Giovani e nuovi assessori… rivoluzionari?

di Angelo Maddalena

Altan-Nuovi

Da un po’ di tempo a questa parte osservo nuovi volti della politica nazionale e locale; da almeno due anni, da quando il sindaco in una città siciliana è entrato a piedi nudi al Comune per iniziare il suo mandato. Altri luoghi che mi è capitato di attraversare mi hanno fatto incontrare “giovani” anche amici o comunque conoscenti che, partendo da un percorso di lotte popolari e autogestione sono entrati nelle istituzioni con incarichi culturali ecc. Poi ci sono nuove giunte comunali vicine e lontane promettenti, a cinque stelle e non solo. Io premetto che non ho mai lavorato con le istituzioni per i miei spettacoli, e ciò mi ha permesso totale indipendenza rispetto alle istituzioni (provincia, regione, Comune, teatri stabili ecc.).

Nel libro che abbiamo pubblicato e autoprodotto con altri 5 colleghi scrittori, cantautori e attori di narrazione, spiego – e spieghiamo – molte cose che riguardano rapporti fra artisti autoprodotti e istituzioni ecc. Il libro si chiama «Poveri poeti e pazzi» (autoproduzioni Malanotte, dicembre 2014, chi vuole può chiedere una copia gratuita in pdf). In quel libro raccontavo di una esperienza abbastanza traumatica con un assessore “amico”, il quale mi aveva spinto a scappare dalla possibilità di collaborare con quella istituzione (una provincia del centro Sicilia) per la meschinità dell’offerta che mi faceva. Ed era un assessore “amico”, cioè che io conoscevo e da cui mi aspettavo un minimo di rispetto. Invece… jocanu a futtiri cumpagnu, mi ero detto quella volta. Poi mi sono reso conto che questa cosa è sempre più diffusa. Allora che pensare? La prevedibile formula: “il potere trasforma e avvilisce anche i più volenterosi e ben intenzionati?”. Potrei uscirmene così e concludere qui il discorso, tra cinismo e risaputezza di certe logiche e meccanismi di potere più o meno recente e più o meno “nuovo”. Ma io sono curioso, forse anche ottimista, e ho voluto credere, vedendo “amici” più o meno giovani, in diversi luoghi della penisola, che valeva la pena investire aspettative (sebbene il mio scetticismo non mi spingeva più di tanto a credere in “nuovi e giovani assessori”). Ora non vorrei si pensi a questioni personali e non riferirò niente di personale, benché potrei farlo. Parlerò di realtà osservate da lontano e da vicino ma non necessariamente realtà con cui sono venuto a contatto direttamente. La panoramica che viene fuori è la seguente: io ancora aspetto di conoscere amici o giovani o persone impegnate nel sociale che entrati nelle istituzioni con diverse mansioni (sindaco, assessore, delegato alle attività culturali) abbiano compiuto gesti significativi in direzione di un cambio di rotta rispetto alle vecchie amministrazioni. Non voglio dire che non ce ne siamo, sono sempre speranzoso e fiducioso che quei quattro esempi ai quali io mi riferisco siano eccezioni o quanto meno non rappresentativi, ma è un fatto che sono quattro su quattro! E, attenzione, io parlo di realtà di cui ho avuto testimonianze di altre persone, ho valutato con un minimo di oggettività, ho aspettato mesi se non anni per esprimere un mio giudizio. Una cosa mi ha sconvolto di una ragazza (oggi assessora di un Comune a me vicino) che conosco da un po’ di tempo e che prima delle elezioni comunali di maggio 2015, parlando con una signora settantenne, per convincere la signora a votare per lei, le ha detto «voti per noi che siamo giovani». A parte l’aspetto anagrafico, e cioè che questa ragazza ha qualche anno più di trenta, ma oggi l’adolescenza è lunga… quindi ci sta! Ma la cosa mi colpisce, e ho pensato che questa ragazza (e altri del suo “schieramento” a cinque stelle) dice peste e corna di un altro “giovane” che è alla presidenza del Consiglio da due anni circa. Quindi, delle due l’una: o la gioventù non è una garanzia, oppure stiamo facendo due pesi e due misure. Così è per il sindaco a piedi nudi, come per altre realtà osservate: sembra che la novità non regga, e soprattutto il potere si serve delle nuove leve giovani o dal volto “buono” per fare quello che con i volti vecchi o “vecchi” per età non è più possibile fare. E’ una cosa molto insidiosa, perché a un volto e a un corpo giovane è difficile dire «quello è disonesto oppure è come quegli altri», o meglio: puoi dirlo ma ti pare di fare il disfattista perché «se sono giovani è già un cambiamento», oppure «stanno scardinando alcune cose che una volta erano dominanti e oggi si sgretolano», e magari è anche vero, in parte o interamente. Però c’è dell’altro. Per esempio ci sono assessori giovani che hanno linguaggi e atteggiamenti che ricordano molto quelli dei vecchi, e questo non si può negare. Cosa pensare? Come gestire queste nuove “insidie”? Per me, e da un punto di vista anarchico, è molto semplice: il Potere è potere: non c’è fare o dire, va abolito, distrutto, o quanto meno messo in discussione e non sostenuto né votato. Però si può articolare un discorso per capire dove stiamo andando a parare oggi, con i piedi nudi nelle sale consiliari, con giovani che da esperienze di lotta popolare e autogestita entrano nelle istituzioni e disattendono aspettative che loro stessi hanno promosso fino a poco tempo prima ecc. Dice: va beh, una cosa è l’entusiasmo e fare le cose al di fuori delle istituzioni, un’altra cosa è “l’arte della politica”, e quindi della mediazione. A questo punto possiamo giustificare qualunque malefatta, o no? Un limite ce lo dobbiamo dare. O meglio: dobbiamo capire da dove viene tutta questa “confusione” e dove porta. Intanto diciamo che le energie popolari e di autogestione delle risorse individuali finalizzate a rafforzare la cosa collettiva, è chiaro che si sviliscono e si annientano quando vengono incatenate e diventano controllabili dalle istituzioni. Facciamo un esempio: se io come amministrazione comunale propongo di fare attività di volontariato per pulire le strade, e i consiglieri e gli assessori si fanno carico personalmente di questo slancio, è una bella cosa; però, se rimane una attività simbolica può diventare propaganda e a lungo termine non abbiamo risolto nulla. Di contro, se continua e prende piede, a un certo punto, per essere “rivoluzionaria”, deve diventare qualcosa che toglie peso ai cittadini: per esempio, ragionando un po’ per “utopia”, i cittadini diventano curatori o “spazzini” delle proprie contrade, ma allora non dovrebbero più pagare le tasse della spazzatura! Se no va a finire che siamo curnuti e mazzijati! Perché gli assessori e i consiglieri sono remunerati per il loro lavoro, fanno volontariamente gli “spazzini” poche volte al mese per due mesi ed è finita lì, mentre i cittadini pagano le tasse e fanno “gli spazzini” e … finisce lì! Ci sarebbero altri esempi da fare, ma a me interessa parlare di un sottobosco, di un sostrato. Ho frequentato alcuni “giovani” di recente diventati assessori. Ho parlato con alcuni di loro vedendo (e mi sono preoccupato) una sicumera tipica di chi ha chissà quali esperienze e un linguaggio sprezzante al limite dell’affronto e dell’offesa, soprattutto giudizi sentenziosi del tipo: chi non vota e si dice anarchico è un soggetto che non partecipa ed è pericoloso come o più di chi gestisce il potere e robe del genere. Mi preme dire che parla un “giovane” senza aver fatto esperienze di viaggio e di conoscenza della realtà, senza aver visto né partecipato a movimenti di lotta popolare che partono dal basso, cioè senza aver avuto né coltivato la curiosità di conoscere tutto ciò: per me è un soggetto che ha saltato un passaggio fondamentale del suo percorso formativo. E, soprattutto, non è un “giovane”: perché, come dice e scrive un sociologo italiano di cui non ricordo il nome: «la complicità fra generazioni è più dannosa del conflitto» (lo scriveva a fine anni ’90 del XX secolo sulla rivista «Social Trends»). E ancora: un percorso di formazione politica e morale che salta la dimensione del conflitto fra le classi, fra istituzioni e realtà non istituzionali o antiistituzionali (movimenti di lotta popolare in generale, anarchici, autogestioni ecc) è un percorso monco, quindi stiamo attenti a parlare di “giovani” con l’accezione quasi automaticamente “nuova” e “rivoluzionaria”. E questo è un fatto, o una dimensione di tipo generazionale e antropologica, cioè del periodo che stiamo vivendo, a partire dagli anni ’90 del XX secolo che sfocia in certe derive dei nostri giorni. Poi si declina con varie sfaccettature in luoghi e contesti più o meno istituzionali. Per dire che non mi rivolgo a persone specifiche per motivi personali o locali. Potrei parlare anche di soggetti che gravitano in circuiti alternativi e di lotta popolare che ospitano soggetti (artisti in questo caso) già strapagati da grandi teatri con soldi pubblici e anche presenti in circuiti televisivi ecc, e poi non solo vengono ospitati in spazi alternativi e non istituzionali (centri sociali, posti occupati ecc) – che non sarebbe cosa malvagia in sé – ma vengono pagati con cachet che certi posti non potrebbero permettersi o che non ci sono per artisti autoprodotti e “amici”. E’ un discorso lungo che varrebbe la pena di sviluppare. Luca Privitera, con il quale abbiamo prodotto il libro «Poveri poeti e pazzi», sta realizzando una serie di interviste ad artisti di teatro e canzone, che sviluppano certe tematiche: attendiamo sviluppi, al momento si trova tutto pubblicato sul blog di Ultimo Teatro.

LA VIGNETTA E’ DI ALTAN

 

 

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