Guatemala: il falso mito dell’energia verde e delle dighe

di David Lifodi

In Guatemala è frequente leggere notizie relative all’opposizione delle comunità indigene e contadine alla costruzione delle centrali idroelettriche. Negli ultimi mesi è tornato alla ribalta il caso della diga del Chixoy, finanziata non solo dalla Banca Mondiale e dalla Banca Interamericana dello Sviluppo, ma anche dal Ministero degli Esteri italiano e costruita da un consorzio a cui apparteneva anche l’allora Cogefar, adesso Impregilo.

Una legge emanata negli Stati Uniti ha stabilito che gli aiuti economici al Guatemala saranno vincolati ad una serie di passi credibili, da parte del governo del paese centroamericano, verso le comunità maya del municipio di Rabinal che, all’inizio degli anni ’80, furono massacrate dall’esercito per favorire la costruzione dell’impianto idroelettrico del Chixoy. Gli squadroni della morte di Ríos Montt uccisero almeno 480 persone per permettere a Cogefar di ultimare i lavori, mentre gli abitanti di altre comunità furono costrette a lasciare il loro territorio e le loro cose  a causa della costruzione della diga: da allora furono desplazados. Eppure, ancora oggi permane l’inganno dell’energia verde, considerata ambientalmente sostenibile e portatrice di sviluppo: le comunità indigene che si oppongono sono ritenute arretrate perché non in grado di comprendere l’arrivo del progresso. A questa tesi, razzista e discriminatoria, ne segue un’altra: gli indigeni sono manipolati da forze esterne. In Guatemala è sempre stato così, e il Partido Patriota, la formazione politica di estrema destra alla guida del paese e dalle cui fila proviene il presidente Otto Pérez Molina, militare coinvolto nello sterminio di indigeni e contadini ai tempi dell’operazione tierra arrasada tra il 1981 e il 1982, si è interessato della questione dighe solo per favorire gli investitori stranieri. Il 1 maggio 2012 l’opposizione della popolazione di Santa Cruz Barillas (dipartimento di Huehuetenango, nel nord del paese) alla Hidroeléctrica Canbalam si è conclusa con un leader comunitario assassinato, due feriti gravi e la proclamazione dello stato d’assedio per un mese. Da un lato lo stato reprime le molteplici resistenze delle comunità maya e legittima il mantenimento dell’ordine pubblico tramite violenze e intimidazioni, dall’altro cerca di aprire il varco alle multinazionali attraverso le guardie armate private quando capisce che i soliti argomenti del genere “la costruzione delle dighe porterà progresso e posti di lavoro” non fanno presa su una popolazione stremata, eppure mai doma. Alle piccole idroelettriche comunitarie, di cui ad esempio si è fatto promotore il Collettivo MadreSelva (perseguitato più volte dallo Stato), utili per portare energia elettrica tra le comunità che vivono nelle zone più impervie del paese, vedi la hidroeléctrica comunitaria 31 de mayo (municipio di Uspantán, Zona Reina de El Quiché) o quella nel villaggio Chel de San Gaspar Chajul (sempre nel Quichè), vengono opposti i grandi impianti idroelettrici, quelli che devastano ecosistemi, inondano la terra dove vivono le comunità e tolgono agli abitanti le fonti di sostentamento tradizionale, dall’agricoltura familiare alla pesca artigianale. In pratica, costruire una centrale idroelettrica significa derubare, virtualmente, le comunità del loro fiume. I metodi del Proyecto Chixoy, a partire dalla mancata consultazione della popolazione locale, dai massacri e dalle intimidazioni, sono una pratica purtroppo comune per il Guatemala, che avviò la totale privatizzazione del sistema elettrico nazionale sotto la presidenza di Álvaro Arzú alla fine degli anni ’90. Da allora, le multinazionali come la le spagnole Iberdrola e Unión Fenosa hanno assunto il monopolio completo dell’energia guatemalteca tramite le loro partecipate locali Deocsa e Deorsa e con l’assenso dell’Instituto Nacional de Electricidad (Inde) e il beneplacito di Álvaro Colom, l’unico presidente alla guida del paese (dal 2008 al 2012) di orientamento timidamente socialdemocratico. La costruzione dell’impianto idroelettrico di Xalalá (dipartimento del Quiché), ad esempio, si è trascinata per tutto il 2013: dopo una serie di aste andate deserte, l’intero progetto è stato affidato all’impresa brasiliana Intertechne Consultores tramite una procedura denominata compra de emergencia, che violava, cioè, i presupposti della Ley de Compras y Contrataciones, la quale sancisce la necessità di valutare studi di fattibilità, sismici, geofisici e geologici prima di autorizzare i lavori. Non si tratta di un procedimento illegale a priori, ma riflette, comunque, sia gli interessi del governo sia quelli dell’impresa, affinché le pratiche per l’inizio dei lavori siano sbloccate almeno per la seconda metà del 2014. Il progetto, ancora una volta, è destinato a gravare sul Río Chixoy, al confine tra i dipartimenti del Quiché ed Alta Verapaz. Per mettere le cose in chiaro, dalla capitale hanno già intensificato la presenza delle pattuglie dell’esercito nell’intera area. Il progetto idroelettrico Xalalá  (il cui nome, in lingua q’eqchí, significa “luogo dove si intersecano due fiumi”, il Chixoy e il Copón), si trova proprio sotto la centrale del Chixoy. Gli impianti idroelettrici, in Guatemala, rappresentano el negocio del siglo. Già nel 2004 la diga di Xalalá era stata inserita nel Plan Estratégico de Proyectos Hidroeléctricos: si stima, inoltre, che i fiumi del Guatemala godano di un potenziale di energia elettrica di circa 10900 mw, dei quali almeno 5mila, secondo l’Inde, sono tecnicamente utilizzabili. Il timore è che si creino le condizioni per un dramma di proporzioni simili a quello della diga di Chixoy. Allora, le pur scarse terre consegnate agli indigeni a scopo compensativo, si rivelarono in gran parte inadatte alla coltivazione e senza alcuna possibilità di irrigazione. Inoltre, una parte delle comunità fu condannata alla siccità perché il Río Chixoy fu seccato per circa quaranta chilometri, mentre nell’area di Rabinal, dove fu costruito il bacino, crebbero gli omicidi e le sparizioni forzate ai danni degli oppositori della diga.

L’inganno dell’energia verde, non inquinante e rispettosa dell’ambiente, continua.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *