Giuliano Bugani: Marzabotto, Reggio, 2 agosto 1980

Monologo di Giuliano Bugani

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Furore. Dentro questa cassa arida, città maledetta, città che fu di morte mia, vostra, loro. Morte di tutti e di nessuno sia. Impeto, di cane, che ringhia, al cielo, mentre accanto, bastardi, tagliano gole, di vermi. Pietre parlino, ORA, è stato detto. Ma qui tutto tace. Nei legni marci di soffitte, nei legni marci di casse spalancate, profanate, tutto è marcio qui. Tutto qui, tace. Solo la mia voce, interrotta da pulsazioni sanguigne, si ascolta. Solo la mia voce, qui, s’ascolta, singhiozzante, ululante, di cane morto, bastardo, come sulla croce di maledetto, LEGNO MALEDETTO. Spaccato, bruciato, arso, scheggiato,   esploso, dilaniato. Piego scheletri che si frantumano tra le mani, mie, ASCOLTAMI! Ho detto mie mani. PILATO, non ti piegare anche tu. Tu sei vivo. Ti sento ragliare. Hai preso forma e sembianza, e nonostante tutto ti pieghi e ragli. PERCHE’? Perché Pilato, guardami, guarda le mie mani, staccate dai polsi, le gambe amputate, le teste decapitate. GUARDALE TI DICO! Città di mensali, è questa forse la tua città? Lascio tracce come lumache, rospi che le attendono, una traccia dietro, corpi invertebrati, strisciano, come loro io sto strisciando sulla mia fine vita, vita infinita, vita finita. Puttana vita che mi diede incalzando rospi sulle prede lente ignare. Gonfia vita che mi prese impronte per godersele nella propria gola malata. Cancro vita, che mi fece grumo e tacere di sguardi sugli altri occhi di altri che altri non erano. CITTA’ MALEDETTA! Atlantide sommersa. Chiusa nei tuoi cortili, nelle tue corti, terre, pianura, bagnate di acqua salata di estuario. Confondimi, ma so distinguere i vermi, le teste e i piedi. Città di croci. Città di messe. Città di calici. Confondimi, ma so distinguere, so generare, non creare, urlo, fantocci, pupazzi, urlo ancora, ed esce, ora, esce la distinzione tra vita e morte, per quanto sottile essa sia.

(un coro di voci elenca questi primi dodici nomi delle vittime della strage del 2 agosto 80)

Zona di Sperticano, come Stazione di Bologna:

Carlo Mauri, anni 32, deceduto; Anna Maria Bosio, in Mauri, anni 28, deceduta; Luca Mauri, anni 6, deceduto; Margret Rhors, in Mader, anni 39, deceduta; Kai Mader, anni 8, deceduto; Eckhardt  Mader, anni 14 deceduto; Elisabetta Manea, in De Marchi, anni 60, deceduta; Roberto De Marchi, anni 21, deceduto; Antonella Ceci, anni 19, deceduta; Angela Marino, anni 23, deceduta; Loredana Molina in Sacrati, anni 44, deceduta; Nilla Natali, anni 25, deceduta.

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( la scena ritorna al monologo )

7 luglio 1960. Reggio Emilia. Ascolta, è la voce della morte. Ascoltala, è la tua morte. Sta arrivando, sui camion di polizia e carabinieri di Stato. E’ la morte dello stato. Del tuo stato. Commissario–capo di Pubblica Sicurezza dottor Cafari Panico Giulio. Al comando delle forze dell’ordine, oggi, 7 luglio, qui a Reggio Emilia, in questa piazza di lavoratori in lotta. ORDINE IN QUESTA PIAZZA! Grida Cafari. Ma stanno solo cantando, sussurra la morte. RIPORTARE ORDINE! ORDINE! DISPERDETELI! UCCIDETELI! Ma stanno solo… cantando… sorride, la morte. E ti ritrovo Ministro Interno, gerarchi fascisti in Movimento Sociale Italiano, monarchici, prefetti, questori e pupazzi… li ritrovo, dopo un 25 aprile tradito. Dove sei parola bastarda, io che ti attendo con il pugno nel giorno, dove sei assassina voce, io che ti attendo a resistere, io resisto. Noi resisteremo. Non passerai e per questa città ricorderai il nostro nome. Resistenza. Sangue di altri che io per sempre ho lottato. Anche ora, tu, con le tue svastiche, coperte dalle divise nuove, dalle nuove appartenenze, studiate e ripulite, con le tue divise che coprono altre divise. Un piano perfetto, prefetto, esperimento di repressione, condivisione del passato. Noi sappiamo che tutto questo è un esperimento di svolta fascista. Ma noi siamo qui, oggi, 7 luglio, a Reggio Emilia, dopo i  morti di Licata, dove altri compagni, per le tue esigenze di crimine di stato, sono morti, e noi siamo qui a ricordarli, a lottare per il loro nome. Siamo nella piazza di Reggio. Attorno arrivano guardie da ogni strada. Arrivano assetati e si dispongono a plotone. Attorno è un silenzio di solo scarponi sul selciato. E’ silenzio di premeditazione. Sì. Premeditazione di stato. E già tutto definito. Noi ignari continuiamo a cantare. La città è aperta. Reggio, città aperta.

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Ma un silenzio ci porta lo sguardo sul viso di chi dovrà morire. E’ il silenzio del soffio della morte. Commissario Cafari, hai già il compito di cane da guardia? Chi sbranerai oggi? Noi cantiamo la Resistenza, ma oggi si dovrà morire…….. Reggio Emilia, città circondata ora. La polizia di Stato ha già pronti i suoi sicari. All’interno del Palazzo delle Poste, alti ufficiali dispiegano i cecchini. NOI CANTEREMO RESISTENZA! CITTA’ DEI FRATELLI CERVI! LI RICORDI, COMMISSARIO  CAFARI? E PER QUESTO CHE SEI QUI OGGI?… DOVE SONO I FUCILI DEI TUOI CECCHINI?… all’improvviso, il fumo. Lacrimogeni ad altezza d’uomo. Non respiro. Nessuno respira. Adesso non si canta più compagni. Adesso si muore. Lo so. Guardo mio fratello Ovidio, per l’ultima volta. Ha una luce negli occhi che mi dice addio. Io non capisco. Io non sento le sue parole. Il fumo dei lacrimogeni è nella mia testa e nei polmoni. I primi spari. STANNO SPARANDO! Guardo verso la cattedrale di San Francesco. Dobbiamo ripararci. Ovidio è già lontano da me. Lontano. E io con altri compagni a chiederci perché. Nessuno mi risponde. Altri spari. Correte verso la Banca d’Italia, grido. Ma è solo una voce che mi muore nel cervello. Nessuno sente. Lauro Farioli è sui gradini della cattedrale. UCCIDETELO! Gridano le bocche di fuoco. Farioli si trascina alle porte della chiesa. Il vescovo di Reggio, don Beniamino Socche ha dato ordine di chiudere le porte. Questi non sono figli di dio. Farioli è a terra, ferito, il portone è chiuso dall’interno. Da via Crispi scende da un camion un agente in borghese, armato. Corre verso Farioli sanguinante. Gli punta il fucile alla schiena. Spara.  Muori cane. Per me non ci sono processi. Bastardo, crepa. VIGLIACCHI! Grida Marino Serri. Corre verso gli agenti. Corre. Corre verso la sua morte, resistendo, con i mitra avidi di sangue e carne, adesso è una raffica e stramazza  in una pozza di sangue. Adesso sono qui, nell’isolato di San Rocco. Cerco mio fratello Ovidio. Ma vedo i suoi compagni correre verso di me. Con le mani sul viso. Stanno piangendo. Stanno piangendo.

Impeto. Arrivarono carichi d’impeto d’odio. Presero donne e vecchi. Li falciarono. Furono bombe? Furono mitraglie? So solo che fu una strage. Una carneficina. Presero bambini, li mitragliarono. Era… Marzabotto, era… Bologna… Era la fine di settembre… era l’inizio di agosto. Era il 1944… era il 1980… Chissà cos’era. Chissà cos’erano. Uomini? No. Sicuramente no. Bestie? No. Sicuramente nemmeno questo… Erano… ciò che non esiste. Ciò che non si nomina.

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Erano palude, fogna, sterco. Nemmeno. Erano la fine. E basta. Erano il baratro che non si trova nemmeno tra i pazzi. Dirò quindi che erano la fine. E questo basta…. Invece fu solo l’inizio. Ritornarono. Ancora più feroci. Più inumani. Sarà ancora la fine a dirmi cosa stava accadendo. Non erano pazzi. Ma avidi. Scorsero che il terrore ci invadeva lo sguardo. Grida di fanciulli. Esplosione di bombe. Ancora grida… Erano grida di fine e di inizio. Ma noi non sapevamo ancora cosa sarebbe successo ad altri figli. Prendemmo la fuga dalle porte spalancate sui cadaveri di moncherini squarciati. Schegge di acciaio fulminante, aghi in corpo,  case abbattute, bruciate, come tronchi amputati. NON C’E’ SALSEDINE QUI! QUI  SCORRE SOLO ACQUA, di fiume, dolce… NO! non è acqua… è sangue! Fiumi di sangue. FOSSI!… fosse… a cielo aperto. Aperto… Come l’oceano. Oceani, di morti, frantumati dalla non fine, esaltati dal fragore e dal puzzo delle tue svastiche. GUERRA! I tuoi padri ti hanno benedetta… e ora guardami, qui… a cielo aperto. Il petto… la mia faccia, squarciata, marcia….MARCIA MILITARE! A CIELO APERTO! Qual è il mio nome? Il mio nome è il tuo. Questa casa è tua. Questa fine, è la tua. State marciando per chi? Siete ciò che non esiste. Sai soltanto guardare in basso, cielo aperto. E allora guardaci. Guardali mentre marciano. Guardali mentre uccidono. Guardaci mentre lentamente o d’istante, moriamo. Assassinati. Ma tu sai i loro nomi. Tu sai tutto. Tu sapevi tutto. Altre esplosioni. HO DETTO, ALTRE ESPLOSIONI, QUI, STIAMO, MORENDO, TUTTI, ASSASSINATI, COPERTI, DA QUESTO CIELO, CHE, ALTRO NON SA GUARDARE, CHE CADAVERI STESI, AMMUCCHIATI, COME CANI, DECAPITATI, DILANIATI, GRIDA, ULTIME… non resta ora che aspettare quello che tu sai già. Dici di non sapere, ma che già conosci. Invidio te e il tuo limite. Ora lasciami passare. Una nuova morte mi sta aspettando. Non toccherà a te. Lo sai. Il tuo nome….è il mio.

(un coro di voci elenca questi dodici nomi e cognomi)

Zona di Pioppe di Salvaro, come Stazione di Bologna:

Lidia Olla, in Cardillo, anni 67, deceduta; Rosina Barbaro, in Montani, anni 58, deceduta; Francesco Gomez Martinez, anni 23, deceduto; Irene Breton, in Boudouban, anni 61, deceduta; Gaetano Roda, anni 31, deceduto; Berta Ebner, anni 50, deceduta; Patrizia Messineo, anni 18, deceduta; Natalia Agostini, in Gallon, anni 40, deceduta; Manuela Gallon, anni 11, deceduta; Nazzareno Basso, anni 33, deceduto; Mario Sica, anni 44, deceduto; Giuseppe Patruno, anni 18, deceduto.

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( la scena ritorna al monologo)

STATO! E’ la storia, questa, di uno Stato. Di uno Stato Bulimico. Un cerchio di potere bramoso di nutrirsi, ma incapace di alimentarsi. Bramoso di  nutrirsi di sempre più potere. Sempre più ricchezza. Ma fallito nella sua azione di indipendenza. La fame è come la morte, gli avevano detto. Devi nutrirti, se vuoi sopravvivere. Lo Stato Bulimico divorava allora, divorava ogni cosa trovasse. Cercava di sfuggire alla morte. Ma più divorava, e più moriva. Prese allora a cercare cose che fino ad allora non aveva ancora divorato: la vita. La vita altrui, naturalmente. Mai, prima d’allora, si era nutrito di vita. Lo Stato Bulimico, nella sua brama di potere, aveva sempre sottovalutato quella cosa che rendeva indipendenti gli uomini: la vita, appunto. Doveva ora farsela sua, divorarla, nutrirsi di essa, a qualunque costo, pena la sua sopravvivenza.  Lo Stato divora lo Stato. E così sia. Un nuovo Stato. Di cose. Di cosa? Terrore, che scorre sulle acque dei marciapiedi scalzi, dove piedi nudi inciampano, si spaccano. Come, sulla bocca dello Stato, spaccata, da terrore e angoscia del suo nutrimento. Bocche di Stato, affamate, di vite altrui. Vite spaccate, rubate, dalle strade incolte di becchini, attenti agli sguardi di denutriti figli, che vigilano, su di loro. Camminarono insieme, per molto tempo. Poi il cammino si divise. Da un lato i vinti. Dall’altro….. gli ignoti. Gli ignoti vagano in solitudine, senza mete. Non conoscono il terrore. Se non quello della fame di vite. LO STATO DIVORA LO STATO! E COSI’ SIA! I denutriti figli, avidi di potere, affamati e con le bocche spalancate, i denti, appuntiti, come aghi, di salici, calcificati, sbranando vite, energie rubate, fleboclisi di plasma, coagulando, lacrime, infelici, a grida squarce, in grembi ……..di….STATO.

(un coro di voci elenca questi dodici nomi e cognomi)

Zona di Casaglia, come Stazione di Bologna:

Paolo Zecchi, anni 23, deceduto; Vincenzo Lanconelli, anni 51, deceduto; Vincenzo Petteni, anni 34, deceduto; Sonia Burri, anni 7, deceduta; Vito Diomede Fresa, anni 62, deceduto; Errica Frigerio in Diomede Fresa, anni 57, deceduta; Cesare Francesco Diomede Fresa, anni 14, deceduto; Pietro Galassi, anni 66, deceduto; Argeo Bonora, anni 42, deceduto; Vincenzina Sala in Zanetti, anni 50, deceduta; Salvatore Seminara, anni 34, deceduto; Angelo Priore, anni 26, deceduto.

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( la scena ritorna al monologo)

NEGAZIONISMO! NESSUNO E’ MORTO! NON CI SONO STATI MORTI! NON SIAMO ASSASSINI!… Fra queste braccia, sospesa, la vita, tra la morte delle labbra di tagli di lebbra, omicidio, strage. Perché nessuno ascolta? Perché nessuno crede? Perché, nessuno, più, ricorda? Stai negando figlio di Stato. Figlio di puttana, figlio di croci, vendute ai mercati dei servi. STRAGE FASCISTA!… E’ SCRITTO!… Dov’è la tua memoria?  Cos’hai ora tra le braccia? Guardati! Mutilate braccia. Tagliate. Come la tua memoria, irrisa ai pianti, alle grida che furono quel giorno, maledetto giorno, dio precoce, dio inferiore, eppure dio ferito. Dio assassinato. Da un dio più potente. Cos’hai ora da dire, a questi eredi di niente, di vite intense, eppure scomparse. Per sempre. Io non ho più frasi, non ho più vino, nel bicchiere, ho solo ebbra e rigida, confusa, immagine di cadaveri. Spesso vengono a galla, ai bordi del bicchiere, amaro della mia saliva, di vecchio, malato di sempre, che mai ritorna meno feroce… Risalgono il crine del bordo del bicchiere, e devo riempire in fretta, prima che scompaiano. Bevo. Nel mio esofago, ventre, ci sono cadaveri. Che nessuno ricorda… STRAGE FASCISTA!… E anch’io, ogni sera… muoio. NEGAZIONISMO DEPISTAGGIO PROTEZIONISMO E ogni sera, anch’io… muoio, fra le tue braccia, madre. Sulle tue braccia sospese. Democrazia sospesa. Che vita mi regalasti, e che ora, come lebbra insanguinata, incappucciata, a brandelli, mi stai strappando.

(un coro di voci elenca questi dodici nomi e cognomi)

Zona di Cadotto, come Stazione di Bologna

Antonio Montanari, anni 86, deceduto; Flavia Casadei, anni 18, deceduta; Maria Idria Avati, anni 80, deceduta;  Katia Bertasi, anni 34, deceduta; Angelica Tarsi, anni 72, deceduta; Catherine Helen Mitchell, anni 22, deceduta; Antonio Francesco Lascala, anni 56, deceduto; Paolino Bianchi, anni 50, deceduto; Mauro Di Vittorio, anni 24, deceduto; Fausto Venturi, anni 38, deceduto; Onofrio Zappalà, anni 27, deceduto; Roberto Procelli, anni 21, deceduto.

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(la scena ritorna al monologo)

Torre. Simboli di potere. Noi, eretici. Mai insanguinate mani, le loro. Solo bocche, di sangue. Torre in effe quattro. Eretico in stallo. Muovi pedone. Pedina… Pedine… Pupazzi… Fantocci della storia di cani di padroni perduti. Pupazzi… ora eroi… capi di Stato… Mai, le loro mani… insanguinate… loro parlano soltanto… sangue dunque… sulle bocche… sangue di popolo. Arroccate torri. Re in a sei… bastardo. Cane. Cercando padroni nuovi, trovasti cadaveri ammucchiati. Tra quelli, donne amputate, vecchi decapitati, bambini falciati. Sciabola, sguainata, nuda, affilata, ricurva come schiene da abbattere. Al confine del suo limite, la tua mano. Cominciò così, la tua mano, fredda, a coprirsi di rosso. Guanti, maschere, costumi… divise. ELMI! CORAZZE! CAVALLO IN ACCA OTTO!… sì, coprirsi di rosso. Era forse una certosa, un piano umido di lastre di marmo, quello che ci sosteneva. Un piano sulla montagna che ci vide arresi, piangendo, con la paura sugli occhi, strappati dalle mitraglie, che su di noi, un piano di montagna di carne, aperta, colpiva… poi le bombe, a mano, per morire ancora, a brandelli, anche la tua mano, vidi. Ed era la sciabola, mannaia, ghigliottinata sulla pianura, SULLA PIANURA E SULLA MONTAGNA, DI UN PIANO DI MARMO,  UN PIANO STUDIATO DA BOCCHE DI SANGUE!… Anche la tua mano, le tue mani, giunte. Chissà cosa pregavi! Non c’è rimasto più niente da pregare. Ma tu pregavi sempre… Prima di coprirti di guanti. Io non ho più niente da pregare, se non la fine di una storia che vecchi raccontano ai bambini. Vecchi che piangono, come bambini. Vecchi che morirono senza morire mai veramente, ma mai furono bambini. Vecchi che non pregano, perché non sanno la preghiera i nostri bambini. ALFIERE IN EFFE DUE. Due ottobre… due agosto. La fine e l’inizio. O viceversa. Re che vanno, re che ritornano. Sempre la loro bocca vomitando sul popolo ignaro, mentre, puttane sulle strade del loro ritorno ho visto. Nuovi schiavi santificati, sacrificati, sulle loro bocche. Inutile storia raccontano i vecchi, inutile ogni cosa, ascoltare l’inascoltabile, l’irraccontabile. Ti rivedrò pianura, coperta da sterco di idioti capi venduti, capi bestiame. Io non starò ad aspettare, io non ho capi. Scacco al Re.

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(un coro di voci elenca questi dodici nomi e cognomi)

Zona di Monte Salvaro, come Stazione di Bologna:

Maria Angela Marangon, anni 22, deceduta; Vito Ales, anni   20, deceduto; Amorveno Marzagalli, anni 54, deceduto; Mirco Castellaro, anni 33, deceduto; Carla Gozzi, anni 36, deceduta; Romeo Ruozi, anni 54, deceduto; Umberto Lugli, anni 38, deceduto; Pier Francesco Laurenti, anni 44, deceduto; Lina Ferretti in Mannocci, anni 53, deceduta; Mirella Fornasari, anni 36, deceduta; Roberto Gaiola, anni 25, deceduto; Davide Caprioli, anni 20, deceduto.

( la scena ritorna al monologo)

Rossa. Bandiera. Rossa. Che ci accompagnò. Li ho visti, i compagni di viaggio. Li ho visti. Scendere a fermate anonime. Ogni volta, anch’io sarei voluto scendere e fuggire, verso nuove frontiere. Che non erano le loro. Io, comunque, fuggire. Non ho mai avuto coraggio di fuggire però. E ogni volta restai nell’addio. Ogni volta più stanco. Io, con la mente nel nuovo viaggio che ci riportava al nuovo tramonto. I figli, morti, le madri, morte, i parenti, gli amici, gli sconosciuti, gli stranieri, e tu partivi con la promessa del ritorno. Noi lo sapevamo. Non saresti mai ritornato. La tua frontiera, non era mai stata la nostra. Né dei figli, né delle madri, né degli sconosciuti. La frontiera del comando, del potere, del successo, ha un prezzo. L’ONOREVOLE SENATORE A VITA DICE CHE SONO INNOCENTI. GENERALI, COLONNELLI, PRESIDENTI. CHI TI ACCOMPAGNO’, IO LI HO VISTI. NON ERANO LE NOSTRE FRONTIERE, PRESIDENTE, ONOREVOLE,  ANCHE TU, COME GLI ALTRI, SEGRETARIO DI PARTITO. La rossa bandiera, rossa di sangue, e tu, e gli altri, dimenticaste cos’è la memoria, la ricerca, il segreto… di Stato. SEGRETO DI STATO, OMISSIS, E ANCORA SEGRETO PER NASCONDERE I SEGRETI. SERVIZI. Il potere, vero, non è mai stato vostro. A voi spetta solo il compito di coprire, in cambio del misero, nascondiglio per puttane, dove alloggia il… potere. Oggi non è più possibile incontrarci, vero? Siamo lontani. Irriconoscibili. Infastiditi. RIPUGNANTI! NO! Siete voi le fermate anonime che giorni lontani vi portarono via da noi. Siete voi le alcove, le stanze, di ripugnanti segreti servizi. SEGRETI. SERVIZI.  Lo Stato bifronte. Lo Stato Segreto. Gli inutili prefetti, perfetti, scorrevano via, su via Marconi, via Amendola, VIA INDIPENDENZA!… dell’Indipendenza… INDIPENDENTI. LIBERI. MAI LO SIAMO STATI. SIGNOR PRESIDENTE. NELLA TUA, MAGGIORANZA, SENATORE, A VITA, GRIDAVA, SONO INNOCENTI! NO! SONO ASSASSINI! Leggi questa lapide: STRAGE FASCISTA. Nuovi Albert Kesserling, nuovi mandanti, piduisti, nuovi Walter Reder, nuove SS, nuovi fascisti. Con te, i fratelli con le mani giunte, prima di ogni santuario, nelle ginocchia, San Petronio, e dietro, le messe, fratelli, così diversi, dispersi, come te, nella promessa di un ritorno.

9

Noi siamo vivi. Noi siamo quelli che hanno visto e ricordano. Noi siamo solo lo spirito di quei morti di Reggio Emilia. Noi non siamo più vivi… come altri. No. Noi abbiamo dentro il sangue dei nostri compagni. Noi abbiamo nella pelle lo sguardo degli assassini, assolti nei processi di Stato. Assolti, ora innocenti criminali. Noi abbiamo nel giorno di una vita i nomi presunti dei mandanti. Coloro che nessuno ha mai nominato. Coloro che sono stati coperti. Che non verranno resi noti. Ma che noi sappiamo essere noti. Tutta la vita noi sapremo, con la condanna del sapere, che ci uccide più della lenta stanchezza del vivere. I mandanti, cercali. Voi che fra decenni vi chiederete chi? Ebbene, noi abbiamo i nomi. Innominabili nomi. Conosciute bandiere.

Non c’è differenza, né separazione, nella storia di questo Paese, che non sarà solo questo Paese, ma forse da un altro Paese. Io so. Come posso resistere? Io devo resistere. Io devo. Perché io so i nomi. Io so i mandanti. Ma non ho potere di accusa. Posso solo resistere, e aspettare… aspettare. E ricordo, impotente, quelle parole dette dai nostri morti imminenti, “vendicateci… vendicateci”. Presi la tua mano, e strinsi forte per non perderti. Maledii le lacrime, per nasconderti la morte che ti stava strappando. IO NON SONO UN EROE! IO NON SONO NESSUNO! Questo massacro, studiato, pianificato, voluto e premeditato, non è finito qui. Molti di noi vogliono vendetta. Tutti noi vogliamo vendetta. Ti cercherò, assassino. So la tua casa. Ti cercherò, vigliacco. So il tuo nome. E ora, con la bandiera a lutto, avrai un processo per dare giustizia. Hanno detto che sarà fatta giustizia. Noi sappiamo attendere. Reggio Emilia. Ma il processo viene trasferito a Milano. Qui a Reggio Emilia sostengono sia un processo a rischio. Ma noi sappiamo attendere. Il commissario Cafari, accusato di omicidio  e di avere detto il falso. Processo a pezzi dello Stato. Stato a pezzi. Noi sappiamo attendere. Polizia in ogni angolo, mi seguono in ogni movimento. Il commissario Cafari è protetto da Polizia di Stato, ma qui si processa lo Stato. Qui si cerca la giustizia. Qui la legge è uguale per tutti. Non ci sono cittadini sopra le parti, qui. No. Qui siamo tutti uguali. Ma qui sono guardato a vista. I familiari dei morti sono guardati a vista. I familiari, dentro il tribunale, dentro il processo, dentro i banchi… sanno aspettare. Quattro anni. Oggi, 14 luglio 1964, il Presidente Estensore, dottor Paolo Curatolo, arrivato dalla città di Trento, legge il dispositivo della sentenza: “IN NOME DEL POPOLO ITALIANO, LA CORTE DI ASSISE DI  MILANO, ASSOLVE CAFARI DALLE IMPUTAZIONI ASCRITTEGLI PER NON AVER COMMESSO IL FATTO”… Restammo immobili. Il plotone di Stato aveva di nuovo ucciso. Io non ti potrò vendicare, fratello, amico, compagno… io sono morto con te quel giorno… tua madre non ha più figli. Tuo padre non è più padre. I tuoi figli sono mutilati.

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E tu… sei stato tradito. Non cercare mai più vendetta… io posso solo darti il ricordo… noi tutti, possiamo solo darvi il ricordo… e voi… dovete ascoltarci. Ma io non parlerò di questa storia. Io la griderò. Io griderò i nomi degli assassini e dello Stato complice in omicidio. Se dovrò vivere, dovrà essere vivere solo per questo. Altro non ha importanza. Perché questo Stato ucciderà ancora. Lo so. Ucciderà finchè avrà respiro… E solo con il ricordo potrò soffocarlo.

(un coro di voci elenca questi dodici nomi e cognomi)

Zona di Cerpiano, come Stazione di Bologna:

Rita Verde, anni 23, deceduta; Brigitte Drouhard, anni 21, deceduta; Mauro Alganon, anni 22, deceduto; Salvatore Lauro, anni 57, deceduto; Velia Carli in Lauro, anni 50, deceduta; Viviana Bugamelli in Zecchi, anni 23, deceduta; Francesco Betti, anni 44, deceduto; Antonino Di Paola, anni 32, deceduto; Leo Luca Marino, anni 24, deceduto; Domenica Marino, anni 26, deceduta; Pio Carmine Remollino, anni 31, deceduto;

(la scena ritorna al monologo)

Ammutinati. In rivolta, tra le macerie, piccola Hiroshima, ci trovarono. Con i corpi spaccati, esplosi. Ammutinati. In rivolta contro la vita, la morte ci sorprese, in un sordo urlo. La mano che uccise, la mente che chiamò la morte, per noi. Ammutinati. La vita repressa, nel sangue di una stazione. Tra le colonne accartocciate, di una città in ginocchio, non in preghiera, in urlo. Grido.

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In strage. Compiuta da fungo atomico, d’odio. Una stazione, pulviscolo di genti d’ogni spazio, occupato da pianti, ora. Crollata, su corpi già straziati, schiacciando crani, polmoni, arti. Una stazione, oceano, di ferro, cemento, ghiaia. Marmo. Granito. Anticipando le tombe che ci ospitarono per l’eterno. Se eterno esiste. Seconda classe. Stazione Centrale. Una fila di…..poltrone. Gente va. Esce. Entra. Con le proprie valige. Donne, bambini, uomini, anziani. Giovani. Lavoratori. Facchini, macchinisti. Seconda classe. Hiroshima aveva un popolo, di civili. Ignari. I civili non vanno alla guerra. Per noi, per loro, per ognuno che vive, la guerra è sempre un eterno di seconda classe. E’ una morte di seconda classe. Resta un ricordo, una medaglia, un simbolo, di seconda classe. Poi, scoprire da qui a ora, che si vive per paura di morire. AMMUTINATI! … IMPICCATI!.. DIMENTICATI!… In questa stazione, orme delle tue mani, che già a Hiroshima, la tua mano, che oggi, ha piegato la democrazia… E NOI ALLORA, CI AMMUTINAMMO. MA OGGI SIAMO SOLI! … Processi…..di civiltà. Processi a mandanti, mai conosciuti, ma sempre riconoscibili. Perché la tua mano è inconfondibile, per quanto nascosto tu sia, e per quanto incappucciato, tu, in questa stazione, con il volto coperto, NOI SAPPIAMO! NOI RICORDIAMO, QUESTA NOSTRA CITTA’… piccola Hiroshima.

( un coro di voci elenca questi dodici nomi e cognomi )

Zona di Monte Caprara, come Stazione di Bologna:

Sergio Secci, anni 24, deceduto; Marina Antonella Trolese, anni 16, deceduta; Anna Maria Salvagnini in Trolese, anni 51, deceduta; Vittorio Vaccaro, anni 24, deceduto; Eleonora Geraci in Vaccaro, anni 46, deceduta; Silvana Serravalli in Barbera, anni 34, deceduta; Jhonn Andrew Kolpinski, anni 22, deceduto; Verdiana Bivona, anni 22, deceduta; Iwao Sekiguchi, anni 20, deceduto; Franca Dall’Olio, anni 20, deceduta; Rossella Marceddu, anni 19, deceduta; Euridia Bergianti, anni 49, deceduta.

12

I becchini stanno camminando, lenti, nella piazza di Reggio Emilia. Raccolgono i morti. Oggi, 7 luglio 1960, era sciopero contro il governo Tambroni. Hanno ucciso già in altre piazze altri lavoratori.  Raccolgono i lavoratori, assassinati, dalla polizia di Stato.

I becchini, cercano, i nostri morti nella piazza. Ora la piazza è vuota. La piazza antifascista, per sempre. Restano i morti. Come sempre. Per sempre. Perché a niente è servito, compagni. Restano con i loro buchi nella pelle, i nostri morti. I nuovi fascisti altro non sono coloro che sempre hanno ucciso altri compagni. Ricordati: Il commissario Cafari dirige le operazioni di Polizia: Lauro Farioli, 22 anni, operaio, è davanti al suo plotone di Stato: i mitra gli dilianiano la faccia. Marino Serri, 40 anni, grida assassini. I mitra di Stato lo falciano. Ovidio Franchi, 19 anni, operaio, dall’altro lato della piazza, colpito all’addome dai sicari di Stato, ferito si aggrappa a una serranda. Emilio Reverberi, 38 anni, operaio, ferito a una gamba lo aiuta a ripararsi, ma i sicari di Stato si avvicinano veloci. I mitra falciano in due Ovidio Franchi, e squarciano il cranio a Emilio Reverberi. Afro Tondelli, 35 anni, operaio, grida disperato: assassini di Stato. Il plotone si inginocchia, mira. Spara… FUCILATO. FUCILATO. ASSASSINI. FASCISTI PER SEMPRE DI STATO. STAI SPARANDO? HANNO IL SANGUE NELLA SCHIENA, GUARDA… CANE BASTARDO! Cado a terra… tutto si spande ora. I tuoi aguzzini sono ai lati della mia vita… Non avremo più giorni per vendicarci… tutto si spande e io vedo buio… mi raccolgono con il cuore alla fine… ho il sangue nelle orecchie… non ho più giorni per riconoscerti… tutto si spande… alla fine rantolo e bava mi coprono le narici colme di emorragie… respiro a singhiozzo… flutti di vomito escono come schiuma dalla bocca del polmone… aperto… sono a terra… la mano di un compagno cerca brandelli di voce… non riesco a contenere la lama dell’odio che mi uccide… e altri compagni mi trascinano… non so dove… non so dove… sto andando… e invece so… sto andando a morire compagni…uccideranno ancora… uccideranno sempre… perché per sempre noi abbiamo perduto… sarò ancora nelle piazze per morire sempre… perché per sempre nelle nostre piazze lo Stato uccide… sangue nella mia bocca ora… nelle mani di altri che mi vogliono riportare a casa… ma io non arriverò a casa stasera… resterò qui, con il ricordo di questa vita che sempre e per sempre ha creduto. Mia madre piangerà stasera, mentre i becchini stenderanno lenzuoli sul nostro sangue, nella piazza di Reggio Emilia. Io muoio madre, in questo Stato, dove i padri seppelliscono i figli.

( la scena ritorna al monologo)

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Stazione. Autobus linea 37. Piazza frontale come crani nel kaos, morte, polvere, tassì schiacciati, mura abbattute, in quella mattina, io, sul tram, linea 37, i cadaveri li ho abbracciati, cadendo, sconosciuti, li ho abbracciati, nell’ultimo viaggio a camere mortuarie, scortato da pattuglie in divisa, divisa la città, dai vivi e i morti, divisa la stazione, sì, stazione divisa, aperta, esplosa, nei morti, io ho abbracciato, chinato, tagliate braccia, monche gambe, ascoltando grida di sopravissuti, feriti, per sempre, e altri, familiari, cercando altri familiari, in realtà sul tram, linea 37, io, gridavo in muta bocca mia, senza coraggio, come feriti sopravissuti, cercando i familiari nascosti tra le pesanti pietre, sopra i corpi, cercando e gridando, loro sì, e io, sempre, anch’io, gridando nella mia bocca, di pianto, sui primi cinque cadaveri, linea 37, un viaggio, riversi sul tram, spaccato da mancorrenti tagliati, io per sempre tacere, ricordando inesplicabile condanna a mia vita, rimasta integra, poi sotto i portici una città che si erse a comando di sé stessa, quando i capi, come capi di stato, come quando i capi di stato fuggono, per poi ritornare, sulle bare, sotto i portici, lungimiranti parole dette, grondanti, asfissianti in puzzo di sterco, ma non si badi a questo, asfissianti, le morti, perché mai il vero ricordo, a prestito, ci è stato mai chiesto, perché capi senza coraggio, e noi con dignità abbiamo preso destino, io so, sulla piattaforma, deforme, del tram, linea 37, vita deforme, che morte prese, e mai ricondusse a verità che noi sappiamo, e loro, come capi che fuggono, inseguiti, mentono ragliando preghiere, insulto e condanna, allo stesso tempo, anni dopo, noi ancora scaviamo, tra le macerie di Stato, insulto e condanna, a coloro che ripiegarono le bandiere, sporche, bandiere sul tram, diverse quelle dalle vostre, che sempre lise, dal frastuono delle fanfare, puttane, aprite, ogni volta, come corpo aperto, da voragine che ci separa, io, in memoria, nel mio cranio, sepolto, io sorreggo questi ricordi. Amen.

(un coro di voci legge questi ultimi due nomi e cognomi)

Zona di Monte Sole, come stazione di Bologna:

Maria Fresu, anni 24, deceduta; Angela Fresu, anni 3, deceduta:

QUESTO E’ IL FOGLIO DI SALA CHE ACCOMPAGNAVA LA RAPPRESENTAZIONE

Nazifascismo. 29, 30 settembre, 1 ottobre 1944. Su indicazione di fascisti italiani, squadre speciali del capo nazista Reder, nelle zone di Marzabotto, montagne di Bologna, massacrano oltre 800 civili, donne, bambini, vecchi.

Fascismo, 7 luglio 1960, in seguito agli scioperi per i lavoratori uccisi in manifestazioni politiche in diverse città italiane, su indicazione del governo Tambroni, la polizia di Stato del Ministro dell’Interno, Scelba, massacra, nella piazza di Reggio Emilia, cinque operai in sciopero.

Nazifascismo. Stazione di Bologna, 2 agosto 1980, alle ore 10,25 una bomba di dimensioni gigantesche, collocata da fascisti italiani, dilania 85 persone di diverse nazionalità, oltre a 200 feriti, molti dei quali mutilati in modo permanente.

Tre situazioni che si alternano tra loro, in un collage storico-teatrale nel quale i nomi degli 85 morti della Stazione Centrale di Bologna riportano l’universalità delle vittime del nazifascismo, indipendentemente dal luogo e dal periodo nel quale altre ne resteranno sconosciute per sempre. In ognuna di queste tre stragi di proporzioni storico-politiche un filo lega la premeditazione, mantenendo sempre segreto il vero motivo che ne fa scaturire l’azione e mantenendo sempre segreti gli ideatori, i veri ideatori. Cioè quelli che la storia non ha mai processato.

Una storia di fascismo.

Redazione
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