Giustizia per Sara Glatt, la “strega” dell’iboga

di Enrico Fletzer

In dubio pro striga

Ho ricevuto numerose sollecitazioni da Dana Beal, mitico militante antiproibizionista di New York, affinché mi occupassi della carcerazione di Sara Glatt, un’israeliana che risiede in un piccolo villaggio dei Paesi Bassi e che la stampa nazionale ha definito «la strega di Kockeningen» a causa dei trattamenti a base di Iboga, una pianta allucinogena africana. Al momento è detenuta perché accusata di aver provocato la morte di una cittadina svedese deceduta nel B&B del paesino.
Sara ha sempre negato il suo coinvolgimento e sostiene di non aver iniziato alcun tipo di terapia con la donna. Anche considerando come è stata trattata dai media penso che bisognerebbe adottare la logica che informa il diritto moderno:
in dubio pro reo o, in questo caso, pro striga.

Grazie alla situazione abbastanza rilassata delle prigioni dove c’é spazio anche per detenuti provenienti dalle carceri norvegesi, ho avuto la possibilità di parlare con Sara per telefono dalla galera dove è detenuta. Fra le altre cose sostiene di esser stata estradata dalla Germania senza il parere di un giudice, una sorta di extraordinary rendition. Ma al di là della solidarietà che intendo esprimerle ho rimuginato parecchio sul suo caso e forse – ma non proprio per caso – mi sono messo a confrontare la sua esperienza con quella di Vincenzo Muccioli quando era molto in auge (e “demonizzato” quasi solamente da noi del «movimento»).

Entrambi i soggetti – intendo Muccioli e Glatt – sono stati accusati di partecipazione a un omicidio. Vincenzo Muccioli per la morte di Roberto Maranzano avvenuta nella porcilaia di San Patrignano mentre Sara Glatt é condannata a 8 anni per aver contribuito al decesso della 48enne svedese morta nel letto di un bed and breakfast  e che il Tribunale sostiene dovuta all’ingestione di iboga.

Entrambi dunque accusati per concorso in omicidio. Sara nega ma la Corte non le ha creduto e ora lei aspetta il processo in Casssazione. Muccioli è morto e il processo non si è fatto.

Ma le analogie non si fermano qui. Com’é noto San Patrignano ha operato per gran parte della sua esistenza senza validazione scientifica, sopravvenuta solo recentemente. “Credere obbedire e lavorare” (a gratis) era sostanzialmente il metodo Muccioli che consisteva anche in una destrutturazione della personalità dei reclusi.

Nel caso di Sara Glatt si tratta di interventi terapeutici casalinghi e questo è certamente un limite. Pur se le sue pratiche erano apprezzate da alcuni esperti interpellati (come il compianto Erik Fromberg) e dalla maggioranza dei suoi pazienti. Ma l’ibogaina costituisce di certo – le torture di Sampa invece no – una cura efficace riconosciuta in alcuni Paesi mentre in altri la sostanza non è illegale però non viene considerata un farmaco.

Alcuni episodi drammatici vengono sminuiti dai sostenitori dei rispettivi metodi. Ma a differenza del “Metodo Muccioli” Sara Glatt rispettava alcuni protocolli standard che prevedono un’analisi del paziente e una farmaco-vigilanza. Tutte cose che per molti anni a San Patrignano non esistevano. Ogni ausilio farmacologico era bandito, un po’ come succede attualmente solo in Russia e pochi altri Paesi autoritari (non in Iran dove la riduzione del danno è presa seriamente).

Sara ha aiutato per quasi venti anni oltre quattrocento persone con un trattamento di successo. La terapia é ufficiale in alcuni Paesi del mondo: per esempio nelle Bahamas e in Sudafrica. Abbiamo raccolto pareri discordi sul suo metodo ma è ovvio come in certi casi si debba operare in una zona grigia che comporta alcuni rischi.

Anche molti reduci di Sanpa possono ringraziare Muccioli per essere guariti. Ma restano molte voci critiche.

Sara “la strega” sta scontando una lunga carcerazione e aspetta l’appello. Muccioli non lo avrà e la famiglia Maranzano non ha avuto giustizia.

Fra le persone “miracolate” dall’Iboga, una celebrità come Hunter Biden che aveva parlato del suo viaggio verso la clinica di Tijuanasolo a suo padre e a suo fratello e che nel luglio 2014 come riportato dal New Yorker è uscito dalla dipendenza.

Insomma in alcune cliniche del mondo, spendendo cifre spesso importanti, è possibile disintossicarsi. Sta poi agli individui ricrearsi una vita diversa, possibilmente migliore. Serve un percorso di empowerment personale e di terapie per il sostegno psicologico.

Come è noto non tutte le persone con problemi di dipendenze hanno la possibilità di volare alle Bahamas o a Durban.Anche perché un farmaco monodose non è molto attrattivo per le case farmaceutiche mentre sul metadone – il farmaco tedes co dolofina che alcuni fanno derivare da Adolf, acquisito dai Rockefeller – gli Usa continuano a guadagnare.
Anche considerando come l’ex ministra Lorenzin ha vietato la ibogaina e addirittura la pianta (*) la via delle cure naturali resta irta di ostacoli. Anche per questo esiste una pratica abbastanza diffusa di “curanderi” non ufficiali.In particolare in Olanda dove alla fine degli anni Settanta il movimento degli occupanti organizzava – assieme al dottor Jan Bastiaans e ai movimenti di consumatori di eroina – il Junkie Bond delle forme di mutuo soccorso all’interno dei
kraakpand, le case occupate di Rotterdam. Il medico olandese Jan Bastiaans è famoso per aver curato con LSD “Katzetnik” – la cui storia è stata pubblicata da Sensibili alle Foglie (**) – ma per la morte accidentale di un paziente fu radiato dall’albo dei medici.

La sostanza è dunque non regolata in Olanda dove la cannabis è in una certa misura tollerata. Ma che una straniera (ebrea) si permetta di usarla in un piccolo paesino fa scandalo, dimostrando come anche nei Paesi Bassi esistano grandi contraddizioni. Che coincidono con la generale caccia alle streghe del “moderno” proibizionismo di cui stentiamo a liberarci.

A mio parere, sic stantibus rebus, bisogna nella maggior parte di casi andare a fondo nelle proprie tasche, vista anche l’insipienza del ministro Speranza, più volte sollecitato – ma inutilmente – a rimuovere il divieto in Italia.

Secondo lo studioso Peter Cohen «la caccia alle streghe contro l’ibogaina e le persone come Sara Glatt sono da considerare come la stessa arretratezza che noi applichiamo alla addiction, un segno della nostra primitiva interazione con una pratica umana culturalmente normale (secondo la mia visione) che crea forti legami con gli oggetti nella nostra vita. Che sia un cane, un partner, una letteratura o un’ideologia, noi tutti creiamo legami estremamente forti e dovremmo lasciare agli altri la libertà di fare così. In ogni cultura c’è una sorta di processo attivo per definire certi legami come fuori dai legami. Un meccanismo che noi dovremmo riconoscere come molto variabile attraverso il tempo la cultura e i periodi, in tal modo mitigando o eliminando le conseguenze molto negative di questo processo di caccia. Dare la caccia agli zingari, ai consumatori di droghe, ai negri o ai siciliani, è sempre lo stesso triste prodotto collaterale della socializzazione umana. E’ bruciare le streghe».

(*) cfr L’ibogaina e le credenze sociali, Una cura africana per il declino della razza bianca? e Il proibizionismo acceca e uccide

(**) cfr Shiviti: una visione di Ka-Tzetnik 135633 (Sensibili alle Foglie, 2007)

 

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