Guatemala: lo stato plurinazionale resta un miraggio

di David Lifodi

Presentato già nel 2015 dalla Coordinación y Convergencia Nacional Maya Waqib’ Kei, il testo Demandas y Propuestas Políticas de los Pueblos Indígenas de Iximulew, orientato a proporre una riforma costituzionale che aprisse al riconoscimento del Guatemala come stato plurinazionale, rischia di essere affossato. Da un lato il blocco di potere che rappresenta l’oligarchia guatemalteca, il Comité Coordinador de Asociaciones Agrícolas, Comerciales, Industriales y Financieras (Cacif), dall’altro forze riformiste fin troppo legate all’ambasciata degli Stati uniti, sembrano tutt’altro che intenzionate a venire incontro ai desiderata delle comunità indigene.

Lo sguardo assai critico di Waqib’ Kei e dei popoli indigeni sullo Stato guatemalteco, caratterizzatosi lungo tutta la sua storia per essere un’istituzione esclusiva delle classi dominanti, delle transnazionali ed ancorato ad un sistema di governo di stampo coloniale, che non a caso ha sempre considerato gli indios come bestie e non come persone (nonostante siano ampia maggioranza nel paese), era rivolto principalmente a cancellare le forme di esclusione ancora presenti nella società guatemalteca. Autogoverno, riconoscimento della cosmovisione maya, dei beni comuni, della giurisdizione indigena e del buen vivir in Guatemala non sono mai stati presi in considerazione da uno stato escludente e razzista. È da qui che le comunità indigene hanno elaborato un progetto di stato plurinazionale che fosse riconosciuto nell’ambito di una riforma costituzionale finora non certo orientata alla costruzione di nuove relazioni sociali tra esseri umani, organizzazioni popolari e la Pachamama, la madre terra. Il nuovo patto sociale a cui ha lavorato Waqib’ Kei era stato improntato su uno Stato realmente garante del bene comune, contro qualsiasi forma di oppressione, sfruttamento e discriminazione, che affliggono in modo particolare le donne e la classe lavoratrice. Nell’ottica maya la riforma costituzionale avrebbe dovuto includere il riconoscimento al diritto dei popoli indigeni di essere consultati prima dell’attuazione di progetti fortemente impattanti sui loro territori, il pluralismo giuridico e politiche pubbliche rivolte ad una rifondazione dello Stato in senso partecipato.

Finora, il progetto di riforma costituzionale per uno stato plurinazionale, sostenuto, tra gli altri, dal Consejo del Pueblo Maya, dal Comité de Desarrollo Campesino (Codeca), dall’Asamblea Social y Popular e dall’Alianza Política Sector de Mujeres, si è dovuto scontrare con una maggioranza politica che, all’interno del Congresso guatemalteco, rappresenta gli interessi del Comité Coordinador de Asociaciones Agrícolas, Comerciales, Industriales y Financieras, a partire dal partito del presidente Jimmy Morales, il Frente de Convergencia Nacional (Fcn-Nación), di cui fanno parte gran parte dei veterani che hanno partecipato al conflitto armato e alla guerra sporca contro le comunità maya durato per oltre trenta anni ed a cui si sono uniti i deputati del disciolto Partido Patriota, quello dell’ex presidente Otto Pérez Molina, travolto dagli scandali per corruzione e costretto a dover lasciare la guida del paese. Insieme ad altri partiti sorti esclusivamente per tutelare gli interessi imprenditoriali dell’oligarchia, Fcn-Nación ha sempre avuto gioco facile nel farsi beffe delle deboli forze politiche anticorruzione presenti al Congresso. All’insegna del classismo che legittima lo sfruttamento delle fasce sociali più deboli, del razzismo che paradossalmente caratterizza un paese a grande maggioranza indigena quale è il Guatemala e dell’ossessiva ideologia anticomunista, il Frente de Convergencia Nacional, insieme a formazioni politiche quali Compromiso, Renovación y Orden (Creo), il Partido de Avanzada Nacional ed altri, non hai mai permesso che nel paese prendessero corpo progetti come quello del Consejo del Pueblo Maya, incentrato sulla democrazia plurinazionale e sull’autonomia dei popoli indigeni, o del Comité de Desarrollo Campesino, all’insegna di un’assemblea costituente popolare e plurinazionale.

Al tempo stesso, le forze riformiste, rappresentate da organismi di diretta emanazione dello Stato o comunque tenuti fin troppo sotto controllo dall’ambasciata degli Stati uniti, non sempre riescono ad esprimere la loro reale visione sulla riforma costituzionale, anche se un ruolo di primo piano è riuscito a giocarlo, finora, il Gran Consejo Nacional de Autoridades Ancestrales, che ha cercato di strappare almeno il riconoscimento del sistema giuridico dei popoli indigeni. Esclusi a priori in quanto, paradossalmente, considerati non rappresentativi della società guatemalteca, popoli indigeni, contadini e organizzazioni popolari si pongono in realtà come un’alternativa plurinazionale e popolare al Cacif e ad un riformismo inconcludente di cui si fa portatrice l’ambasciata Usa in Guatemala.

Tuttavia, se le forze da sempre maggioritarie nel paese continueranno a rimanere un blocco compatto all’interno e all’esterno del Congresso, lo stato plurinazionale guatemalteco difficilmente vedrà la luce.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • Grazie per la segnalazione, David. Forse ne hai già parlato, ma in ogni caso questa storia mi ha fatto tornare in mente l’Ecuador e la definizione di “stato plurinazionale”, introdotta nella costituzione recentemente. E’ un messaggio importante, un tema che scardina il mito dello “stato nazionale” in versione europea che molti danni ha prodotto in tutto il mondo. E’ significativo che questo messaggio arrivi proprio dall’America Latina, dove la colonizzazione ha travolto e cancellato storie e culture millenarie.

    L’idea di “nazione” in America Latina si è sviluppata diversamente che in Europa, l’idea di “patria” era meno ossessiva che nella vecchia Europa, dove venne inchiavardata nell’asse lingua e confini, ma ha creato comunque problemi di difficile soluzione. Purtroppo, temo che tutto sia stata e sia complicato dalla crescita esponenziale dello sport internazionale nell’ultimo secolo. Nello sport il concetto di “nazione” assume una forma quasi assolutistica e perde tutta la problematicità presente in altre manifestazioni sociali.

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