«Fumettisti contro youtubers»

di Antonella Selva

Perché amare ancora il nostro desueto media di riferimento

«È sudore, autosufficienza e china contro frivolezza, autoreferenzialità e compiaciuta dipendenza da tecnologie di cui non si sa nulla.

È desiderio di storie, ansia di raccontare col proprio occhio e con la propria mano contro vicarietà, alienazione e parassitismo di storie altrui spacciate per servizio.

È artigianato, concreto amore per gli strumenti del mestiere e cura per gli aspetti materiali contro astrazione e distanza».

Difficile aggiungere qualcosa a questa fulminante chiosa di Andrea Plazzi al gustosissimo volumetto formato telefonino «Fumettisti contro youtubers», dei sette autori del collettivo Blatta production.

Sette storiette satiriche a fumetti – diverse per stile grafico e narrativo ma tutte centratissime – danno voce finalmente a quello che tutti avremmo voluto sapere ma non abbiamo mai osato chiedere: quando è avvenuta esattamente la sostituzione del pensiero, dei contenuti, del talento con il vuoto pneumatico in confezione glamour? Come mai eravamo distratti quando è stato decretato che qualsiasi cosa impegni più di un neurone per volta sia automaticamente da condiderare palloso? Insomma, come è potuto succedere che l’apparire abbia sostituito l’essere?

Bando alle ingenuità, sappiamo bene che il conflitto fra vecchi e nuovi media si riaffaccia a ogni upgrade tecnologico: fotografia vs pittura, TV vs carta stampata, internet vs TV, e a ogni giro gli apocalittici annunciano il baratro laddove gli integrati vedono magnifiche sorti e progressive. I sette Blatta producers, non sono ingenui e infatti non demonizzano i nuovi media audiovisuali che anzi nelle loro storie si ingegnano, pur con qualche riluttanza, di padroneggiare. Ma quando si trovano come fumettisti emarginati nella fiera stessa del fumetto, di cui gli youtuber sono invece le nuove star, quando vedono le librerie riempirsi dei fan del webinfluencer di turno mentre gli autori non richiamano nessuno, o i mostri sacri del fumetto ignorati e più in generale i contenuti e il talento considerati obsoleti di fronte alla spettacolarizzazione e alla popolarità basata su vuote stravaganze, allora è lecito chiedersi perché mai la superficialità sia stata elevata a paradigma. «Siate voi stessi dei personaggi» viene detto loro (citato da Chiara Gabrielli): sì, ma… loro vogliono essere autori!

Pur nella brevità, e tra le righe del format satirico, i sette azzardano una risposta. Non è in sé lo strumento del video il problema, quanto la spinta narcisistica ad apparire, cosa in cui oggi possono riuscire tutti, senza fatica e senza competenze, attraverso la pratica del selfie, più o meno dinamico. È sufficiente dire o fare qualcosa di bizzarro o volgare o apparentemente irriverente (o tutto insieme) e postarne il video per attrarre visualizzazioni e diffondere il proprio prodotto in modo virale. Il sistema pubblicitario farà il resto, pompando automaticamente ciò che è più cliccato e imponendo di fatto non-contenuti come grandi successi che finiscono per oscurare tutto il resto. Ma il più cliccato è anche il più apprezzato? Non necessariamente, anzi probabilmente no, però non importa: è comunque il più adatto a veicolare un messaggio pubblicitario.

Come dire: a seguire il mercato si cade sempre più in basso. (Decisamente il mondo del fumetto si rivela una metafora della società)

I sette trentenni donchisciotte che hanno lanciato l’ambiziosa sfida dal loro “desueto media di riferimento” (citato da Marcus L.) sono in ordine di apparizione: Stefano Werne, Chiara Gabrielli, Sal Modugno, Roberto Cavone, Ruben Curto, Fabio Valentini, Marcus L.

Dato che non siamo su un blog specialistico di fumetto non mi dilungo in considerazioni stilistiche, mi pare che gli spunti siano sufficienti per concludere: leggeteli!

 

Redazione
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