Guatemala al voto: l’oligarchia militare si conferma

Nel ballottaggio dell’11 agosto  eletto presidente Alejandro Giammattei del partito di destra Vamos. Scarsa l’affluenza alle urne.

di David Lifodi (*)

 

Lo scorso 11 agosto, nel ballottaggio che serviva per definire quale sarebbe stato il successore di Jimmy Morales alla presidenza del Guatemala, già si sapeva in partenza che l’esito sarebbe stato comunque infausto. Alejandro Giammattei, del partito di destra Vamos, e Sandra Torres, anch’essa di centro-destra, rappresentavano due facce della stessa medaglia. In uno scenario caratterizzato da una bassissima affluenza alle urne (42%), Giammattei è divenuto presidente con il 58,1% dei consensi contro il 41,8% di Sandra Torres.

Lo scarso numero degli elettori spiega bene quale fosse l’appeal dei due contendenti. Giammattei, che si insedierà ufficialmente nel gennaio 2020, ha un passato di ex direttore di un carcere, si dichiara apertamente contrario ai matrimoni omosessuali e all’aborto ed ha guadagnato i voti di gran parte delle chiese evangeliche, sempre più diffuse anche in Guatemala e foraggiate fin dagli anni Ottanta dagli Stati uniti allo scopo di indebolire la Teologia della Liberazione. In pratica, è una sorta di “Otto Pérez Molina 2”, non a caso su di lui hanno puntato sia la lobby militare sia i grandi proprietari terrieri. In pratica, il Pacto de Corruptos denunciato dai movimenti sociali indigeni e contadini ha deciso di sostenere Giammattei e lasciare con il cerino in mano Sandra Torres, che all’epoca della sua esperienza di primera dama tra il 2008 e il 2012, sotto la presidenza Colom, aveva finito per non legarsi né ai terratenientes né al crimine organizzato, tanto da essere considerata, per quanto possa sembrare paradossale, fin troppo “sovversiva”. In realtà, la stessa Torres rappresentava solo una faccia leggermente più moderata di Giammattei, ma decisamente inaffidabile per i movimenti sociali, non a caso ha finito per perdere il vantaggio accumulato in occasione del primo turno delle presidenziali a vantaggio del candidato di destra.

In un paese dove sono enormi le disuguaglianze sociali, la povertà è in crescita e sono in corso numerosi conflitti socio-ambientali legati all’estrazione mineraria, alla costruzione di nuove dighe e all’imposizione della monocoltura dello zucchero, per non parlare della crescita del razzismo verso gli indigeni maya, che pure sarebbero maggioranza nel paese, le prospettive non sono delle migliori. Tra i primi passi di Giammattei pare che ci sarà la nomina di Antonio Malouf come ministro delle Finanze, con un passato da presidente del Cacif, la Confindustria locale.

In questo contesto, le organizzazioni popolari hanno combattuto per quanto hanno potuto, invitando i guatemaltechi a non recarsi alle urne in occasione del ballottaggio per non legittimare nessuno dei due candidati alla presidenza. Sotto questo aspetto i movimenti un risultato lo hanno ottenuto poiché Giammattei è stato votato da meno di due milioni di elettori, ma, come è sempre accaduto in Guatemala, a governare e a comandare è la minoranza ricca di un paese giunto allo stremo.

Thelma Cabrera, candidata indigena del Movimiento para la Liberación de los Pueblos, dopo la prima tornata elettorale, che pure l’aveva vista ottenere un buon risultato, ha denunciato numerose irregolarità che avrebbero dovuto portare alla ripetizione delle elezioni, ma è stata più volte apostrofata, insieme ai suoi compagni, con l’espressione indios malagradecidos, mentre la missione degli osservatori dell’Osa giurava sulla correttezza del primo turno elettorale nonostante diversi episodi poco chiari, a partire dalle schede con il voto già segnato.

Neoliberista, sostenitore della monocoltura dello zucchero ed esponente ideale per mantenere l’attuale ordine delle cose, Giammattei sarà presidente di un paese a democrazia controllata, in perfetta continuità con il suo predecessore Jimmy Morales. Grandi imprenditori, narcotraffico e una classe politica corrotta governeranno ancora una volta il Guatemala. Resta però una domanda a cui è difficile dare una risposta: come mai non c’è stata alcuna mobilitazione sociale da parte di quella società civile che nel 2015 era riuscita a scendere in piazza per denunciare La Línea, lo scandalo per corruzione che costrinse alle dimissioni Pérez Molina e la sua vice Roxana Baldetti?

(*) Fonte: Peacelink – 19 agosto 2019

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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