Golpe anomalo in Paraguay

di David Lifodi

A quasi tre anni esatti dal colpo di stato in Honduras, un altro golpe è in atto in America Latina: a farne le spese Fernando Lugo, che il 23 Giugno è stato destituito dalla presidenza del Paraguay.

Si tratta di un colpo di stato anomalo, nel senso che l’ex vescovo è stato rimosso legalmente, cioè il Senato si è espresso contro di lui secondo i poteri sanciti dalla Costituzione, ed è ancora più paradossale che ciò sia avvenuto dopo che destre, oligarchia e grandi proprietari terrieri le avessero provate tutte per costringerlo ad abbandonare Palacio de López con qualsiasi mezzo, compresi quelli meno ortodossi. L’opera di destabilizzazione, però, è stata compiuta dalla destra e dall’Asociación Rural del Paraguay con la complicità di quel Federico Franco che, finalmente, ha ottenuto ciò che voleva: porsi alla guida del paese fino al 15 Agosto 2013, la scadenza naturale della presidenza Lugo. L’ex monsignore, dopo la vittoria elettorale che portò per la prima volta al governo sinistra e movimenti nel 2008, aveva dato vita ad una coalizione fin troppo eterogenea, nominando a vicepresidente Federico Franco, che, fin dai mesi successivi al suo insediamento al palazzo presidenziale di Asunción, ha cercato di fargli le scarpe. Infine, ancor più anomalo è stato il casus belli da cui è derivato il golpe: Lugo è stato fatto cadere dal Senato in seguito ai fatti avvenuti il 15 giugno scorso e passati alla storia come la matanza de Curuguaty. Curuguaty è un piccolo villaggio situato nella selva amazzonica dove, da tempo, i campesinos stavano affrontando una dura vertenza per conquistare il diritto alla terra, su cui aveva messo gli occhi Blas Riquelme, un facoltoso imprenditore legato ai colorados, il partito di destra che per anni ha tenuto in pugno il paese, e per giunta legato alla multinazionale Monsanto, la più interessata alle terre di Curuguaty, nel nord-est del paese. Durante gli scontri che sono avvenuti per impossessarsi della terra, sono morti dodici campesinos e sei poliziotti. Da qui è derivato il juicio politico contro il presidente Lugo, un vero e proprio impeachment per non esser stato capace di gestire la situazione. L’articolo 225 della Costituzione certifica, infatti, il principio per cui il Presidente della Repubblica “può essere sottoposto a giudizio politico per cattivo adempimento delle proprie funzioni”. Il Senato lo ha giudicato colpevole di “cattiva condotta” e, con trentanove voti favorevoli e solo quattro contrari, ha ratificato la votazione già espressa alla Camera ed è riuscito a sbarazzarsi dell’ex vescovo in meno di 24 ore, mentre nella Plaza de la Democracia di Asunción migliaia di persone si erano radunate per denunciare il golpe de estado. Gli agroesportatori, le destre e l’alta borghesia hanno avuto gioco fin troppo facile a cavalcare i tragici fatti di Curuguaty, dove, secondo le testimonianze dei contadini presenti, gli scontri sarebbero stati originati da un gruppo di infiltrati, molto probabilmente guardie armate al soldo di Riquelme ed il cui obiettivo dichiarato era quello di creare una crisi politica. Un colpo di stato tecnicamente legale, dunque, ma illegittimo, sfruttando proprio un cavillo di quella Costituzione che, pur risalente agli anni della dittatura stronista, il presidente Lugo giudicava, per certi aspetti, portatrice di un contenuto democratico. Lo aveva dichiarato in una lunga intervista rilasciata a Brasil de Fato, uno dei quotidiani più autorevoli della sinistra sociale latinoamericana, soltanto pochi giorni fa, il 29 Maggio scorso. In quella chiacchierata con la redazione del giornale, che a posteriori suona come un vero e proprio testamento politico, Lugo sosteneva che molto era stato fatto, durante il suo percorso, ma altrettanto restava ancora da fare. In realtà, l’ormai ex presidente sottolineava che mantenersi al governo dal 2008, nonostante un Senato ampiamente ostile, costituiva già un risultato notevole in un paese arretrato come il Paraguay, dove poche famiglie erano riuscite comunque a mantenere il proprio potere sul paese. Prova ne erano i due tentativi di golpe operati (e non riusciti) tra il settembre 2008 ed il novembre 2009, dietro ai quali figuravano l’ex generale Lino Oviedo (attuale presidente del partito Unión Nacional de Ciudadanos Éticos e protagonista anche dell’attuale colpo di stato), il giudice Candia Amarilla (anche lui coinvolto nella sollevazione contro Lugo e protagonista tra il 2005 ed il 2011 di una feroce repressione contro le organizzazioni contadine in lotta per la terra) e lo stesso Federico Franco, tra i leader del Partito Liberale, da tempo dedito a sabotare il percorso democratico dell’Alianza Patriótica para el Cambio, la coalizione di centrosinistra che aveva le elezioni insieme a Tekojoja, la forza politica creata dallo stesso Lugo, “uguaglianza” in lingua guaranì. La permanenza dell’ex vescovo a  Palacio de López non è stata delle più semplici, tra tentativi di destabilizzazione, le continue minacce di morte, ma anche i rapporti non del tutto idilliaci con qui movimenti che pure lo avevano condotto alla vittoria elettorale, gli scarsi progressi compiuti in merito alla riforma agraria ed alcuni errori: il più clamoroso lo stato d’assedio nel nord del paese (nei dipartimenti di Amambay, Alto Paraguay, San Pedro, Presidente Hayes e Concepción) decretato nell’Aprile2010 in seguito alla comparsa sulla scena del gruppo guerrigliero denominato Ejército del Pueblo Paraguayo.La Costituzione permette l’attuazione dello stato d’assedio solo in caso di guerra, e questo aveva suscitato pesanti critiche da parte delle organizzazioni di sinistra e contadine, un colpo durissimo per Lugo, la cui famiglia è stata perseguitata sotto la dittatura di Stroessner. Eppure, nonostante le incertezze dell’ex monsignore in tema di riforma agraria e questione indigena, che conosceva da vicino per la sua opera pastorale nelle zone più povere del paese e per la sua vicinanza con la Teologia della Liberazione, l’oligarchia ha deciso di cancellarlo dalla scena politica, timorosa che gli spazi democratici aperti da Lugo cominciassero a ledere troppo i suoi interessi. Si tratta di una mossa preoccupante, che certifica il ritorno impunito delle destre e spazza via un presidente realmente eletto che gode, comunque, del sostegno di buona parte del paese. I paesi dell’Alba, l’Alleanza Bolivariana, hanno condannato immediatamente il tentativo di colpo di stato in Paraguay, indicando nella destituzione di Lugo il tentativo di “installare un governo illegittimo per far regredire il Paraguay alle vecchie pratiche politiche ormai superate”. La presidenza di Franco non ha ricevuto il riconoscimento nemmeno da parte di paesi rosa, quali Argentina, Brasile, Costarica, Uruguay e perfino dal destrorso colombiano Santos, mentre Unasur (l’Unione delle Nazioni Sudamericane) ha intenzione di avviare la rottura diplomatica con il neonato governo golpista. Solidarietà a Lugo anche dalla Comunità degli Stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac). In tutto questo resta da capire quale sia stato il ruolo giocato dagli Stati Uniti: non da poco, se fossero vere le voci secondo le quali la votazione del Senato paraguayano sull’ingresso del Venezuela nel Mercosur dipendeva dalle pressioni dell’ambasciata Usa di Asunción.

Il fatto che le Forze Armate abbiano annunciato in un comunicato il loro plauso alla votazione in Senato, mentre nei due precedenti tentativi di golpe avevano rifiutato di intervenire, certificano la brutta china su cui si sta incamminando il Paraguay.

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