Gino Di Costanzo: “Draquila, l’Italia che trema”

Difficile parlare di questo film senza raccontarlo, essendo composto da frammenti auto-narranti racchiusi in un piccolo mosaico dal chiaro impianto strutturale.

Sabina Guzzanti sceglie opportunamente di privilegiare testimonianze, prove documentali, immagini, frammenti audio di conversazioni intercettate (ancora lecitamente intercettabili), riprese “rubate”, limitando al massimo la sua presenza davanti alla macchina da presa e confinandosi per lo più nella voce fuori campo. Il taglio asciutto delle sequenze e dei testi, l’intrinseco potenziale emotivo di alcune immagini e un discreto montaggio – che non possiede ancora la maestria ritmica dell’amico Michael Moore – conferiscono sufficiente agilità alla costruzione della Guzzanti per snocciolare con chiarezza la sua tesi: questa  emergenza post-terremoto è stata convertita in salvagente d’immagine per un Berlusconi in ribasso nei sondaggi, ma soprattuttogestita come sistema di spartizione di denaro pubblico“tra amici” attraverso l’abnorme estensione delle competenze della Protezione Civile, garantita da anabolizzanti leggi ad hoc. E’ questo il nucleo del film che, mediante dichiarazioni di tecnici, ex funzionari della stessa Protezione Civile, politici e giornalisti locali, svela il volto tentacolare della creatura diretta dal medico Bertolaso.

Quasi tutto può essere definito arbitrariamente emergenza o grande evento, chiarisce la regista, ed è incredibilmente annullata la differenza fra investimento di interesse pubblico e lucro privato, consentendo di bruciare nelle fornaci del mostro bertolasiano immani risorse economiche: persino un misero pellegrinaggio di Ratzinger in Liguria, cioè il viaggio del monarca di uno Stato estero nel nostro Paese, viene finanziato dallo Stato italiano che lo classifica come grande evento.

Con un calibrato uso del flash-back il film mostra la disinvoltura con cui la Protezione civile ha snobbato i primi “avvertimenti” del suolo e gli allarmi dei geologi preposti, fornendo alle autorità locali ed alla popolazione rassicurazioni totalmente campate in aria. Poi, dopo il tragico evento, in soli tre o quattro giorni, ecco spuntare un Piano Casa completo e corredato di tutti i dettagli attuativi. Viene fuori – ed è un innegabile merito – la strategia messa in campo dalle istituzioni: si svuota la città e la si abbandona, lasciando che “rosoli” a fuoco lento; si costruiscono in provincia, in barba a ogni piano urbanistico vigente, piccoli insediamenti profittevolmente costosi e paesisticamente distruttivi, che, “ovviamente”, avranno bisogno di servizi e attrezzature che verranno realizzati poi; quindi la città, espropriata con la forza ai suoi cittadini e cotta a puntino, dopo qualche tempo (cioè quando è architettonicamente compromessa ed economicamente morta) diviene l’ennesimo osceno pasto per gli appetiti dei “compagni di merende”, il tutto a norma di legge, o quasi.

Sabina Guzzanti, trattenendo e comprimendo la sua abituale ironia, lascia che siano i protagonisti a narrare, spesso inconsapevolmente, del disegno governativo e delle sue tecniche attuative sul territorio. Si apprende così dell’incredulità e dello stupore per la sospensione dei diritti civili nei campi di accoglienza, lager sperimentali interdetti agli “estranei” con coprifuoco annesso,  divieto di “assembramento” (anche diurno) e persino di bere Coca-Cola o caffè, ritenute troppo eccitanti; si ascoltano tecnici e urbanisti che mostrano l’insensatezza dei nuovi insediamenti nella provincia circostante e spiegano la lievitazione del costo delle nuove residenze in relazione a ridondanti accorgimenti antisismici; si percepisce la diffidenza e la paura verso i rappresentanti della Protezione Civile e delle forze dell’ordine che minacciano ripetutamente i più riottosi;  ci si  indigna per inutili e violenti sgomberi coatti da residenze non pericolanti; ci si commuove per molte  morti che con poco potevano essere evitate.

Una felice intuizione della Guzzanti è stata dare voce anche a quegli aquilani che nella emergenza si sentono fortunati e grati a Menomalechesilviocè, dai primi assegnatari delle nuove case – dove poi si scopre che non si può nemmeno piantare un chiodo, pena il risarcimento del danno – ai deportati negli alberghi della costa. Fra questi ultimi vengono interpellati alcuni anziani sinceramente contenti, e altri, ancora lucidi e consapevoli, piombati nella sindrome da sradicamento e preda della depressione.

Nemmeno l’opposizione politica è scampata all’occhio impietoso della regista: una tenda del Pd perennemente vuota  e la demoralizzazione dei rappresentanti di base condannano coloro che dicevano di voler vigilare sulle malefatte della maggioranza.

La sensazione che lascia la visione è che gli unici soldi non sprecati siano quelli spesi per il biglietto. Non un capolavoro ma un film denso, che sa intelligentemente evitare uno sterile antiberlusconismo di principio e che rende onore all’impegno di Sabina Guzzanti.

USCITA CINEMA: 07/05/2010

REGIA: Sabina Guzzanti

SCENEGGIATURA: Sabina Guzzanti

FOTOGRAFIA: Mario Amura, Clarissa Cappellani

MONTAGGIO: Clelio Benevento 

MUSICHE: Riccardo Giagni, Maurizio Rizzuto

PRODUZIONE: Secol Superbo e Sciocco Produzioni, Gruppo Ambra, ALBA Produzioni

DISTRIBUZIONE: BIM

PAESE: Italia 2010

GENERE: Documentario

DURATA: 93 minuti

Redazione
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