tratta di I Vegumani (2022) di Clelia Farris, autrice che si è fatta un nome nel fandom degli appassionati di fantascienza. Giustamente pubblicizzato come “il secondo romanzo solarpunk italiano”, è ambientato fra un paio di secoli in Sardegna, dove comunità sempre più spopolate si organizzano per gestire energia e risorse, con la determinazione di non cedere, di non emigrare in quell’indefinito Nord dove ancora le temperature sono tollerabili. Non si tratta di un post-apocalittico, i protagonisti non sono umani impotenti in uno scenario ostile; utilizzano una tecnologia decisamente più avanzata della nostra, sfruttano l’acqua non un’efficienza che oggi neppure riusciamo a immaginare, e soprattutto non sono minacciati da altre comunità ostili, secondo lo stereotipo post-catastrofico. «Gli esseri umani si prendono cura di se stessi e del proprio ambiente» dice la protagonista, «Siamo tutt’uno. E se l’ambiente sta male, interveniamo per aiutarlo. Gli esseri umani non scappano. Questa aridità, questo caldo, fanno parte di noi, siamo noi. Non possiamo strapparceli di dosso come se fossero indumenti scomodi.»

sun-solarpunk

Questo elenco non esaurisce naturalmente il panorama della climate fiction, che si sta diffondendo in quasi tutte le letterature nazionali. Di molte opere brevi estere non avremmo notizia, se non fosse per la casa editrice Future Fiction, che traduce e pubblica da diverse lingue e diversi paesi; per esempio, da Cina, America Latina, India, Africa, per arrivare infine alla pubblicazione dell’antologia Meteotopia (2022), che ha come argomento l’ingiustizia climatica come questione morale e politica; contiene racconti di climate fiction da Brasile, India, Messico, Filippine e da diversi paesi africani; come recita la IV di copertina, “tutte le culture emarginate, le generazioni future, gli animali e le piante viventi e in generale coloro che sono esclusi dalle discussioni politiche, dagli eventi del G20 e dalle speculazioni finanziarie.”

Concludendo, si può affermare che la fiction climatica, che in origine era solo uno degli scenari del post-apocalittico, si emancipa dagli stereotipi di genere a mano a mano che entra nella sfera degli interessi letterari di autori e autrici mainstream. Ciò non significa che la science fiction abbia messo da parte l’attenzione per l’ambiente; anzi, potrebbe essere alle porte un recupero della grande carica d’impegno che caratterizzò la “fantascienza sociale” degli anni Settanta, passata poi solo in parte nel cyberpunk.

Gli autori che ancora credono nella funzione civile della cultura non possono voltarsi da un’altra parte. Stante l’attuale situazione del pianeta; nella crisi climatica globale ci giochiamo tutto: democrazia, diritti, uguaglianza.

Franco Ricciardiello

LINK

Bibliografia della Climate Fiction, di Susanne Leikam (università di Regensburg) e Julya Leida (2017):


BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE CITATE

sono indicate le edizioni più recenti

AA.VV., Meteotopia, Future Fiction 2022

Bruno Arpaia, Qualcosa, là fuori, Guanda 2016

Paolo Bacigalupi, La ragazza meccanica (The Windup Girl, 2009), ed. Multiplayer 2014

Paolo Bacigalupi, The water knife (2015), inedito in Italia

Octavia E. Butler, La parabola del seminatore (Parable of the Sower, 1993), Fanucci 2000

Nadia Coste, Rhyzome (2018), inedito in Italia

Pierre Ducrozet, Le grand vertige (2020), inedito in Italia

Emmi Itäranta, La memoria dell’acqua (Teemestarin kirja, 2013), Frassinelli 2015

Alexandra Kleeman, Qualcosa di nuovo sotto il sole (Something new under the sun, 2021), Black Coffee 2022

Omar el Akkad, American War (American War, 2017), Rizzoli 2017

Ian McEwan, Solar (Solar, 2010), Einaudi 2010

Clelia Farris, I vegumani, Future Fiction 2022

Jessie Greengrass, The high house (2021), inedito in Italia

Jean-Marc Ligny, AquaTM (2006), Exodes (2012), Semences (2015), trilogia inedita in Italia

Jens Liljestrand, La foresta brucia sotto i nostri passi (Även om allt tar slut, 2021), Mondadori 2022

Maja Lunde, La storia delle api (Bienes Historie, 2015), La storia dell’acqua (Blå, 2017),Gli ultimi della steppa (Przewalskis häst, 2019), Marsilio 2018/2020

Laurence E. Manning, L’uomo che si destò (The man who awoke, 1933), ed. Nord 1976

Lydia Millet, I figli del diluvio (A children’s bible, 2020), ed. NN, 2021

Kassandra Montag, Terre sommerse (After the flood, 2020), Harper Collins 2020

Jenny Offil, Tempo variabile (Weather, 2020), ed. NN, 2020

Núria Perpinyà, Diatomea (2022), inedito in italiano

Kim Stanley Robinson, Il Ministero per il Futuro (The Ministry for the Future, 2020), Fanucci 2022

Kim Stanley Robinson, New York 2140 (New York 2140, 2017), Fanucci 2017

Kim Stanley Robinson, trilogia “Science in the Capital”: Forty Signs of Rain (2004), Fifty Degrees Below (2005), e Sixty Days and Counting (2007), inediti in Italia

Sherri L. Smith, Orleans (2013), inedito in Italia

Bruce Sterling, Atmosfera letale (Heavy Weather, 1994), Mondadori 2009

Jules Verne, Il mondo sottosopra (Sans dessus dessous, 1889), Mursia 1967

Claire Vaye Watkins, Deserto americano (Gold Fame Citrus, 2015), Neri Pozza 2015

Jeannette Winterson, Gli dei di pietra (The stone gods, 2007), Mondadori 2008

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5 commenti

  • Fabrizio Melodia

    Ottimo, credo li leggerò tutti, visto che mi mancano.
    E oltre ai CMUV, vorrei ricordare le mie recensioni e i nuovi racconti astrofilosofici che spazieranno tra i generi più disparati e anche quelli più disperati.
    Vorrei inoltre sottolineare che la “fantascienza climatica” è sempre stata un fiore all’ occhiello della fantascienza tout court. A tale proposito, ricordo John Brunner con le sue apocalissi climatiche. Credo che il buon John, se fosse ancora vivo, si farebbe delle grasse risate…

  • Alberto Campedelli

    Certo che leggendo questi libri non c’e’ da stare allegri per il nostro pianeta, ma come dicevo in un mio scritto la scomparsa delle api e’ il segnale più chiaro della desolazione che ci aspetta se andiamo avanti così…!

  • Pieruigi Pedretti

    Ricciardello è sempre bravissimo e i suoi “consigli di lettura ” da seguire. Tuttavia a me sorge un dubbio: quando una tematica science-fiction diventa parte della letteratura mainstream siamo sicuri che <>? O, piuttosto, assistiamo ad una ulteriore mercificazione di temi e prodotti causati dal sistema turboliberista?

    • Buongiorno, Pierluigi, questa mi pare un’ottima osservazione, è anche la mia paura. Attualmente il “mainstream” è un’industria ideologica che non può lasciare tranquilli: quando mette gli occhi su qualcosa è per estrarne capitale E per usarla nel quadro della propria dealfabetizzazione e deformazione – per il proprio “sortilegio”. Davvero una questione spinosa. Grazie!

  • Pierluigi Pedretti

    Tra parentesi avevo citato Ricciardello stesso. Ecco in basso la sua frase a cui ho aggiunto il punto interrogativo:
    potrebbe essere alle porte un recupero della grande carica d’impegno che caratterizzò la “fantascienza sociale” degli anni Settanta, passata poi solo in parte nel cyberpunk.

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