Genocidio di Herero e Nama: i tedeschi chiedono scusa….

e forse l’Italia dovrebbe prendere esempio

di Gianni Sartori

Con colpevole ritardo – non posso seguire tutto in “tempo reale” – apprendo che il processo definito, forse in maniera non del tutto appropriata, di “Riconciliazione” per lo sterminio di Herero e Nama in Namibia (all’epoca “Africa tedesca del Sud-Ovest”) va compiendo ulteriori passi avanti.

Nel 2018 la Germania (Stato colpevole e reo-confesso) aveva pubblicamente ammesso le proprie colpe e in agosto la Chiesa evangelica tedesca (EKD, luterana) chiedeva perdono per quello che viene considerato il primo genocidio del XX secolo; precedente sia a quello armeno sia a quello ebraico ma non ovviamente il primo della Storia. Basti pensare a quelli subiti da “indiani” e “indios” nel continente americano per mano degli europei (rispettivamente anglosassoni e latini).

Il sistematico massacro di Herero e Nama si colloca tra il 1904 e il 1907, ossia nel periodo delle “guerre herero” (un eufemismo, in realtà si trattava di colonizzazione brutale e sanguinaria). Per soffocare la ribellione dei nativi, il generale Lothar von Trotha ricorse ad ogni possibile mezzo “non convenzionale” come l’avvelenamento dei pozzi.

E’ passato alla Storia il comunicato – in stile nazista ante litteram – rivolto dal generale tedesco agli Herero sopravvissuti dopo la battaglia di Waterberg: «Il popolo Herero deve lasciare il Paese. Ogni Herero che sarà trovato all’interno dei confini tedeschi, con o senza arma, con o senza bestiame, verrà ucciso. Non accolgo più né donne nè bambini: li ricaccerò alla loro gente o farò sparare loro addosso. Queste sono le mie parole per il popolo Herero».

Nel novembre 1904 – su preciso ordine del cancelliere del Reich von Bulow – iniziava la costruzione dei Konzentrationslager (tradurre mi sembra superfluo) per gli Herero (in gran parte donne e bambini) sopravvissuti. Prima vennero schedati in quanto “idonei al lavoro” o meno, poi utilizzati sia come schiavi, sia come cavie per esperimenti definiti medici e scientifici (sterilizzazione, inoculazione di germi del vaiolo, della tubercolosi, del tifo…). Metodi artigianali – un tragico “banco di prova” – propedeutici a quanto il nazismo opererà poi su scala industriale.

Lo scienziato tedesco (scienziato? Pazzo criminale piuttosto) Eugen Fischer compì esperimenti sui mulatti cioè i figli di donne Herero e di coloni bianchi, arrivando alla conclusione che «per le razze inferiori l’unica soluzione era quella dello sterminio totale». In nome della purezza della razza. Non è poi secondario ricordare che Fischer divenne rettore dell’Università di Berlino avendo fra i suoi studenti Josef Mengele, l’allievo destinato a superar – in orrori – il maestro.

Se all’inizio dell’occupazione tedesca gli Herero erano circa 100mila, alla fine ne rimanevano soltanto 25mila. Cifre analoghe a quelle registrate in Libia, colonia italiana.

Solo nel 1985 le Nazioni Unite arrivarono a definire lo sterminio pianificato di Herero e Nama come genocidio (anche se talvolta, minimizzando, si è parlato di «tentativo di genocidio»). All’epoca la Namibia era ancora sotto l’occupazione di Pretoria che vi aveva introdotto l’apartheid e combatteva aspramente – grazie anche ai “volontari” neofascisti europei – contro il movimento di liberazione SWAPO.

Risale al 2004 un primo, modesto «riconoscimento della proprie responsabilità» da parte del governo tedesco. Ma per quanto “modesto”, sempre meglio dell’Italia. Chi governa a Roma (come da millenaria tradizione) si è specializzata nel confondere le acque in base al luogo comune – un falso storico – degli “Italiani brava gente”. Così in merito ai vari massacri perpetrati dagli eserciti d’Italia contro le popolazioni civili e sempre negati: dalla guerra di Spagna (bombardamenti su Barcellona e non solo) alla Libia, dall’Etiopia, alla Jugoslavia nella Seconda guerra mondiale. Per non parlare del collaborazionismo fascista nella deportazione e sterminio degli Ebrei.

Il 29 agosto 2018 Berlino ha restituito i resti mortali di persone Herero e Nama portati in Germania nel corso del periodo coloniale (1884-1919) e in occasione di tale evento è stato celebrato – presso la Franzosische Friedrichstadtkirke di Berlinoun culto commemorativo a cura della Chiesa evangelica tedesca e del Consiglio delle Chiese in Namibia. Dopo la cerimonia, i resti sono stati consegnati ai rappresentanti del governo namibiano in un atto ufficiale del ministero degli Esteri tedesco e dell’ambasciata di Namibia. Due giorni dopo, il 31 agosto, nella capitale namibiana – Windhoek – si è svolta un’analoga cerimonia di Stato. Era intervenuto Ernst Gamxamub, vescovo della Chiesa evangelica luterana nella Repubblica di Namibia (una Chiesa membro della Federazione luterana mondiale). Congiuntamente a Petra Bosse-Huber, vescova per le relazioni ecumeniche e responsabile per i pastori all’estero. Nel suo sermone Gamxamub ha rivolto un appello affinché possiamo «imparare dal nostro passato per scrivere nuovamente il nostro futuro, caratterizzato dai seguenti valori: dignità umana, rispetto, uguaglianza, buona convivenza». Per la pace e la giustizia.

«Insieme ai discendenti delle vittime – aveva aggiunto Petra Bosse-Huber – intendiamo mantenere viva la loro memoria, sostenere pubblicamente il riconoscimento del genocidio e lavorare per sconfiggere i torti commessi dal domino coloniale tedesco».

A quando un’analoga ammissione di colpa per l’operato italico?

IN “BOTTEGA” confronta Genocidio di Herero e Nama, qualcosa si muove in Germania e Scor-data: 1 dicembre 1904. Dei crimini coloniali (e non solo) degli “italiani brava gente” abbiamo scritto più volte; ma sempre troppo poche, come dimostra il fatto che quasi ogni volta riceviamo messaggi di insulti, segno di un “nervo scoperto” al quale gli ignoranti e i bugiardi reagiscono negando tutto.

 

 

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