«Forze speciali» e deus-Dylan ex Machina
db alle prese con le guerre del romanzo di Marco Denti
A volte è dura raccontare (recensire se preferite) un libro senza “spoiler”. Nel caso del romanzo «Forze speciali» – Fragile libri (222 La Route): 376 pagine per 25 euri – è quasi impossibile. Per i miei gusti di non voler sapere (peggio: svelare) le trame, stavolta perfino la scarna quarta di copertina dice troppo. Per cui ne cito solo le prime righe. «In una città travolta dalla guerra civile, cresce l’idea di organizzare un concerto di Bob Dylan o di un suo alias (*). Le forze di occupazione cercano di impedirlo e». E mi fermo.
Però: quale città? E quando? Come potrebbe circolare ancora Bob Dylan visto che le sue canzoni «avevano un secolo di vita».
Leggete e quasi tutto saprete.
Guerre future ma davvero simili a quelle attuali. «La parola sicurezza e la parola paura significavano la stessa cosa».
Accanto ai protagonisti umani altrettanto peso ha l’onnipresente blues piazzato in mezzo alle tante (tutte brutte) facce di una guerra mondiale a puntate.
Prima di questo libro non avevo mai letto una riga (o almeno credo) di Marco Denti: a giudicare da questo romanzo di armi si intende molto. Ed è un maestro dei colpi di scena (il primo è a pag 13; quello a pagina 68 è così ben nascosto che potrebbe sfuggirvi) e «diversivi» – inganni se preferite – sia nella scrittura che nella trama. Motivo di più per non “spoilerare”.
Vado dunque per citazioni e impressioni.
«L’odio per gli alberi anticipava ogni altro disastro».
«Ho visto il mondo ma sai non ho visto veramente. Come se qualcuno l’avesse già visto. Non era fresco, c’erano stati occhi che l’avevano un po’ consumato».
A pagina 133 riferimento a un Bertolt Brecht poco noto (e da recuperare per chi odia le guerre ma vuole capirle per meglio opporsi).
Una citazione (appropriata) anche per Italo Calvino: «Ogni città riceve la forma dal deserto a cui si oppone».
L’ambiguo concetto di «primitivo» (pagine 139 e 140).
«La realtà è una bella merda colorata. Durante il corso avevano familiarizzato con l’ aggiornamento delle armi all’avanguardia compreso un fucile d’assalto mascherato con un pupazzo di peluche… Un progetto che era costato milioni di dollari, con l’idea di confondere il nemico, rubargli quell’attimo infinitesimo, mostrandogli il volto di Topolino, Paperino o Winnie The Pooh prima di sparargli».
Anche per chi fosse digiuno di blues sono godevoli i riferimenti a «When The Levee Breaks» di Memphis Minnie, a «The Soul of a Man» di Blind Willie Johnson, a «Walk On By» nella versione di Isaac Hayes e a tanti altri.
«Gli eroi sono un’invenzione della letteraura e del cinema».
«La guerra è la merce perfetta».
I ratti per le mine. Varsavia rasa al suolo. I numeri dello sbarco in Normandia. Iraq, Somalia, Colombia, Gaza, Rwanda, Afghanistan…
Capire il nemico… Già. Ma se il nemico marcia (quasi sempre) alla tua testa, chi è l’amico?
LA RECENSIONE FINISCE QUI MA SE VOLETE Ci SONO ANCORA UNA DIGRESSIONE, UNA RIFLESSIONE E UNA TRAPPOLA (SVENTATA)
– Digressione
«Quando si parlava di effetti collaterali, di vittime civili e innocenti si mentiva»: come sempre. La verità su questo conflitto o sulle guerre in genere? Scrive Marco Denti: «Non c’erano rivelazioni. Solo le domande: per chi abbiamo combattuto? Per cosa sono morti, per cosa siamo morti?».
Allora importa in quale città si muore? Mi tornano in mente le incredibili immagini di un docufilm e faccio una digressione.
«Prigionieri della guerra 1914-1918» fu realizzato nel 1995 da Yervant Gianikian e da Angela Ricci Lucchi, due registi che per anni hanno lavorato in Italia. Hanno faticosamente recuperato fotogrammi di anonimi cineoperatori, negli archivi di mezza Europa. Li mostrano con la musica ma senza una parola di commento. Non sappiamo neppure se quelli che vediamo nei campi di prigionia sono gli italiani o i «nemici»… Del resto importa? Sono tutti eguali. Soldati. Prigionieri. Carne da macello. Chi è il nemico?
– Riflessione
Chiuso il romanzo molti pensieri. Mi è venuta voglia di rileggere «Dizionario critico delle nuove guerre» di Marco Deriu (**): non tanto per le notizie (è del 2005: quasi tutto è mutato) ma per il metodo, per lo sguardo lungo, perchè sa studiare al fenomeno guerra nel nostro tempo «come un “fatto sociale totale”, nelle sue connessioni più profonde e meno visibili con la normalità della produzione culturale, sociale, economica e politica della società». Queste riprese in “campo lungo” – con primi piani, flash back e possibili flash forward – continuano a mancarci. Il libro di Deriu all’epoca fece incazzare i paci-finti ma anche veri pacifisti (persone coraggiose che andavano in luoghi rischiosi per soccorrere le vittime) perchè diceva che quel modo di opporsi alle guerre era inutile. La macchina va fermata – sabotata, insabbiata, distrutta – PRIMA, quando c’è la pace (sembra che ci sia … ma produce guerre). Va fermata: anche nelle nostre teste.
– Una trappola sventata
Infine confesso un dubbio. Sempre a libro chiuso ri-pensavo: visto che Denti è un maestro di inganni potrei essere cascato anch’io (da lettore intendo) in un tranello dei suoi. Cioè lui racconta molto bene l’inutilità delle armi, l’insensatezza del militarismo eppure… nel disprezzo della politica sporca (quasi tutta: oggi e presumibilmente domani) come nella constatazione del kaos, ma anche nella sua conoscenza delle armi, potrebbe affiorare l’idea che servirebbero gli eroi: i “guerrieri” di una volta presunti belli e puri; non quelli che ammazzano civili ma che combattono guerre nobili, rischiando per un ideale. Roso dal dubbio ho chiesto a un’amica fidata: «tu lo conosci, vero? che tipo è Marco Denti»? Risposta netta: «critico musicale e musicista, per lustri colonna del mensile di cultura rock-pop-jazz Buscadero, americanista, traduttore, editor, blogger, lettore fortissimo e ottimo recensore, uomo dalla forte coscienza sociale, sempre col sorriso, allergico alla benché minima lamentazione, generoso, padre cinefilo». Beh allora mi posso fidare (di me stesso … intendo).
(*) i più preparati ricorderanno che Alias era il nome del personaggio interpretato da Bob Dylan nel film «Pat Garrett e Billy Kid» diretto da Sam Peckinpah. Ma è solo una coincidenza.
(**) «Dizionario critico delle nuove guerre» di Marco Deriu, edito da Emi.