GAME Z – GLI ZOMBIE NEI VIDEOGAMES

 di Fabrizio Astrofilosofo Melodia
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Inoltrarsi in una villa semi abbandonata anche se braccati da cani famelici e schiumanti non sembra essere una buona idea, anche quando uno dei tuoi compagni viene selvaggiamente sbranato da quelle bestie.
Tu e i tuoi compagni siete dubbiosi, vorreste aspettare che l’elicottero ritorni da voi, ma la possibilità sembra davvero remota, e i cani sempre più vicini.
Entrate di corsa dentro e il silenzio regna sovrano, intervallato da cigolii e lamenti che farebbero impallidire i pianti e gli stridori di denti danteschi.
Siete poliziotti dei corpi speciali, bene addestrati e pronti al pericolo, ma tutta questa situazione vi riempie di orrore e vi fa sudare freddo.
Controllate le poche armi che vi sono rimaste, le razioni di cibo e di medicinali in dotazione, facendo poi il punto della situazione: siete stati inviati a soccorrere la squadra Bravo, precedentemente inviata sul luogo in seguito a strane segnalazioni e scomparsa misteriosamente.
Chris Redfield, Jill Valentine, Alfred Wesker, Barry Burton, Joseph Frost ormai defunto e Bill Vickers: questi sono i vostri nomi, da veri sopravvissuti.
Dovete continuare la missione dentro la villa, unico modo per sopravvivere e trovare una spiegazione ai cani rabbiosi che avete trovato fuori.
Durante l’esplorazione vi scontrerete con creature orripilanti, zombie claudicanti probabilmente dei medici ricercatori di un laboratorio, piante gigantesche e carnivore, serpenti mutanti, squali assassini e altri amenità vi sbarreranno il cammino. Alla fine, arriverete a scoprire che la villa altro non è che un laboratorio della “Umbrella Corporation”, un’azienda impegnata in sperimentazioni proibite per ottenere potenti armi biochimiche.
Qualcosa è andato decisamente storto, il virus in sperimentazione è sfuggito al controllo contagiando tutto il personale, gli animali e la flora presenti nell’abitazione, anche voi siete tremendamente esposti al contagio.
L’unico scopo è sopravvivere, in un videogames che ha segnato una svolta in tutto il panorama ludico di zombie: “Resident Evil” (1998), primo capitolo di una serie che si svilupperà nei terrificanti “Resident Evil 2”, “Resident Evil 3”, “Resident Evil 4”, “Resident Evil 5”, “Resident Evil 6”, “Resident Evil Code Veronica X”, “Resident Evil Revelations” e “Resident Evil Operation Raccoon City”.
In questo gioco, progettato dalla Capcom, le scene cruente si sprecano, mentre le creature e gli zombie non sono mai stati cosi realistici, anche negli effetti di sanguinamento e squartamento a cui vanno incontro.
Si gioca scegliendo uno dei due personaggi, maschile e femminile, i quali presentano pregi e difetti che rendono più avvincente la dinamica del gioco.
I non morti tornano a infestare la vostra città mentre voi siete asserragliati sopra a un tetto, ad osservare l’orda dei morti viventi scavalcare gli ostacoli, divorando tutti i malcapitati che arrivano sotto la loro dentatura.
Il videogame “Left 4 dead” (2008), sviluppato da Valve Corporation, presenta una tipologia di zombie completamente diversa da quella che ci ha abituato il cinema di George Romero e anche il precedente titolo: qui non sono stupidi, ma particolarmente aggressivi e determinati a fare male, diffondendo il contagio come in un incendio privo di controllo.
La struttura è “open world”, si sviluppa in una mappa interattiva dove i giocatori sono chiamati ad esplorare per sopravvivere alla marea di non morti davvero furiosa.
Le campagne e le mappe giocabili in modalità Campagna sono rispettivamente 4 e 20 in totale, a formare 4 diversi scenari composti da ben 5 livelli ognuno intervallati dalle fondamentali “Safe House” (le stanze sicure per salvare e rifocillarsi di medicazioni, cibo ed armi con munizioni). Ognuna delle mappe ha una propria continuità e la caratteristica esemplare del gioco è che sono tutte di natura diversa (dal centro rurale a quello urbano e così via) sia tra le campagne stesse che, talvolta, tra i livelli all’interno di esse. L’innovazione di questo gioco è il fatto che sia le mappe (porte, finestre ed altro che a volte sono chiuse altre invece no) che la posizione di tutti gli infetti (compresa la loro ricomparsa eventualmente eliminati) e degli oggetti per l’equipaggiamento (armi, munizioni, medicazioni, ecc.) variano sempre, tanto è che è quasi impossibile determinare ogni volta l’esatta posizione di ciò che si trova all’interno del gioco, qualità che risulta determinante non solo nella modalità “Survival” (tutti cercano di sopravvivere aiutandosi a vicenda, lungo una trama logica) ma anche nella modalità “Versus”, dove i giocatori in rete saranno chiamati a giocare l’uno contro l’altro, immersi in questo scenario da incubo.
Il viaggio continua su “Dead Island” (2011), altro videogame con sistema “open world” sviluppato da Techland e pubblicato da Deep Silver, con una prospettiva in prima persona da giocare singolarmente o in cooperativa fino a 4 giocatori tramite Internet. È incentrato principalmente sul combattimento ravvicinato, con scarsa presenza di armi da fuoco e incorporando personalizzazione delle armi ed elementi mutuati dal Gioco Di Ruolo, come le statistiche dei giocatori che migliorano attraverso l’assegnazione dei Punti Esperienza per ogni azione portata positivamente a termine.
La storia si svolge sull immensa isola di Papua, Nuova Guinea (appartenente immaginariamente all’antagonista del gioco Herald Banoi) grande oltre 2.500 km quadrati e liberamente esplorabile sin dall’inizio.
Dopo una notte di festeggiamenti in un lussuoso albergo, i quattro protagonisti (il rapper Sam B., l’ex giocatore di football Logan, l’impiegata dell’albergo Xian Mei e la bodyguard Purna) vengono svegliati dalla voce registrata del sistema di emergenza che invita i clienti a evacuare l’albergo. Ben presto si accorgeranno che la maggior parte delle persone presenti sull’isola è stata contagiata da un misterioso virus che prima uccide le persone e poi le resuscita, rendendole mostri privi di logica affamati di carne umana.
Il gioco risulta essere particolarmente coinvolgente e le varie modalità, oltre alla libertà di esplorazione, lo rendono uno dei più amati tra gli appassionati di non morti.
“S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl” è uno sparatutto in prima persona ambientato in uno scenario futuristico post-apocalittico in seguito a un secondo disastroso incidente nucleare a Černobyl’.
Il gioco, che riprende l’omonimo film “Stalker” (1979) di Andrej Tarkovskij, è stato sviluppato dalla software house ucraina “GSC Game World”, ed è stato rilasciato il 20 marzo 2007 (il 23 marzo in Europa) dopo oltre 5 anni di sviluppo e numerose smentite e ritardi. Un secondo capitolo, intitolato “S.T.A.L.K.E.R.: Clear Sky”, cronologicamente ambientato prima degli eventi di “Shadow of Chernobyl”, è uscito nel settembre 2008; mentre il terzo capitolo, “S.T.A.L.K.E.R.: Call of Pripyat”, è uscito il 2 ottobre 2009 (25 febbraio 2010 in Europa) ed è ambientato dopo.
Nel 2006, nella dinamica del gioco, avviene una seconda esplosione a Černobyl’, molto più devastante della prima, che porterà a un disastro per 30 km quadrati di territorio radioattivo, denominato la “Zona”. In questo rettangolo, dove le possibilità di sopravvivenza sono rasenti lo zero, infestato da mutanti d’inimmaginabile orrore, solo gli STALKER (acronimo di scavengers, sciacalli, trespassers, trasgressori, adventurers, avventurieri,loners, solitari, killers, assassini, explorers, esploratori e robbers, rapinatori) hanno in coraggio d’entrarvi, per reperire oggetti da rivendere a prezzi esorbitanti al mercato nero.
Nel gioco s’impersona uno STALKER che ha perduto la memoria e che, per ritrovarla, deve portare a termine una missione registrata nel suo parlmare, uccidere un certo Strelok, presumibilmente annidato nel cuore del disastro dell’esplosione, l’impianto nucleare di Černobyl’.
La modalità di gioco è come quella degli sparatutto in prima persona, ma con molta più libertà d’azione e di esplorazione, oltre alla possibilità di modificare le armi in modo personalissimo. Inoltre si può portare con se un’arsenale di armi molto limitato in base al peso trasportabile dal protagonista, oltre a dover far fronte con la fame e l’avvelenamento radioattivo.
Qui gli zombie si trovano più in veste di umani mutati dalle radiazioni ma durante il gioco si farà la conoscenza con altri sfortunati, la cui unica colpa è stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Simile ma in realtà con esisti molto diversi è un videogame con cui concludo questa carrellata, è “The last of us”, sviluppato da Naughty Dog e pubblicato dalla Sony, che presenta una carica emotiva pari ai migliori film di genere, ispirandosi notevolmente a film come “Non è un paese per vecchi” e “The Road” di Cormac McCarthy, dal fumetto “The Walking Dead”, dal romanzo storico “La città dei ladri”, di David Benioff, da quello del 1954 di Richard Matheson,”Io sono leggenda”, e dai film tratti da quest’ultimo.
“The Last of Us è un’esperienza che definisce un genere, mescolando elementi survival e action per raccontare una storia riguardante una piaga che ha decimato la popolazione mondiale. La natura supera la civilizzazione, spingendo i sopravvissuti a uccidere pur di mangiare, trovare armi o qualsiasi altro oggetto utile. Joel, uno spietato sopravvissuto, ed Ellie, una giovane teenager coraggiosa che dimostra ben più della sua età, devono cooperare per sopravvivere al loro viaggio lungo ciò che rimane degli Stati Uniti”, scrive Evan Wells, co-presidente della Naughty Dog a proposito del gioco prodotto dalla sua azienda.
Ecco dunque che si viene a definire completamente un nuovo modo di fare cinema, unendo elettronica e videoludica. L’ultima frontiera consiste nel rendere lo spettatore non più tale ma agente interno direttamente del film, che gioca secondo il proprio soggetto.
Simbologie entrate nell’immaginario collettivo contribuiscono a creare e a rendere vero oltre ogni dire quel mondo virtuale concretamente vissuto dai giocatori, i quali si ritrovano a vivere esperienze e a provare emozioni sopite.
La metafora dello zombie, l’uomo distrutto dal consumismo e dal capitalismo selvaggio, si fa mano a mano più sfumata per arrivare a una consapevolezza completamente altra, allo sfaldamento di tutti i valori, famiglia compresa, ridotti alla mera sopravvivenza e all’egoismo a tutti i costi per poter sopravvivere.
“Con i videogiochi puoi esprimere quello che vuoi, esattamente come con il cinema. Ci sono film che hanno solo bombe ed esplosioni, e ci sono film che hanno grandi storie e che ti spingono a riflettere su te stesso e sulla vita. Dipende da quello che i creatori vogliono esprimere e sperimentare, da ciò che vogliono dare alla gente”, afferma in un intervista Hideo Kojima, guru della casa produttrice Konami e autore della fortunata serie del videogame “Metal Gear Solid”, considerato all’unanimità uno dei videogiochi più belli dal punto di vista della giocabilità, della trama e dello spessore filosofico e cinematografico.
L’arte videoludica è paragonabile perfettamente alla letteratura, alla pittura, alla musica, alla cinematografia: arriva ad unirle tutte per dare qualcosa di nuovo e potente al mondo.
redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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