Giovani, precari, a casa con i genitori. E la pensione è un sogno

di Gianluca Cicinelli

Prendi un migliaio di giovani sotto i 35 anni, gli chiedi cosa fanno, cosa hanno studiato, come e con chi vivono, e ti accorgi che la loro autonomia abitativa ed economica resta un sogno che non si realizzerà a breve. Un quadro desolante quello evidenziato dal Report del Consiglio Nazionale del Giovani in collaborazione con Eures  e anche una ricerca che lascia irrisolta qualche perplessità, come vedremo. A cinque anni dal completamento degli studi il 37% del campione ha un lavoro stabile, mentre un quarto degli intervistati è disoccupato. Soltanto il 12%, possiede una casa di proprietà e tra chi vorrebbe averla risulta che il 40% dei giovani non fa richiesta per un mutuo. Si può dire che siamo tornato molto indietro rispetto alle possibilità di autonomia dalla famiglia d’origine di trent’anni fa? Perchè questa ricomposizione sociale non si limita all’interno del nucleo familiare ma riguarda l’intera società italiana.

Torniamo ai nudi numeri che non lasciano molto spazio alla fantasia e ai ricami dialettici. Il 50,3% degli under 35 vive ancora con i propri genitori, quattro su diecio da soli o con un partner. A conferma dell’importanza del lavoro contrattualmente definito, il 56,3% dei giovani intervistati che e’ riuscito a creare un nucleo familiare aveva un lavoro stabile rispetto al 33% dei loro coetanei alle prese con lavori precari e discontinui. Si potrebbe pensare, volendo assolvere il sistema, che la causa di tanta instabilità sia da ricondurre a una formazione scolastica e professionale interrotta, ma non è così perchè a partire dal diploma di scuola media superiore o della laurea, dopo cinque anni solo un italiano su tre può contare su un lavoro stabile a fronte del 26% che consiste in giovani precari con contratto a termine e il 24% direttamente disoccupato. Sarebbe sbagliato leggere questo dato soltanto alla luce del presente perchè gli under 35 di oggi tra trent’anni circa saranno in età pensionabile e il sistema previdenziale italiano dovrà reggere l’urto di una massa critica che a causa del lassismo istituzionale nei controlli sulla regolarità del lavoro, leggi mancati contributi versati all’Inps, potrà contare più su interventi sociali che previdenziali.

Particolarmente indicativo il dato che sul campione in esame soltanto il 6,5% ha figli mentre il 33% non li vuole o non ha previsto di averne. Il motivo è sempre lo stesso, la mancanza di garanzie occupazionali nel presente e nel futuro. E’ talmente lontano dall’orizzonte dei giovani il problema pensionistico che a domande precise su come funzioni la previdenza italiana che il 68% di loro non sa come si calcola il 44% pensa che l’età per la pensione sia dopo i 70 anni. Ancora più gravi il disagio e l’angoscia percepito da otto ragazzi su dieci per la futura pensione, con il 29% di loro che esprime paura, il 24% frustrazione e il 25% rassegnazione. Va adesso segnalata una discrepanza in questa ricerca da sottoporre ai più attenti tra i lettori e lettrici. Se il 68% degli under 35 intervistati non ha idea di come funzioni il sistema pensionistico è poi curioso trovare tra i dati esaminati che il 38,3% sarebbe a favore della riforma Fornero, 37,4% i contrari e 18,6% neutrali. E’ un dato abbastanza sospetto, puzza di politica più che di ricerca statistica, confermato dalla preoccupazione che avrebbe il 34,1% del campione di risanare le casse dell’Inps tramite il sistema contributivo, mentre il 10,3% ritiene invece che tale riforma responsabilizzerà i giovani sulla costruzione del proprio futuro e il 15,8% che stimolerà nelle imprese una maggiore sensibilità verso la situazione dei giovani.

Bisognerebbe capire come sono state poste le domande. Non è costume di chi scrive criticare il metodo di ricerca che sicuramente si basa su fondamenta solide, tuttavia il dato che abbiamo messo a confronto è estremamente stridente e necessiterebbe di spiegazioni ulteriori. Una contraddizione che si accentua quando viene sottoposta ai giovani una domanda sui possibili effetti negativi che comporta il mancato versamento dei contributi. Il 36,5% pensa che comporterà la diminuzione degli importi dell’assegno pensionistico e il 12,9% ritiene che così si rafforzi il potere di ricatto delle imprese sui giovani. Ciò su cui tutti concordano, il 94%, è che dovrebbe essere lo Stato a impegnare le proprie risorse per assicurare una pensione adeguata alle nuove generazioni, per esempio con i contributi figurativi. Insomma mentre una prima parte di questa ricerca presenta tratti interessanti relativi al puro dato statistico sulle condizioni oggettive in cui vive la maggior parte dei giovani al di sotto dei 35 anni, il resto della ricerca deresponsabilizza l’evasione contributiva dei “padroni”, perdonerete il termine antico, o delle aziende, chiedendo o facendo chiedere a chi dichiaratamente ammette di non sapere quasi nulla del sistema pensionistico un intervento risolutivo dello Stato anzichè dei privati che dovrebbero versare i contributi. In macroeconomia e negli ambienti accademici tale teoria si definisce: fare i liberisti col culo degli altri.

ciuoti

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