gli assassini della sanità pubblica sono instancabili

articoli di Alessandra Carta, Gianluigi Trianni, Ivan Cavicchi con un contributo di Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Alessandro D’Ercole, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti del Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU-Emilia Romagna

Medici in affitto per l’estate, tariffa a ora (altissima). Ecco la sanità del centrodestra – Alessandra Carta

 

Medici in affitto dal 1° luglio al 30 settembreMedici ‘comprati’ a tempo, come per primo, a metà maggio, aveva denunciato il capogruppo dei Progressisti, Francesco Agus. Adesso c’è la determina, pubblicata da Ares, l’Ats del centrodestra, con nome nuovo. Tecnicamente è una manifestazione di interesse che vale un passo a due tra l’assessorato alla Sanità, guidato da Mario Nieddu, e l’Azienda regionale della salute, con a capo la manager veneta Annamaria Tomasella, di fatto il braccio operativo della Regione sul fronte dell’assistenza medica e ospedaliera.”Il servizio – si legge nel documento – consiste nella gestione delle attività di gestione del Pronto soccorso, ovvero Punti di primo intervento con guardia medica attiva per turni di 12 o 24 ore, a seconda della richiesta. Il servizio deve essere gestito in maniera autonoma salve le indispensabili correlazioni con la struttura ospedaliera gestita dalla Asl”.

Nella determina, come fosse un acquisto di siringhe, invece sono medici, si parla di “fornitura del servizio medico di guardia attiva, per i dipartimenti di Emergenza/Urgenza” nei Pronto soccorso della Sardegna. C’è una tabella: accanto a ciascun presidio è indicata la spesa con il costo delle ore e il prezzo a base d’asta. Costo minimo: 80 euro l’ora (più Iva)…

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La sanità in appalto – Gianluigi Trianni

 

La notizia è dirompente. A Modena è stato pubblicato un avviso di bando per la fornitura temporanea in via d’urgenza di servizi ospedalieri di ostetricia e ginecologia dell’Area Nord dell’Azienda USL e in particolare per Mirandola, per cinque mesi, rinnovabili per altri cinque, per una base d’asta di oltre 500 mila euro! La stessa Azienda Usl di Modena e quella di Reggio Emilia pubblicano avvisi per la fornitura di servizi medici ospedalieri, ricalcando il percorso già adottato per l’emergenza urgenza di Ferrara. Siamo – si noti – in provincie e in una regione il cui servizio sanitario pubblico gode, nell’immaginario collettivo, di un credito non piccolo. E, dunque, alcune considerazioni si impongono.

È, a dir poco, irresponsabile privatizzare l’assistenza sanitaria negli ambiti ospedalieri dell’emergenza e della maternità introducendo nel servizio sanitario pubblico variabili di direzione clinico-organizzativa ingestibili, per disomogeneità di competenze e di tipologia ed entità delle remunerazioni, con inevitabili ripercussioni negative sulla sicurezza, qualità, gratuità ed universalità delle cure. Chiunque coglie l’inadeguatezza tecnica e istituzionale di direzioni aziendali incapaci di lanciare per tempo ai decisori politici che le hanno direttamente scelte segnali della difficoltà di mantenere servizi sanitari pubblici che datano da decenni, e di progettare altro che non siano tagli di attività e di organici pubblici, giochetti mistificanti la reale dimensione delle liste di attesa e ricorso ad appalti al privato per qualsiasi cosa. Come non ricordare il depotenziamento o la chiusura dei piccoli ospedali e delle in tutta l’Emilia-Romagna senza la preventiva organizzazione di strutture e di percorsi assistenziali alternativi basati sulla relazione clinico organizzativa tra Case della Salute/Comunità e grandi Ospedali poli distrettuali? (La Casa della Salute di Castelfranco Emilia, peraltro in un edificio ormai vetusto, è una pregevole eccezione e un modello non seguito). È grottesco che il PD, il presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini e il suo assessore Donini rilascino dichiarazioni come se la responsabilità politica non fosse anche loro e dei loro predecessori, come se non avessero mai appoggiato la politica di tagli della spesa sanitaria nazionale in epoca pre-Covid 19, come se oggi non fosse necessario imporre una svolta al Governo e alla maggioranza sul finanziamento della sanità invece che assecondarlo col taglio di servizi e personale del pubblico e sua privatizzazione con gli appalti!

Ma c’è di più. È indispensabile togliere il numero chiuso per tutti corsi di laurea (medici, infermieri, altro personale d’assistenza) delle facoltà e dei dipartimenti universitari di medicina e chirurgia e senza attardarsi in espliciti o impliciti pensieri sulla concorrenza sul mercato del lavoro e sulla sua capacità di tutelare stipendi in sanità, tanto neocorporativi e neo-liberali quanto ottusi nelle attuali società della conoscenza e della ricerca. Anche perché è eticamente inaccettabile, non solo per la sanità pubblica italiana, ma anche per quella privata, “rubare”, pur se in emergenza e costi quel che costi, personale sanitario ad altri paesi, magari in via di sviluppo e le cui popolazioni hanno gli stessi diritti alla salute della nostra, in un’epoca nella quale le competenze professionali per la salute sono vieppiù centrali per la sopravvivenza di intere popolazioni nel villaggio globale, ormai tale non solo per i movimenti di capitale e di merci ma anche delle patologie! È, dunque doveroso chiedersi con quali argomentazioni e con quale etica pubblica il Ministro dell’Università e i Rettori delle Università Italiane si limitano a dire che nella situazione attuale delle università pubbliche italiane è impossibile formare più laureati invece di programmare e richiedere le risorse necessarie a renderlo possibile in Italia, in concorso indispensabile con il SSN, informandone l’opinione pubblica.

Dove ci porteranno il Governo Draghi, il ministro alla Salute Speranza e la loro maggioranza, indistinguibile se non a parole dalla opposizione di centro-destra quanto a politiche di incremento ingiustificato della spesa per armamenti e di privatizzazione dei servizi pubblici, da ultimo anche per la sanità con il cosiddetto DDL Concorrenza? Forse all’autonomia regionale differenziata per una più efficace e capillare privatizzazione della sanità pubblica, regione per regione, in combinazione con il definanziamento programmato dall’ultima legge di bilancio, versione italiana della rana bollita di Noam Chomsky? Purtroppo, questa non è una mera ipotesi. È un preciso disegno politico dopo la recente pubblicazione del DDL Gelmini (su cui si dovrà tornare nei prossimi giorni e nelle prossime campagne elettorali).

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Il regolamento di ‘conti’ sulla medicina generale – Ivan Cavicchi

La crisi di credibilità del MMG  inizia molti anni fa nel momento in cui le regioni  cominciano a lamentare a causa della convenzione  forti problemi e forti rischi per la governance. E in sanità quando si diventa un problema di governance non c’è corporativismo che tenga. Prima o poi arriva la tranvata. Oggi la tranvata è arrivata… con il Dm 71

 

Coming out
Io credo  che sul  “medico dimezzato” (Dm 71) un franco coming out non ci farebbe  male. Se continuiamo a raccontarci balle, a parte prenderci per  i fondelli. non si va lontano. Meglio dirci le cose come stanno.

Una controriforma camuffata
E’ una balla che il DM 71 sia null’altro che un “potenziamento del territorio”.

In realtà  abbiamo a che fare con una  controriforma, neanche tanto camuffata,  che  sta passando sulla testa di tutti,  cittadini  e operatori, cambiando purtroppo  in peggio la nostra sanità pubblica.

Da una parte  essa:

  • riduce il ruolo e la funzione del MMG al minimo  cioè questa figura storica alla quale è stata delegata l’assistenza di base  pubblica smette di essere uno dei pilastri del sistema di cura;
  • potenzia attraverso il terzo settore l’assistenza domiciliare;
  • attribuisce, almeno in parte,  le cure primarie (quelle di Alma Ata per intenderci)  alle cosiddette “case di comunità” cioè a strutture poliambulatoriali che di base non hanno niente.

Dall’altra, revocando ai MMG le sue storiche funzioni pubbliche, la controriforma  cede di fatto spazio alle assicurazioni creando le  condizioni favorevoli per sostituire la convenzione  con più agili  prestazioni d’opera quindi con co.co.co. Cioè precariato a basso costo e a alta flessibilità di impiego. Non è improbabile che dopo aver messo all’angolo il MMG pubblico  l’assistenza di base sarà  appaltata alle agenzie di cura che ovviamente  offriranno prestazioni fortemente standardizzate e proceduralizzate come vuole ogni logica assicurativa.

Che ne dite?  Basta questo “programmino”  per avere motivi per parlare di una contro riforma? Ma se questo è il rischio perché nessuno parla di controriforma e tutti fingono che il DM 71 sia un semplice potenziamento del territorio?

Contesto e prestazioni

E’ una balla anche  la storia della “prossimità”. Se i MMG sono i titolari della assistenza di base e se i MMG  sono obbligati a lavorare 18 ore nelle case di comunità vuol dire che quella che si chiama “assistenza di base”  verrà svolta ameno per 18 ore nelle case di comunità. Una struttura  tutt’altro che “prossima” nei confronti  dei bisogni primari della comunità.

 

Le case di comunità  cambiano il significato strategico da attribuire  alle cure primarie e più esattamente attribuiscono loro una natura specialistica.

Le cure primarie così  non rientrano più nell’assistenza di primo livello. Quelle che restano al primo livello sono di fatto dimezzate.

In sanità, secondo il principio del contesto, è  il tipo  di servizio che eroga le prestazioni, che, con la sua particolare organizzazione, decide i predicati delle prestazioni stesse. Detto in un modo diverso:  i caratteri  delle prestazioni erogate dai servizi dipendono dai contesti organizzati  nei quali i  servizi operano.

Questo spiega ad esempio perché  le prestazioni garantite in un ospedale sono di un tipo, in un ambulatorio sono di un altro tipo, fino al domicilio.

Una mistificazione
L’idea di prossimità è una mistificazione  perché le case di comunità che altro non sono che il repechage dei poliambulatori specialistici delle mutue (si pensi ai poliambulatori Inam) non hanno niente a che fare con la comunità ma semplicemente,  dato un distretto,  cioè un insieme di servizi, esse sono strutture  decise con un banale criterio di partizione: per ogni distretto (100.000 abitanti) 2 case  della comunità (50.000 abitanti per ciascuna). Punto.

Una partizione di un insieme “A” definito “distretto” per definizione quindi  non è altro se non una collezione di sottoinsiemi di “A”  definiti “case di comunità”. Le case di comunità sono semplicemente dei sottoinsiemi di secondo livello  del distretto  Null’altro. Tutto il resto prossimità, hab,  spoke, rete, ecc. sono solo slogan e chiacchiere.

Un regolamento… ma di conti
E’ una balla dire  che  il Dm 71 è il nuovo regolamento che definisce l’assistenza territoriale dopo la pandemia. In realtà il DM 71 è un regolamento, certo, ma di conti.

La pandemia per le Regioni, dopo anni di impotenza  e di frustrazioni,  è  stata vista  come la grande occasione per rompere le ossa ai MMG  per togliersi finalmente  dalle scatole  la grande anomalia della convenzione  e quindi  ridurre  il peso e il ruolo del  lavoro libero professionale.

Senza questa pandemia  e quindi senza 165.000 morti le regioni avrebbero dovuto mangiare rospi chissà ancora per quanti anni.

La crisi di credibilità del MMG  inizia molti anni fa nel momento in cui le regioni  cominciano a lamentare a causa della convenzione  forti problemi e forti rischi per la governance. E in sanità quando si diventa un problema di governance non c’è corporativismo che tenga. Prima o poi arriva la tranvata. Oggi la tranvata è arrivata.

Si dice  che quando si tira troppo la corda c’è il rischio che la corda si spezzi ed è quello che è accaduto ai MMG. Ma credetemi i tironi  e gli strappi sono stati davvero tanti.

Nel tempo  il disagio dell’istituzione  ha finito per assumere la forma del conflitto ideologico cioè il corporativismo per anni ha conteso alla pubblica amministrazione financo le sue più ovvie  prerogative.

Oggi siamo al  redde rationem.

Chi è causa del suo mal pianga se stesso
E’ un’altra balla quella che sostiene  che il MMG sia vittima degli eventi legati alla pandemia,  delle strumentalizzazioni  dei pregiudizi quasi come se vi fosse contro di lui una ingiusta e incomprensibile persecuzione.

Che nei confronti dei MMG esistano, più che mai oggi, preconcetti e strumentalizzazioni, atteggiamenti persecutori  è fuori discussione  ma onestà intellettuale vuole che si dica che:

  • la questione dei MMG è roba vecchia,
  • la vera causa dei problemi dei MMG sono un sindacato che dire miope e irragionevole è dire poco.

Non c’è dubbio che, in questi anni, soprattutto il sindacato, attraverso la convenzione ha costruito “l’interesse perfetto” cioè ha reso massimo a vantaggio dei MMG il principio del vantaggio quello che gli inglesi chiamano  “benefit”, ma senza praticamente essere obbligati a garantire alle aziende delle particolari contropartite a parte quelle dovute di natura strettamente professionali.

Per quanto appaia un po’ folclorico rammento che i MMG sono gli unici operatori privati ai quali lo Stato ha comprato il computer.

Il principio del tornaconto
Non c’è dubbio che quando il tornaconto è alto i medici non vedono la ragione per la quale dovrebbero rinunciarvi e porsi il problema del cambiamento. E non c’è dubbio che quando le cose vanno a gonfie vele la tendenza a sottrarsi  al duro  confronto con la realtà fino a sbattersene dei problemi degli altri e  quindi a diventare di fatto indipendenti dai contesti in cui ci si trova ad operare. Oggi,  non  a caso dopo la pandemia,  i MMG pagano l’errore politico  molto  grave di essere diventati di fatto  l’autoriferimento dei propri interessi. Neanche loro possono permettersi il lusso di essere indipendenti dai contesti.

Potrei esibire  facilmente una letteratura  infinita nella quale per anni, proprio su questo giornale, mi sono rivolto ai MMG proponendo loro anche una minima  apertura verso il cambiamento. Senza avere mai in cambio un briciolo di considerazione.

Ricordo le discussioni appassionate con il mio amico Mario Falconi, erede di quel grande uomo  che è stato Mario Boni, le perplessità di Stefano Zingoni che non capiva le mie proposte (QS 13 maggio 2015) quelle senza nessuna speranza con Antonio Panti che in nome del più ottuso conservatorismo  bollava le mie proposte di cambiamento come utopiche (QS 13 giugno 2016), ricordo Giacomo Milillo che in un convegno dopo la mia analisi sui problemi del MMG propose sarcasticamente  l’uso del prozac (QS 12 maggio 2015) accusandomi di pessimismo catastrofico.

Magari per lui e per tutti i MMG fossi stato un pessimista catastrofico.

Aborti
Nel 2007 il Consiglio Nazionale FIMMG, approvò un documento all’unanimità  sulla “rifondazione della medicina generale”. Ma questa rifondazione non c’è mai stata. Cosa vuoi rifondare se non sei disponibile  a cambiare  un bel niente?

Nel 2012 incalzati prima di tutto dalle regioni sempre più insoddisfatte  i MMG provano a rifarsi il look con la legge Balduzzi (legge n° 158) che prevedeva oltre il ruolo unico  che le cure primarie si costituissero in forme organizzate sotto il nome di Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) o Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP). Un tentativo secondo me intelligente e opportuno ma considerato da centinaia di migliaia di mmg un attentato alla loro autonomia.

Oggi Giuseppe Belleri, di cui apprezzo l’ expertise ma del quale non condivido  la sua interpretazione rassegnata  del compromesso inevitabile, riferendosi al Dm 71  scrive  “proporre l’ennesima riforma quando siamo alla vigilia della messa in opera della Balduzzi a 10 anni dall’approvazione ha un retrogusto paradossale e potrebbe spingere il sistema verso un punto di rottura in una fase già abbastanza critica per i ritardi accumulati, i pensionamenti anticipati di massa e la crisi vocazionale” (QS 1 giugno 2022).

Come dargli torto ma intanto, caro maestro,  sono passati inutilmente 10 anni e nel frattempo  è arrivata la pandemia e  subito dopo il  “medico dimezzato”  e  i  sindacati  non si sono accorti che la terra sotto i loro piedi non solo cominciava a mancare ma stava addirittura franando.

Conclusione
Siamo davvero finiti in un bel casino. La toppa messa soprattutto dalle regioni per ridimensionare i MMG è peggiore del buco. Il “combinato disposto”  concordato tra governo, regioni e Fimmg è micidiale. A me non interessa distribuire, come sarebbe anche giusto fare, delle colpe e delle responsabilità.  Anche se è difficile negare  che le responsabilità politiche più grosse riguardano la Fimmg  cioè il sindacato maggioritario.

Come è altrettanto innegabile  innegabile che il compromesso che la Fimmg  ha dovuto ingoiare è  la prova più evidente  del suo insuccesso, del suo fallimento, ma anche della sua crisi.

A me oggi interessa combattere e contrastare la “controriforma” che riguarda le cure primarie  perché in tutta onestà non ho alcuna remora a considerarla:

  • semplicemente biasimevole per le soluzioni poco meditate che propone;
  • del tutto inadeguata a risolvere i problemi del territorio;
  • profondamente disonesta perché ai cittadini promette cose che sa che non potrà mantenere;
  • reprensibile perché appaltare l’assistenza di base al privato per il cittadino oltre che essere ingannevole non è in alcun modo vantaggioso;
  • antidemocratica perché fare la festa al MMG è fare la festa ad una istituzione storica   e prima  bisognerebbe sentire almeno  i cittadini.

da qui

 

 

Per la sanità territoriale è venuto il momento del “redde rationem”

di G.Campo, A.Chiari, A.D’Ercole, B.Bersellini, B.Agnetti

 

Gentile Direttore,
da anni come centro studi abbiamo scelto di seguire una via difficile ed impervia ma tuttavia esaltante proprio a causa della sua difficoltà.  Abbiamo tentato di mettere insieme ( per comporre un  concreto progetto riformatore delle cure primarie) le elaborazioni concettuali, epistemologiche ed ontologiche del nostro storico punto di riferimento Prof. Ivan Cavicchi con le visioni organizzative territoriali e di welfare comunitario del Prof. Stefano Zamagni. Per noi due giganti che hanno da sempre guidato la nostra pratica professionale.

Come capita spesso, le sollecitazioni del prof. Ivan sono, irresistibili e ci coinvolgono ogni volta profondamente. Desideriamo approfondire le sue tematiche ma abbiamo anche il desiderio di partecipare e condividere le sue argomentazioni apportando qualche nostra posizione.  Il suo ultimo intervento spiega bene come si stia profilando un completo fallimento della medicina generale a causa di un consociativismo che purtroppo pare aver cancellato ogni credibilità alle Aziende e ai sindacati coinvolti in queste pratiche di sottogoverno.

Che dire delle analisi coloritissime e di piacevolissima lettura del Prof.  se non che siano inevitabilmente e tragicamente condivisibili al 100%? Anche il nostro gruppo di studio ha spesso espresso concetti e considerazioni sulla medicina generale e alla sua malattia degenerativa interna sovrapponibili a quelle dell’articolo sul “redde  rationem” che ricorda, con dovizia di particolari, le lunghe manovre di controriforme, l’assenza di un coming out di ammissione del completo fallimento delle aziende sanitarie, degli assessorati, di alcune decisioni condizionate dalla maggioranza rappresentativa.  L’incapacità di ascolto della società civile, lo svilimento dei bisogni espressi ed inespressi degli assistiti e dei professionisti sono riportati addirittura con nomi e cognomi fino a ricordare l’esilarante episodio dove il Prof. Ivan riceve il consiglio (non richiesto) di utilizzare  un po’ di Prozac! Sarebbe interessante allagare questo elenco anche i nomi dei responsabili sanitari regionali e aziendali.

Nonostante i pomposi DM non si vedrà un ben nulla a potenziamento del territorio e chi ci rimetterà saranno sempre i soliti professionisti di trincea e i cittadini. Impressionante, tanto da diventare incredibile nella sua realizzazione (l’avanzo del PNRR sarà condizionato dalla guerra in atto), sono le 1350 Case della Comunità previste che entrano, concettualmente, immediatamente in contraddizione con i 400 Ospedali di Comunità   programmati. Questi ultimi, come minimo, dovrebbero modificare subito  la loro definizione altrimenti emergerebbe un ossimoro clamoroso ed emblematico (non saranno mai di comunità ma al massimo di territorio dovendo ricoprire, secondo i numeri annunciati, aree molto più ampie di quelle che vengono comunemente indicata come “territori di comunità” ) e quindi, come dice Cavicchi, da questo punto di vista la prossimità si palesa come una bella fandonia.  Gli assistiti di serie A e di serie B sono sempre esistiti in questi anni quando le strutture, chiamate fino a 6 mesi fa Case della Salute,  hanno creato, negli anni, differenziazioni o discriminazioni  coinvolgendo nella sciagura sia i pazienti che i professionisti.

Già da qualche articolo anche il Professore pare piegarsi all’inevitabile avanzare delle assicurazioni   complementari o integrative e al rovinoso welfare aziendale…  Si assiste ad una narrazione già ascoltata  nel passato dove per normativa la Guardia Medica (presidio) è diventata  Continuità Assistenziale e l’auto medica e divenuta infermieristica (con grande rispetto per i colleghi infermieri) ecc. Piccoli passi infinitesimali ma ben progettati perché la burocrazia ha tutto il tempo che le serve per una rivalsa che va servita fredda.  Inoltre, mandarini, oligarchi e autocrati riescono con estrema facilità a far credere alla stragrande maggioranza degli assistiti   che gli asini volino e che il miglior medico di base  possibile  sia quello che opera come specialista.

Quando un assessorato regionale o una amministrazione sanitaria Ausl non sono convinte di dover affrontare certi problemi in modo puntuale (cioè con una radicale riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie in modo trasparente ed assolutamente equo) non saranno certo le parole o gli scritti a far cambiare queste convinzioni radicate e sovraordinate.

La cronica mancanza di avvicendamenti o alternanze nel processo politico-decisionale sanitario, considerato l’enorme potere economico e  sociale affidato alle regioni,  può portare a quello che James Reason, in campo clinico, ha definito la “teoria del formaggio svizzero”.  Reason, con la sua ipotesi, ha tentato di rappresentare come nei sistemi complessi (e non solo in quelli sanitari) la consuetudine (es.: la uggiosa ed insopportabile questione della governance che non vuol dire altro che comandare) possa causare situazioni tali da determinare errori successivi o seriali che possono diventare alla fine anche catastrofici (“tranvata”).  Ogni pratica è prigioniera della sociologia o del “contesto”.  Non avevano tenuto conto del contesto i dinosauri e sono scomparsi. Non è successo invece ai piccoli roditori che scavavano le loro tane nel terreno più profondo.

Sarà solo il tempo che riuscirà a dare ragione e senso a questa parte politica della cura.

Il modernismo regressivo, a volte, si dimentica di questo aspetto fino a ipotizzare che il cittadino ideale debba tendere alla massima autonomia, libertà, tendendo cosi a tralasciare la collettività o alla vita in comunità.

Infine, con tutto il massimo rispetto e devozione vorremmo riportare l’invocazione del Sommo Pontefice Papa Francesco riportata nel titolo dell’articolo di QdS (6 giugno 2022)  sulla Sanità Pubblica. “E’ una ricchezza: non perderla, per favore, non perderla”. “Anche in campo sanitario è frequente la tentazione di far prevalere vantaggi economici e politici di qualche gruppo a discapito della maggior parte della popolazione”.  “Tagliare le risorse per la sanità è un oltraggio per l’umanità”

Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Alessandro D’Ercole, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna

 

 

INTERVISTA AD IVAN CAVICCHI

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Mariano Rampini

    Sono davvero felice di rileggere le parole dell’amico Ivan Cavicchi, conosciuto nel corso del mio lavoro presso Il Farmacista e L’infermiere, organi ufficiali della Federazione degli Ordini dei farmacisti (sotto la direzione di Giorgio Flavio Pintus) e della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi (prima quindi della loro trasformazione in Ordine).
    Sono felice, ripeto, perché ho da sempre condiviso le analisi di Ivan sulla realtà del Servizio sanitario nazionale (pardon, regionale. È più esatto definirlo così). Un obiettivo contro il quale, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, sono stati scagliati tutti i tipi di proiettile disponibili alle forze che propugnano una sanità privata, con buona pace del principio di solidarietà che è, appunto, alla base dell’idea stessa di Servizio sanitario nazionale. Che le disfunzioni ci siano è innegabile: le ho constatate sulla mia stessa pelle in alcune occasioni nelle quali ho dovuto – ahimè – far ricorso alle cure del Ssn. Ma perché si creano situazioni simili? Chi vuole far sì che gli assistiti fuggano dai servizi del Ssn per rifugiarsi tra le “amorevoli” mani della sanità privata? Perché le lunghissime liste di attesa? Perché l’atteggiamento fin troppo sciatto di medici e infermieri (ripeto, parlo per esperienza personale ma molti altri colleghi hanno avuto modo di sperimentarlo). Le domande – si diceva un tempo – sorgono spontanee dinanzi a situazioni diametralmente opposte che lo stesso identico Ssn propone: ospedali dove tutto funziona, dove c’è cortesia e competenza, dove il paziente è davvero al centro di un percorso di cura e di assistenza. Due facce, insomma, due facce che lasciano con molti dubbi. Quasi che ci sia una sorta di disegno complessivo tutto a favore delle strutture cosiddette d’eccellenza (purtroppo sparse sul territorio e origine prima della cosiddetta migrazione sanitaria). Il resto è silenzio, scriveva il Bardo. Sono luoghi dove vedi persone (ancora prima che pazienti) abbandonate a se stesse, dove nessuno pare sapere quale debba essere il tuo destino (la carenza di informazioni al paziente è uno dei mali più gravi), dove attendi per ore e ore nelle anguste sale del Pronto Soccorso senza alcun sostegno da parte di medici e infermieri che (e non lo fanno) sembrano quasi “fare ammuina” nella più pura tradizione della Marina del Regno delle Due Sicilie. Scrivevaop anch’io, ad esempio, e lo facevo più di quindici anni fa, della ormai possibile carenza di medici e delle varie proposte di abolire (o comunque rendere meno stringente) il numero chiuso nelle facoltà di Medicina. Cosa è successo nel frattempo? Praticamente nulla. Dinanzi a una molteplicità di disastri annunciati (non uno solo, ma molti e molti) l’inazione dei Governi e, soprattutto, dei governatorati regionali, dovrebbe mettere paura. Alla fine, invece, finisce tutto in un gigantesco calderone dove ogni cosa si confonde e si mischia perdendo così le sue precise connotazioni. Un enorme chaier de doleance nel quale le richieste dei cittadini e degli stessi operatori finiscono con l’essere scritte le une sulle altre rendendole illeggibili e indistinguibili. Non preoccupa tanto l’esistenza di mali strutturali del servizio (ci sono e ci saranno considerando la massa di anziani che si avvia a popolare il nostro Paese). Preoccupa soprattutto l’indifferenza con cui questi temi vengono affrontati. E l’indifferenza è il male che affligge chi non ha più speranza. O vuole che gli altri non ne abbiano…

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