Golpe in Brasile, al di là della propaganda

Federico Musso – del sito «Teste libere» – ha intervistato il “nostro” David Lifodi

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Le proteste pilotate che si sono sparse per il mondo negli ultimi anni ci hanno abituato a drizzare le orecchie quando si ha a che fare con manifestazioni popolari troppo “incensate” dai media. Indagare in profondità è necessario per scovare gli interessi di qualche potente, nascosti ben bene sotto il trucco suadente dei “diritti umani”, della “libertà” o della “giustizia”.

In queste settimane, il Brasile, alla vigilia delle Olimpiadi 2016, sta passando in questa situazione. Infatti, un’inchiesta della magistratura su un giro di tangenti in cui sono implicati dei personaggi legati al gigante Petrobras rischia di mettere in ginocchio un governo che, nonostante tutto, ha compiuto scelte coraggiose.

Ne parliamo con un esperto di politica brasiliana e collaboratore di PeaceLink: David Lifodi.

1) Chi sono i promotori dell’impeachment e quali interessi rappresentano?

I principali promotori dell’impeachment o, comunque, della spallata a Dilma Rousseff, possono essere suddivisi in due categorie. Da un lato, l’opposizione parlamentare, rappresentata dalla destra neoliberista di Eduardo Cunha, presidente della Camera dei Deputati ed esponente del Partito del movimento democratico brasiliano, e di Michel Temer, il vicepresidente di Rousseff che intende farle le scarpe come già accaduto in Paraguay, quando l’ex vescovo Fernando Lugo fu sollevato dall’incarico grazie ad un cavillo parlamentare dal suo vice Federico Franco. Anche in quel caso si trattò di un vero e proprio colpo di stato. A dirigere i piani per la saída di Dilma, che la destra intende condurre sul modello della opposizione antibolivariana in Venezuela, la Fiesp, corrispondente alla nostra Confindustria, ed esponenti del Partito socialdemocratico (l’equivalente della destra, a dispetto del nome) come Aécio Neves (sconfitto per un soffio dalla Rousseff alle ultime presidenziali) e il governatore di San Paolo Geraldo Alckmin, solo per citare i nomi più noti, peraltro a loro volta invisi all’ultradestra. A soffiare sul fuoco, inoltre, il latifondo mediatico di «Globo», che ha un fortissimo impatto sull’intero Paese e non ha mai nascosto la sua simpatia per la dittatura militare che si instaurò in Brasile tra il 1964 e il 1985. Dall’altro lato si trova anche l’opposizione extraparlamentare, caratterizzata da tratti apertamente fascisti, ad esempio gruppi cattolici radicali quali Tradição, Familia e Propriedade e movimenti di estrema destra tra cui Vem para Rua e Movimento Brasil Livre. Se fosse per il vicepresidente Michel Temer e Eduardo Cunha, le conquiste sociali sarebbero già state cancellate da un pezzo. Per inciso, Eduardo Cunha, il principale accusatore di Dilma Rousseff, è accusato di corruzione, riciclaggio di denaro sporco e appropriazione indebita di risorse dello Stato: il suo scopo è quello di utilizzare l’impeachment per salvare il suo mandato. Inoltre, il principale accusatore di Rousseff, il giudice Sergio Moro, è vicinissimo a Globo e svolge il ruolo di collante tra Pubblico Ministero Federale e informazione mainstream. Anche in Italia, vengono mostrate solo le immagini dell’opposizione che scende in piazza, ma si tratta principalmente dell’alta borghesia brasiliana e di studenti sui generis. Ad esempio, i cosiddetti Studenti per le libertà sarebbero finanziati da una fondazione statunitense di estrema destra. Infine, andrebbe fatta anche una riflessione sul ruolo della magistratura e sulla sua volontà di fare pulizia. Certo, la forte crisi economica ha rappresentato un fattore in più per far scendere in piazza le persone, anche della classe media, ma gran parte della fasce sociali popolari stanno con Dilma Rousseff. Si continua a dire che la presidenta “non poteva non sapere” di quanto accadeva in Petrobras e dei conti truccati per non far apparire il buco di bilancio dello Stato, ma contro di lei, come del resto per Lula, non c’è alcuna prova reale ed effettiva. Al contrario, sottolinea João Pedro Stedile, leader dei Sem terra, a proposito dell’enorme disastro ambientale di Minas Gerais, caratterizzato da sversamenti chimici nel fiume provenienti dalla miniera, il processo contro la potente multinazionale Vale, responsabile del crimine e tra le maggiori imprese finanziatrici della destra, è stato praticamente insabbiato. In questo caso, però, non c’è stato l’accanimento mediatico registrato in occasione della più grande crisi che sta vivendo la politica brasiliana negli ultimi anni.

2) L’informazione mainstream continua a rivangare i difetti del governo in carica di Brasilia. Quali sono, invece, i meriti del governo Rousseff?

I principali meriti della presidenza Rousseff, come del resto quelli dell’epoca lulista, sono riconducibili, essenzialmente, al ruolo di primo piano giocato dal Brasile nel campo integrazionista latinoamericano, si pensi al ruolo di Unasur, Celac e ad un Mercosur dal volto più umano e solidale. Paradossalmente, la destra accusa Dilma di comunismo ma lo fa solo per suscitare clamore mediatico e in virtù del suo passato di militanza giovanile nella guerriglia che pagò anche con la tortura. In realtà, la presidenta ha proseguito le politiche sociali di Lula, che hanno permesso a milioni di brasiliani di uscire dall’estrema povertà, anche se in chiave prevalentemente assistenzialista. Le maggiori critiche giunte alla presidenta, in realtà, sono arrivate da sinistra. Rousseff ha potuto mettere in pratica una parte minima del suo mandato per due aspetti. In primo luogo, al Congresso, il Partido dos Trabalhadores ha ottenuto una maggioranza tutt’altro che schiacciante, da cui sono derivati, gioco-forza, una serie di accordi con partiti e partitini-banderuola, i quali hanno abbandonato Rousseff, condannandola all’impeachment, non appena hanno avuto l’occasione. In questo contesto ha giocato un ruolo determinante la cosiddetta bancada ruralista, trasversale agli schieramenti politici e in cui i signori dell’agrobusiness hanno imposto con facilità le loro priorità. In seconda istanza, Dilma, come del resto Lula, è stata fin troppo accondiscendente con le grandi imprese, si pensi al discutibilissimo sostegno di buona parte del Pt all’estrazione mineraria, alla costruzione delle centrali idroelettriche e all’appoggio in bianco concesso alle monocolture della soia e dell’eucalipto. Lo stesso è avvenuto con le grandi opere e con grandi eventi quali i mondiali di calcio 2014 e le Olimpiadi del prossimo agosto, da cui hanno guadagnato solo le multinazionali a scapito delle fasce sociali più povere, costrette, in più di una circostanza, a sgomberi forzati e sottoposte a vere e proprie operazioni di pulizia sociale, spesso a scapito dei giovani favelados. Infine, non solo la riforma agraria non ha fatto alcun passo significativo, ma l’assegnazione delle terra al movimento Sem terra con Dilma ha raggiunto il suo minimo storico. Eppure, mostrando grande maturità politica, i movimenti sociali, che in più di una circostanza hanno evidenziato gli scarsi passi avanti di una presidenza in teoria popolare, hanno fatto quadrato, denunciando il colpo di stato parlamentare in atto contro Rousseff, consci che un eventuale ritorno della destra al Planalto farebbe compiere al Brasile degli enormi passi indietro.

3) L’azienda finita nel mirino dell’inchiesta che sta scuotendo il Partito dei Lavoratori è la Petrobras, azienda petrolifera pubblica. Secondo te, c’è in gioco un possibile tentativo di privatizzare il gigante petrolifero?

Se la destra tornerà al potere, sia che al Planalto sieda Temer sia che ad approfittarne sia Aécio Neves, è molto probabile che non solo Petrobrás sarà privatizzata, ma un intero Paese. La privatizzazione dell’omonima messicana di Petrobrás, Pemex, ha contribuito a portare alla deriva il Messico. Oltre al gigante petrolifero, l’ondata di privatizzazioni finirà per mettere in ginocchio il Brasile. In Argentina, sono bastati pochi mesi di permanenza alla Casa Rosada di Mauricio Macri per far tornare il Paese quello che era in epoca menemista e tra la fine del secolo scorso e l’inizio degli anni Duemila, con i fondi avvoltoio che già si stanno fregando le mani. Petrobrás potrebbe essere utilizzata come arma dalla destra brasiliana per far capire il “vento nuovo” che spira nel Paese. Ad avvantaggiarsene, ancora una volta, saranno le multinazionali che, in certi Stati del continente latinoamericano, in pratica già amministrano direttamente la vita politica, economica e sociale.

4) Secondo quanto riportato dall’Antidiplomatico, il presidente dell’Uruguay ha definito così l’impeachment alla presidente Dilma Rousseff “assomiglia molto a un colpo di stato”. In effetti, la preoccupazione delle nazioni latinoamericane progressiste è giustificato, visto il momento già difficile per il gruppo dei Paesi che hanno impostato politiche “bolivariane” nell’ultimo decennio (si pensi all’elezione di Macrì in Argentina e alla morte di Chavez). Come pensi che la situazione brasiliana possa influenzare la geopolitica dell’America del Sud?

Quello attualmente in corso, secondo me, è un vero e proprio colpo di stato, i cui esiti, se Dilma cadrà, saranno nefasti per tutta l’America Latina. Più o meno con le stesse modalità, a partire dal 2009, sono stati destituiti Manuel Zelaya in Honduras e Fernando Lugo in Paraguay, oltre ai tentativi quasi quotidiani di far cadere Maduro in Venezuela. Inoltre, la destra ha compiuto un notevole passo avanti con l’elezione di Mauricio Macri in Argentina, Paese leader all’interno del Mercosur proprio insieme al Brasile. Se il Planalto finisce in mano alla destra ci sarà un vero e proprio ribaltamento dei rapporti di forza in America Latina. Sono in molti a sostenere che in America il ciclo progressista, quello che Maurizio Chierici in un suo libro definiva delle bandiere rosa e delle bandiere rosse, stia per esaurirsi. Augurandosi che queste previsioni siano sbagliate, non si può negare che si tratti di un momento di grande difficoltà, come testimoniato anche in Bolivia con l’esito negativo del referendum per Evo Morales. Il Brasile finora ha giocato un ruolo chiave in America Latina, ponendosi a metà tra le istanze di sinistra provenienti dai Paesi aderenti all’Alba e quelle più moderate dove sono al governo esperienze socialdemocratiche. Se il Brasile cade in mano delle destre, il Mercosur finirà per essere caratterizzato da un’impronta fortemente neoliberista da parte dei due Stati più rappresentativi e in un contesto in cui il progetto antiliberista dell’Alba sconta alcune difficoltà e l’integrazione continentale rischia di essere ridotta a brandelli grazie ai piani di destabilizzazione a cui da tempo stanno lavorando le destre continentali insieme agli Stati Uniti, che sono ben lieti se riescono a ristabilire il controllo sull’autoproclamato “cortile di casa”. Tutti i presidenti dell’area socialista latinoamericana hanno accusato gli Stati Uniti di aver ispirato un colpo di stato istituzionale, Unasur ha espresso la propria preoccupazione per i pesanti attacchi contro Dilma Rousseff, mentre i movimenti sociali temono che il Paese precipiti nel caos. E proprio le organizzazioni popolari rappresentano un baluardo di fronte ai tentativi golpisti della destra ma, al pari delle istituzioni integrazioniste latinoamericane, difficilmente riusciranno a fermare un eventuale colpo di stato. Ad esempio, in Honduras e in Paraguay, nonostante la resistenza dei movimenti sociali, le proteste delle sinistre e i tentativi della diplomazia, i golpisti sono riusciti a mantenere il potere.

 

 


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