Grovigli
di Sergio Mambrini
A Soulac sur Mer Giorgio aveva conosciuto José, spagnolo di Madrid. Gli era sembrato tal quale gli amici che frequentava in viale Carso nella sua prima età: sguardo di chi sa, ma è interessato ad ascoltare, eppure ironico senza ombre. Non ancora ventenne amava le nuove esperienze come un poppante. Proprio per questo motivo nell’autunno del settantanove arrivò da Giorgio per lavorare insieme a quei ragazzi e a quelle ragazze che si erano mescolati con lui fra le dune atlantiche.
Dimenticavo di dirvi che José era bello oltre che giovane. Le signorine più grandi di lui lo corteggiavano con altezzoso distacco, fingendo d’ignorarlo e arrivando perfino a prenderlo in giro per la lieve peluria bionda delle sue guance rosee e lisce. Quelle della sua età spesso lo evitavano, per non soccombere alla prima occhiata. Erano proprio gli occhi che le attiravano in una situazione imbarazzante, annullando le fragili difese femminili messe in campo. Lui si rendeva conto di tutto questo e se la rideva.
Poi José volle dar prova della propria esperienza nella cucina macrobiotica, settore nella quale appariva molto più vecchio dell’evidente età anagrafica. Con faccia tosta approfittava delle sue conoscenze per punzecchiare Giorgio: «Voi avete le schiene troppo rigide. Mangiate troppo sale. Ve lo dico perché ve le ho tastate quando eravamo a Soulac a fare schiatzu. Se mangiate tutto quel cloruro di sodio vi bloccate, perché il sale attrae le tossine e v’impedisce di scaricarle».
«Ma quali “schiene rigide” . Tu manipolavi solo quelle di Renata!» – gli ribatteva Giorgio.
«Bevete un po’ di birra piuttosto, e mangiate anche qualche mela. Vedrete che vi rilassano. Non dovete aver paura delle malattie».
«Tu non sai cosa significa “guarire” perché non ne hai mai avuto bisogno. Te la cavi bene solo a palpare Renata……..scusa, a massaggiare Renata».
… e via di ‘sto passo a sfottersi l’un l’altro. Ma, fra le tante parole, qualche verità se le dicevano.
José, per ringraziare gli amici dell’ospitalità, aveva portato in dono un enorme tegame dai bordi bassi, incurvati verso l’esterno, per cuocere la famosa “Paella” alla maniera macrobiotica, cioè col riso integrale e con le tecniche di cottura a fuoco vivo «…per yanghizzare» diceva lui. Oltre a cozze e calamari, acquistò grossi scampi e gamberi da aggiungere alla fine, dopo la loro grigliata. I peperoni, le cipolle, i piselli, l’aglio e l’alloro li usava per insaporire in modo gustoso la “Paella”, già impreziosita dallo zafferano. Con gli scarti del pesce fece una brodaglia profumata con la quale mise a cuocere il riso nel padellone e via via aggiunse tutti gli altri ingredienti. Fu una bella festa. Erano in una decina a gustarsi tutto quel bendidio, con una netta prevalenza maschile.
Tuttavia la minoranza non restò indifferente agli sguardi di José, ai suoi gesti, alle parole spagnole italianizzate con disinvoltura, alla simpatia erotica di quel giovane torero. In effetti, per come caricava le sue espressioni, sembrava di più un toro che un toreador. L’atmosfera fu piacevolmente elettrizzata da quella presenza ispanica ma anche dalla voce appassionata delle ragazze. In particolare quella di Renata sembrò più palpitante. Il suo atteggiamento era palesemente sbilanciato verso José, tanto da convincere Alfredo, il suo giovane marito, a distoglierla dall’apparente scuffia con il proprio talento comico. Eh sì! Renata si era sposata solo da pochi mesi con il giovane e simpatico tecnico dell’ufficio urbanistica del Comune, posto operativo di sicura durata.
Sia come sia, José fu ospitato per tutta la durata della sua permanenza proprio a casa loro. Fu Giorgio a convincere Alfredo, pur sapendo d’esporlo a un forte rischio. L’idea, sotto sotto, era tormentare senza requie José. Una specie di scherzo, di burla fra compagni “d’armi”. Ma José si fermò da loro più di tre mesi. Un tempo non previsto né da Giorgio, tantomeno da Alfredo. Un’occasione più unica che rara per il torello iberico. Infatti, Alfredo confidò a Giorgio la sua sfiga alcuni giorni prima del ritorno in Spagna di José: «Renata parte con José».
Lo vide con gli occhi sbarrati e l’espressione di chi invoca un sostegno, un appoggio che gli impedisca d’affondare.
«Ci siamo sposati il ventisei d’aprile e Renata vuole già andar via con lui. Dove ho sbagliato? Cosa faccio adesso?».
Giorgio non solo non seppe rispondere, ma sentì il cuore pompare il sangue verso le guance. Non era rabbia, ma vergogna per l’audacia dello stupido scherzo che era piombato con i suoi effetti sulla testa sbagliata. Adesso era diventato una matassa aggrovigliata da sbrogliare. Da sbrogliare? La burla si era trasformata in una faccenda seria che solo un gran colpo di culo avrebbe potuto mettere a posto. Alla sua maniera, Giorgio cercò di rincuorare Alfredo e, nello stesso tempo, mettere a punto una strategia per lui: «Ma dai, dove vuoi che vada Renata, senza un soldo? Anche José non lavora. Lui studia. Vuole andare all’università. Sostiene che vuole fare l’ingegnere. L’hai sentito anche tu, no? Ha già fatto il corso post diploma per accedere alla facoltà che ha scelto. Vedrai che lui parte e la tua Renatina resta qui con te».
In quel preciso momento sentì un brivido salire dalla schiena verso la nuca. Capì d’aver paura. Quando due giorni dopo vide José, ormai era in partenza per Madrid. Gli disse che si sarebbero rivisti l’estate seguente. Giorgio si fece promettere che avrebbe scritto. Lui promise di farlo.
«Ti manderò le ricette del Tekka e del Nigari».
Entrambi studiarono le parole che pronunciarono. Giorgio capì dal loro tono che José non sospettava nulla del suo ruolo nell’intrigo, ma capì che s’era innamorato. Lo intuì dal timbro delle vocali e dalle pause tra le frasi. Però partiva solo. Aveva deciso così. José non disse che lo scopo vero del loro incontro era stato viziato in partenza dall’intenzione mascherata di rivedere Renata dopo le vacanze di Soulac sur Mer. Si accorse che Giorgio non l’aveva capito e, nella sua mente, s’impegnò a mantenere l’equivoco. Si abbracciarono e se ne andò. L’estate successiva non si rividero. In ottobre Giorgio ricevette una lettera da José.
«Caro Giorgio,
quest’estate sono stato in Norvegia con mio fratello e due ragazze. Non avevamo niente di sicuro, ma siamo arrivati al campo di fragole e c’era lavoro anche per noi. Poi abbiamo acquistato l’Interail. E’ un biglietto di treno internazionale per i giovani di meno di ventisei anni, che puoi utilizzare per ogni dove per un mese. Così quando la domenica eravamo in festa giravamo per la Norvegia in treno. Là i treni sono buonissimi. I migliori che ho sperimentato. In uno di questi viaggi ho oltrepassato il Circolo Polare Artico, ritornando dopo attraverso la Svezia e passando un giorno intero a Stoccolma. Il lavoro era buonissimo per il body. Ci pagavano bene e mangiavamo tantissime fragole. Quando ci annoiavamo facevamo la guerra delle fragole con le ragazze, anche quelle norvegesi che lavoravano con noi. Il padrone era tutta un’altra cosa di quelli che conosciamo nei nostri Paesi. Non s’incazzava nemmeno e ci dava un trattamento totalmente giusto. Ho mangiato molto salmone affumicato perché era a buon mercato. La cosa più bella era la mancanza della notte. C’erano solo due ore senza sole, ma non era completamente buio. Con i soldi guadagnati ci siamo pagati le vacanze. Tornando a casa abbiamo visitato Copenaghen, Amsterdam, Londra, Parigi, ecc. Dopo sono andato a Ibiza con mia madre e mio fratello. E’ un paradiso terrestre. Fortunatamente pare che la democrazia in Spagna sia un po’ più forte, anche se rimane il pericolo golpista. I militari sono ancora molto poco democratici. Intanto ci scriviamo, poi chissà, a Pasqua, forse, riesco a venirti a trovare. Ti mando un forte abbraccio, a te e a tutti gli altri amici italiani.
José».
Giorgio non rivide più l’amico. Non parlò mai ad Alfredo della sua lettera.
Renata, poi ebbe due figli: una femmina e un maschio. Suo marito avviò un’attività in proprio e curò la sua passione per la musica mettendo insieme un piccolo complesso di sconsolato blues.
Pochi giorni fa Giorgio ha ritrovato José nel web: è sposato con tre figli, fa l’ingegnere ma… è anche diventato uno scrittore affermato nel suo Paese.