Fra giusti e peccatori/credenti

Etica e individualismo…alle origini pre-umane
di Giorgio Chelidonio
Chiedo doppiamente perdono al professor Mancuso e alla dottoressa Milano per riportare – alleggerendole – le loro recenti considerazioni su una domanda che rimbomba, probabilmente, fin dalle origini della nostra specie: se, casi patologici a parte, siamo naturalmente dotati di empatia perché la cosiddetta moralità è così labile e

l’etica si riduce troppo stesso a una ipocrita esibizione di “etichetta”? Mi pare assai intrigante mettere a confronto le conclusioni di un filosofo/teologo e quelle di un primatologo. A voi le conclusioni, individuali o sociali….. buona lettura.
Giorgio

«Perché l’uomo ha bisogno che il male venga punito» di Vito Mancuso http://interestingpress.blogspot.it/2014/06/inferno.html
Esiste l’Inferno? E se esiste, quali sono i criteri per esserne rinchiusi o scamparne? Sono queste le due grandi questioni sollevate dal potente discorso di papa Francesco due giorni fa, quando ha levato alta la voce contro chi «vive nel male, bestemmia Dio, sfrutta gli altri, li tiranneggia, vive soltanto per i soldi, la vanità, il potere»; quando ha messo in guardia dal «riporre la speranza nei soldi, nell’orgoglio, nel potere, nella vanità»; quando ha detto che i corrotti non saranno felici «dall’altra parte» e per loro «sarà difficile andare dal Signore»; quando ha tuonato contro quelli che «fabbricano armi per fomentare le guerre» dicendo che «sono mercanti di morte e fanno mercanzia di morte». Contro questi operatori di iniquità il Papa ha proclamato «che un giorno tutto finisce e dovranno rendere conto a Dio». […]
Ma verrà davvero quel giorno? Esiste il giudizio e l’Inferno che ne può derivare? Esiste cioè una logica del mondo cui la libertà deve rendere conto? Oppure quel giorno non verrà e non ci sarà giudizio, perché non esiste logica più grande dell’uomo e il mondo è solo dei potenti e dei furbi? Ben lungi dal rimandare a lugubri e grotteschi scenari con diavoli e arroventati tridenti, l’esistenza dell’Inferno rimanda al senso complessivo del mondo: se esso sia ultimamente governato da una logica di bene e di giustizia cui la libertà deve rispondere (divenendo responsabile) oppure no, perché c’è solo l’arbitrio e la volontà di potenza dei singoli in competizione tra loro. […]
Richiamando corrotti, trafficanti di uomini, mercanti di morte e in genere tutti coloro la cui interiorità è abitata dall’avidità e dalla brama, papa Francesco non ha fatto altro che ribadire la sovranità del bene e della giustizia (che un cristiano chiama Dio) su questo mondo, e la conseguente responsabilità che ne scaturisce. […]
Da ciò consegue piuttosto una domanda per ogni persona responsabile: l’amore per il bene e per la giustizia che talora si accende in noi è solo un personalissimo anelito oppure è la manifestazione di una logica più grande a cui originariamente apparteniamo? Vengo alla seconda questione sollevata dal profetico discorso del Papa. […]
Chi andrà all’Inferno: i non credenti o gli iniqui? […] Il Papa ha detto esattamente il contrario: all’Inferno ci andranno gli iniqui, i corrotti, chi vive solo per il denaro e fa male al prossimo. È il pensiero di Gesù quale appare dal Vangelo con i criteri del giudizio finale basati non sull’adesione dottrinale ma sulla pratica del bene. […] Anche questa è una convinzione universale. Per limitarmi alla religione dell’antico Egitto, nella pesatura dell’anima del defunto il contrappeso era la piuma della dea Maat, personificazione della Giustizia. Ma ancora più notevole è la somiglianza tra il brano evangelico citato e un passo del Libro dei Morti: «Ho soddisfatto Dio con ciò che ama. Ho dato pane all’affamato, acqua all’assetato, vesti all’ignudo, una barca a chi non ne aveva». Queste parole risalgono a 1500 anni prima di Cristo.

«La morale? Impariamola da bonobo e scimpanzè» – Il primatologo De Waal «La religione si è evoluta dall’etica che accomuna molti mammiferi» – su «Tuttoscienze» (supplemento del quotidiano «La stampa») del 2/10/2013 – di Gianna Milano (http://www.lastampa.it)
Frans de Waal, uno dei maggiori primatologi al mondo, osserva il comportamento di questi nostri parenti più prossimi nell’albero evolutivo. […]
«Considerano me e il mio ufficio parte del loro territorio e le persone che vengono a trovarmi non sempre sono gradite: lo fanno capire con gesti come lanciare manciate di fango» dice lo studioso olandese, autore del saggio «Il bonobo e l’ateo: in cerca di umanità fra i primati» (Raffaello Cortina).
Dall’osservazione di questi «cugini» genetici lo studioso ha dedotto che «non c’è bisogno di essere uomini per essere umani». Empatia, altruismo, tenerezza e perfino desiderio di equità e senso morale – come la capacità di distinguere tra ciò che è «giusto» e «sbagliato» e quindi gran parte delle nostre qualità positive – non sono prerogativa esclusiva dell’uomo, ma affondano le radici nel mondo animale. Al punto che si addentra ad analizzare le connessioni tra legge morale e religioni, «che non hanno la funzione di produrla, ma di farle da supporto». […]
«La moralità non è un’innovazione umana, come ci piacerebbe pensare. Alla base della nostra etica ci sono compassione, empatia e consapevolezza dell’altro. Se non si prova tutto questo, è difficile avere senso morale. E poi? C’è la reciprocità dei gesti che significa equità, ossia ricambiare chi fa una cosa buona o giusta per noi, ed essere riconoscenti. Lo si può chiamare senso di giustizia. Anche nei primati tutto questo esiste, ma loro non sono morali nel modo in cui lo siamo noi. Non elaborano “norme”, ma si dimostrano sensibili alle emozioni dei consimili. […]».
Che cosa ci dimostra il confronto tra noi e loro?
«Che la moralità umana non si è sviluppata da zero. E che esistono analogie. Quando parlo di senso morale dell’uomo, intendo dire che abbiamo la tendenza a giudicare noi stessi e gli altri in base a comportamenti buoni o cattivi, ma ciò non significa che agiamo sempre in modo morale, e lo stesso vale per loro. Altruismo, empatia e tenerezza convivono con violenza, crudeltà e intolleranza. Quali di queste tendenze emerge dipende dalle circostanze. Tra i bonobo, il senso della comunità si riflette nei tentativi di ripristinare l’armonia, magari dopo un conflitto, ricorrendo al sesso. Se noi umani abbiamo sentito il bisogno di elaborare norme etiche, è perché non siamo perfettamente morali. Anzi».
Lei si professa ateo, ma ammette di avere per le religioni la curiosità dello scienziato. Quale ruolo attribuisce loro?
«Non sono dell’avviso che la religione debba essere vista in modo negativo. Se gli esseri umani l’hanno sviluppata, io – come biologo – dico che devono avere un ruolo positivo e costruttivo. Non sono dogmaticamente contro la religione, ma curioso verso il ruolo che ha nelle società […]».
Lei sembra screditare il fondamentalismo darwiniano secondo il quale le nostre azioni, buone o cattive, siano dettate dai geni.
«L’evoluzione ha sviluppato le capacità fisiche e psicologiche, come prendersi cura degli altri, ma anche la capacità di uccidere: spetta poi all’individuo decidere. E non è la biologia a determinare quale decisione si prenderà. Faccio parte di quei biologi che non accettano gli scenari secondo cui l’evoluzione è avvenuta sotto la guida dei geni, quelli che Richard Dawkins definisce “egoisti”. Sono soltanto “pezzi” di Dna che non sanno niente e che non si propongono niente. Non siamo nati per obbedire ai geni».

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