Giacomo Leopardi: scoiattoli alle noci?

di Fabio Troncarelli

 

A Hyde Park c’è gente che dà noci agli scoiattoli.

Ma se lei è più felice dando scoiattoli alle noci

chi sono io per dirle “noci agli scoiattoli”?

Ernst Lubitsch: «Cluny Brown»

Il 29 giugno 1798 nasceva Giacomo Leopardi. Cosa dire di lui che non sia stato già detto? Eppure così facendo gli si fa il peggior torto che si possa fare. E soprattutto il peggior torto che si possa fare a un personaggio come lui, che è stato così segnato dalla ferita mai rimarginata dell’esclusione e dell’indifferenza. Per questo bene ha fatto Mario Martone, con la sua proverbiale incoscienza, a girare un film impossibile come «Il giovane favoloso»: bellissimo, inattuale, controcorrente, contro ogni logica, contro tutto e il contrario di tutto. Ma ci pensate? Un film su un poeta, nel quale la scena conclusiva è la lettura allucinata di una poesia che parla dell’eruzione del Vesuvio, di una catastrofe storica che diviene cosmica, nella quale l’essere umano un attimo prima di sparire nel nulla brilla contro il cielo come il fiore della ginestra, inutile e struggente. Eppure Martone il film inutile e struggente l’ha fatto. E Leopardi la poesia inutile e struggente l’ha scritta. E l’ha lanciata nel mare del tempo come un naufrago lancia una bottiglia con i suoi ultimi pensieri. Pensieri che conosceremo chissà quando, chissà dove, moltissimo tempo dopo, come la luce di una stella che si spegne che noi vediamo ancora mentre la stella lontana è scomparsa. Se c’è una cosa che la poesia di Leopardi ci insegna è la sua inutilità. La sua gratuità. L’assoluta fatuità della sua esistenza di cui rimane a noi solo un’eco, solo un profumo svanito come quello della ginestra. Leopardi non ha nulla da insegnarci. Non è vero quello che tanti critici filistei hanno affannosamente cercato di farci credere che sia un intellettuale lucido, spietato, un filosofo materialista, un fratello delle nostre battaglie per i diritti dell’uomo. Tutte chiacchiere. E tutte chiacchiere quelle di altri critici che hanno provato affannosamente a denunciare il pessimismo del poeta, a negarlo, a edulcorarlo, a dargli un senso. Leopardi è senza senso. Come il fiore del deserto. Perché allora ci interessa? Perché la vita di tutti è senza senso. Solo se lo ammettiamo ci rendiamo conto di chi ci sta intorno. Solo se riconosciamo l’assoluta gratuità e inutilità degli esseri umani possiamo capire quello che Leopardi ci vuole far capire con una poesia come A Silvia. Il dolore che ci spezza il cuore davanti a una vita spezzata, che affiora alle labbra con parole che sembrano un canto, un canto di culla, una ninna-nanna:

Quando sovviemmi di cotanta speme,

Un affetto mi preme

Acerbo e sconsolato,

E tornami a doler di mia sventura.

Senza saperlo Leopardi, chiuso nel suo natio borgo selvaggio, scrivendo queste parole è europeo, internazionale, moderno. E’ entrato in sintonia con Dostoevskij che scrive: «Quando un piccolo esserino che non è ancora in grado di capire che cosa gli stanno facendo, si colpisce il petto straziato con il suo pugno piccino, al freddo e al gelo di quel lurido postaccio, e piange lacrimucce insanguinate, dolci, prive di risentimento al “buon Dio”, perché lo difenda? La capisci questa assurdità, amico mio, fratello mio, pio e umile novizio di Dio, tu lo capisci a che scopo è stata creata questa assurdità, a che cosa serve? Senza di essa, dicono, l’uomo non avrebbe potuto esistere sulla Terra, giacché non avrebbe conosciuto il bene e il male. Ma a che serve conoscere questo maledetto bene e male, se il prezzo da pagare è così alto? Infatti, tutto un mondo di conoscenza non vale le lacrime di quella bambina al suo “buon Dio”. Non sto parlando delle sofferenze degli adulti, che hanno mangiato la mela, che vadano al diavolo e che il diavolo se li pigli tutti quanti, ma di quelle dei bambini, dei bambini!» (Fedor Dostoevskij, «I fratelli Karamazov», Einaudi 2014, pag 335).

Bene, direte voi. Non ci resta che il suicidio. Non è vero. Non lo dice neppure Leopardi che è così disperato.

Nobil natura è quella

ch’a sollevar s’ardisce

gli occhi mortali incontra

al comun fato, e che con franca lingua,

nulla al ver detraendo,

confessa il mal che ci fu dato in sorte,

e il basso stato e frale;

quella che grande e forte

mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire

fraterne, ancor piú gravi

d’ogni altro danno, accresce

alle miserie sue, l’uomo incolpando

del suo dolor, ma dá la colpa a quella

che veramente è rea, che de’ mortali

madre è di parto e di voler matrigna.

Costei chiama inimica; e incontro a questa

congiunta esser pensando,

siccom’è il vero, ed ordinata in pria

l’umana compagnia,

tutti fra sé confederati estima

gli uomini, e tutti abbraccia

con vero amor, porgendo

valida e pronta ed aspettando aita

negli alterni perigli e nelle angosce

della guerra comune.

(«La ginestra», versi 111-135)

Potete credergli o no. Il punto non è questo. Il punto è che si parli di queste parole. Che ognuno le rispetti.

Il poeta è un uomo inutile che ci insegna a pensare che la sua vita non è inutile. Come ha scritto Francois Truffaut a proposito di Hitchcok: «Questi artisti dell’angoscia non possono evidentemente aiutarci a vivere, perché vivere per loro è già difficile, ma la loro missione è di dividere con noi le loro ossessioni. Con questo, anche ed eventualmente senza volerlo, ci aiutano a conoscerci meglio, il che costituisce un obiettivo fondamentale di ogni opera d’arte» (F. Truffaut, «Il cinema secondo Hitchcock», Il Saggiatore 2009, pag 22).

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Redazione
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