Fiscal Compact & manganello

Le prospettive economiche dell’Italia dopo una delle più lunghe crisi politiche della storia del paese.

di Marco Bersani (*)

 

Il risultato finale con cui si è conclusa la crisi politica e istituzionale del nostro Paese rappresenta con piena evidenza l’utilizzo del debito come arma di disciplinamento sociale.

Un’arma interamente giocata sul terreno simbolico, in quanto nessuno degli attori principali ne ha mai messo in discussione i fondamenti, aldilà di dichiarazioni di rito buone per tutte le stagioni.

Viene da pensare che il fuoco e le fiamme (fatue), prodotte ed alimentate nell’arco di 48 ore da entrambe le parti, non fossero rivolte agli attori in campo, ma avessero una funzione di alfabetizzazione di massa per tutti quelli che vi assistevano attoniti.

Da una parte, i sostenitori dell’establishment, interni ed esterni, ci hanno detto mai così chiaramente come nell’economia del debito la libertà è solo un contesto apparente: i popoli indebitati rimangono formalmente liberi, ma la loro libertà si può esercitare solo dentro il vincolo del debito contratto, e attraverso stili di vita che non ne pregiudichino il rimborso.

La precarizzazione del lavoro, la privatizzazione dei servizi pubblici, la mercificazione dei beni comuni non sono estrazioni di valore dettate da brutali atti di forza e di potere, ma la “naturale” conseguenza di quel vincolo “liberamente” contratto.

E’ così che le speculazioni finanziarie fatte in questi giorni dai mercati, che si alimentano dell’instabilità, vengono narrate come preoccupazione dei mercati, i quali vorrebbero tanto il bene collettivo, se solo noi lo capissimo.

Dall’altra, i sostenitori del sovranismo ci hanno detto mai così chiaramente come non sia assolutamente in discussione la trappola del debito, bensì solo i luoghi di potere da cui essa dev’essere narrata: “prima gli italiani”, intendendo con questo una gerarchia che vedrà i ricchi sempre più ricchi grazie alla flat tax, e il resto della popolazione con in tasca le briciole di un sussidio di disoccupazione spacciato per diritto al reddito e fra le mani possibilmente un’arma per difendersi dagli stranieri.

Ciò che in realtà i contendenti hanno voluto comunicare al popolo è l’impossibilità di un’altra via fuori dalle due predefinite: il sostegno all’establishment in quanto tale, fiscal compact e pareggio di bilancio compresi, e il sovranismo reazionario, flat tax e razzismo compresi. Dentro il terreno di gioco, più che condiviso, delle  politiche liberiste e d’austerità, che non possono in nessun modo essere ridiscusse e che hanno bisogno dello shock del debito per disciplinare la società e quanti dentro la stessa non rinunciano a voler cambiare il mondo.

La pretestuosità del conflitto diventa evidente nel risultato finale, così velocemente conseguito: abbiamo ora un governo che nei ruoli chiave ha di nuovo inserito i “tecnici” (Presidenza del Consiglio, Ministero dell’Economia e Finanze e Ministero degli Esteri) dichiarando nei fatti la totale compatibilità con i vincoli monetaristi, con l’aggiunta dell’odore del manganello che promana dal nuovo Ministero dell’Interno. Più che “la Cina è vicina”, come si diceva una volta, siamo “all’Ungheria è dietro l’angolo” con la benedizione di Francoforte.

Dentro questo quadro, c’è un’altra possibilità, a patto che si decida di prendere davvero parola collettiva sul tema del debito, ponendo alcune questioni reali: a) è accettabile aver pagato, dal 1980 ad oggi, 3.400 mld di interessi su un debito che, nonostante questo, continua ad essere di 2300 mld? b) è accettabile, per chi paga le tasse, aver dato allo Stato, dal 1990 ad oggi, 750 mld in più di quello che lo Stato ha restituito sotto forma di servizi? E’ accettabile aver ridotto i Comuni sul lastrico, nonostante il loro contributo al debito pubblico nazionale non superi l’1,8%? Solo la risposta a queste domande può aprire la discussione su quale modello di società vogliamo.

Con una certezza: il loro potere dura finché dura la nostra rassegnazione.

(*) articolo pubblicato sul quotidiano il manifesto il 2 giugno

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Più passa il tempo, più sento giornalisti accreditati in studi di economia, come quelli del sole 24, più credo che siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Sono saltati tutti gli equilibri economici della contabilità di stato per insipienza dei nostri politici, e per mancanza di controllo da parte della Corte dei conti o di tutte le varie agenzie di vigilanza sorte come funghi, ma solo per dare incarichi a politici trombati od ad assicurare lauti compensi agli operatori . Quando dico che sono saltati tutti gli equilibri economici, parlo della violazione dell’art. 81 della beneamata costituzione. Dal punto di vista pratico la contabilità di stato prevede due principi fondamentali: Pareggio finanziario ed equilibrio economico. Il pareggio finanziario, ora entrato anche in costituzione, è chiaro:tante entrate, tante uscite. L’equilibrio economico è più articolato, ma è lo stesso semplice. I primi tre titoli di entrata del bilancio (imposte, trasferimenti ordinari, contributi) finanziano il primo titolo di spesa (spese correnti e pagamento interessi) il titolo IV e V di entrate (donazioni, ricorso al debito), finanziano il titolo II della spesa (spese in conto capitale -investimenti) infine le partite di giro, entrate e spese per conto terzi. Ora tutto è caduto nel calderone del solo pareggio finanziario. Quindi si aumenta il debito anche per le spese correnti, che malgrado l’elevata tassazione ormai non più sostenibile, per effetto degli interessi passivi, sembra non più sostenibile, ma senza neanche assicurare i servizi più essenziali (anche il diritto alla salute). Si parla di lotta agli sprechi, Cottarelli era stato chiamato alla rottamazione, ma è stata un’altro aggravio di spesa inutile, visti i risultati, Monti ha pensato a diminuire le pensioni, anche per gli aventi diritto, ha messo a salvaguardia l’aumento delle entrate correnti (gettito IVA). Nessuno ha pensato a fare una riforma fiscale vera che evitasse lavoro nero ed evasione. Hanno messo Cantone, un altro carrozzone, per la lotta alla corruzione, ma non sembra abbia sortito effetti benefici. Non si fa prevenzione. che richiederebbe gare d’appalto aperte a tutti, si provvede con l’emergenza, che prevede la chiamata della ditta amica, senza limite di spesa. A monte però, c’è la distrazione di fondi, impiego di risorse per usi contrari a quelli per cui è stata generata la entrata. Ormai non si fa più distinzione tra imposte, tasse e contributi e alla loro destinazione. Imposte ai servizi generali, tasse,come corrispettivo di un servizio erogato dallo stato, contributo che è richiesto per un cittadino al quale lo stato garantisce un miglioramento della sua attuale situazione. Ma tutto però, gira sul falso tema della solidarietà, della sussidiarietà. Gli scaglioni previsti dall’art. 53,in mancanza di certezza di diritto nella determinazione del reddito dovuto ad evasione fiscale e lavoro nero, generano la più grande ingiustizia, ma non riequilibrano lo stato sociale, ma lo aggravano, perchè colpiscono solo la parte più onesta dei cittadini, rendendoci tutti più poveri, ma senza aiutare i veri poveri, come pure le detrazioni fiscali. Infine non si può aumentare il debito per falsa umanità .Non ci si può permettere di accogliere gratis persone e dar loro da mangiare
    e servizi gratuiti, con il falso presupposto che i soliti noti (lavoratori dipendenti in regola e pensionati onesti) già oberati per iniqua tassazione, possano far fronte anche a spese di questo genere. Cristo ci ha detto di amare il prossimo, sì, ma come noi stessi, non più di noi stessi. Poi bisogna vedere se questi siano veri bisognosi o solo schiavi per finanziare onlus, coop, o ladri sociali, come imprenditori speculatori.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *