«Guardati dal mutante»

   Finalmente ripubblicato «I trasfigurati» di John Wyndham

Trasfigurati-BEAT

Al rito, ogni domenica, David sente ripetere: «E il Signore creò l’uomo a sua immagine e somiglianza e decretò che dovesse avere un corpo, una testa, due braccia e due gambe; che ogni braccio dovesse avere due giunture e terminare in una mano; che ciascuna mano dovesse avere 5 dita; che ogni dito terminasse con un’unghia». In questo mondo, dove viviamo insomma, la Bibbia non è così dettagliata ma nel romanzo «I trasfigurati» di John Wyndham sì. La storia inizia con David che incontra una bimba sconosciuta e inizia a giocare. Quando però Sophie si fa male al piede stranamente non vuole togliersi la scarpa. «Ma così non ti puoi liberare» le dice David e alla fine la convince. Quando Sophie slaccia la scarpa lì per lì il bimbo neanche fa caso che nel piede ci sono 6 dita. Poi ripensa alla predica domenicale e al grande cartello nella sua casa: «Guardati dal mutante».

Siamo in una data imprecisata ma centinaia d’anni dopo la catastrofe (atomica? batteriologica? ecologica?). Nel villaggio dove abita il piccolo David domina il fanatismo religioso che riconosce soprattutto nei mutanti i segni della persistente collera divina. Cosa c’è fuori dalla zona dove vive David? Ed è una pericolosa mutazione che alcuni bimbi possano parlarsi a distanza, nella mente? La bravura dell’inglese John Wyndham è mescolare molti mondi possibili. In quello di David non si accetta la minima devianza fisica o mentale; invece tutta la storia dell’umanità si basa – mai lo ammetteranno i razzismi- su differenze, variazioni, mescolanze. Il romanzo è del 1955 ma sembra scritto stamattina. Contro il fanatismo Wyndam mostra una via d’uscita: dopo la catastrofe, l’umanità può rinascere come una farfalla dal bruco («Re-birth» e «The Chrysalids» sono i titoli con cui il libro ha circolato in altri Paesi) solo se capisce che le mutazioni sono positive, svelando potenzialità latenti per un nuovo inizio. Differenza è libertà, è un’altra possibilità.

Si può dunque «Imparare dalle catastrofi», come suggerisce un saggio, uscito nel 2012 da Altreconomia con il sottotitolo «Guida galattica per sopravvivere al futuro» e recensito anche in bottega ( Noè, il carpentiere e noi). Come spiega la voce apposita «apocatastasi è una catastrofe che reintegra, alla fine dei tempi, la creazione e la rigenera in nuove forme». Se dunque dalle parti della fine del mondo, come oggi lo conosciamo, troveremo un nuovo inizio qualcosa si salverà: a meno che non sia l’ultima illusione che «ci permette di continuare a sopravvivere, di tappar falle, di agitarci e di non deprimerci». Nel saggio di Stefano Caserini ed Enrico Euli le notizie buone sono pochine. Ma se un cammino di liberazione (da guerre, violenze e da un pianeta asfissiato) è ancora possibile, allora la traversata verso altri mondi dovrebbe «dare nuovi significati all’educazione, alla formazione, al gioco». C’è – alla voce «Futuri anteriori» – un apologo di Gunther Anders che immagina Noè sbeffeggiato da tutti ma «a sera un carpentiere bussò alla sua porta e gli disse: Lascia che ti aiuti a costruire l’arca perché quello che hai detto diventi falso».

Verso la fine del romanzo di Wyndham possiamo leggere: «Non avremo la pretesa di spiegare dogmaticamente come Dio abbia inteso l’universo. La qualità essenziale della vita è vivere: la qualità essenziale del vivere è il cambiamento; il cambiamento è evoluzione; noi siamo parte di essa».

«I trasfigurati», molte volte ristampato da Urania, era da tempo introvabile: ora lo ripubblica Beat (220 pagine per 12,90 €) e c’è da rallegrarsi. John Wyndham Parkes Lucas Beynon Harris – che comprensibilmente abbreviò il suo ome – fu autore capace di… tutto: ottime storie (questo e «I figli dell’invasione») che spiccano in una produzione standard di buon livello (il celebre «Il giorno dei trifidi», «Le onde del Sahara» noto anche come «Il popolo segreto», oppure «Chochy» pensato per adolescenti) dove ogni tanto però piombano schifezze, come «Il lichene cinese».

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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