Guerra alla guerra… e al commercio di armi

Tre riflessioni  – di Carlo Cefaloni, di Arnaldo Scarpa e di Alex Zanotelli – per un futuro di pace … in uno scenario purtroppo sempre più guerrafondaio (*)

Chiudete i porti. Alle armi

di Carlo Cefaloni

Siamo sicuri che è così importante informare e far conoscere la realtà delle cose? E una volta che hai avuto notizia della partenza di bombe dal tuo Paese con destinazione Arabia Saudita che le utilizza sulla popolazione dello Yemen cosa cambia?

Non è un conflitto sconosciuto. Dopo che ne ha parlato il New York Times, da bravi provinciali, almeno per un giorno anche i media italiani ne hanno parlato. Spesso con la miopia che si concentra sulla responsabilità esibita ipocritamente dell’operaio costretto a lavorare per costruire strumenti di morte per non cadere in disoccupazione. Come se non fosse l’intero sistema produttivo e finanziario a imporre questo ricatto della mancanza di alternativa.

Non manca la capacità di indignarsi, per poi cambiare rapidamente canale, quanto di fermarsi sul fatto per dare spazio ad una risposta mite ma ostinata, capace di offrire una diversa narrazione, per esempio, alla banalità del male. Possiamo smontare la tesi oscena che giustifica la necessità di produrre e vendere armi ai Paesi in guerra perché, comunque sia, altri lo farebbero al nostro posto?

Allora perché non vendiamo la droga pesante? Ha risposto Maurizio Simoncelli, esperto di Iriad, in una audizione parlamentare davanti alla obiezione del solito deputato.

I governi a guida Pd hanno rigettato le mozioni che chiedevano uno stop all’invio di armi verso l’Arabia Saudita come previsto dalla legge 185/90 e da numerose risoluzioni del parlamento europeo. Ora il M5S al governo non sembra intenzionato a dare seguito alla posizione espressa quando era all’opposizione. Il senatore Cotti, sempre in prima linea nel denunciare i carichi di bombe da Cagliari, non è stato messo in lista.

Ci sono dichiarazioni di intenti della ministro Trenta, subito rintuzzate dal sottosegretario agli esteri, il leghista Guglielmo Picchi. Il centro studi Machiavelli ha presentato una ricerca per confermare la necessità di sostenere il nostro rapporto di forniture militari a questo Paese decisivo per gli equilibri dell’aerea.  “Se non le forniamo noi le armi, la guerra non si ferma e altri lo faranno al nostro posto”, ha ribadito il generale Morabito, già docente del Nato defence college, durante la presentazione del rapporto palesando l’insofferenza per le tesi buoniste che ci condurranno “a tagliarci gli attributi” davanti alla strafottenza francese pronta sempre a fregarci il posto.

È così. C’è una corsa agli affari possibili in base al progetto globale “Saudi vision 2030” elaborato dalla Mc Kinsey, i consulenti statunitensi, non solo della monarchia saudita. E basta farsi un giro sul sito della fiera delle armi in Egitto del 2020 per capire quanto possa contare lo sdegno per la cortina fumogena gettata intorno alla orribile uccisione di Giulio Regeni.

Come esseri umani siamo, tuttavia, molto diversi dalle rappresentazioni distorte e compiacenti dei sondaggi e degli studi televisivi. Dalle città e dai paesi può nascere un vero dibattito pubblico per far emergere un senso comune degno del giusto modo di stare al mondo. Per questo ha senso portare in discussione nei consigli comunali una mozione che schiera le comunità per il blocco degli ordigni usati su scuole e ospedali in veri e propri crimini di guerra.

Perché con i tedeschi andiamo a ricordare le stragi di Marzabotto e non ci muoviamo per fermare quelle che avvengono ora in Yemen? Non possiamo, insieme, pensare a piani di intervento per una economia di giustizia per il nostro Sulcis Iglesiente dove quelle bombe vengono costruite dalla Rwm Italia controllata dalla germanica Rheinmetall Defence?

Non è così che l’Europa può riscoprire la propria identità e ragion d’essere?  L’iniziativa della mozione è partita dal comune di Assisi (seguita finora da Cagliari, Bologna e Verona) nel segno dell’intuizione di La Pira sul senso e destino delle città che resistono alla guerra. Un ponte di fraternità alternativo a quello imposto dalla realpolitik dei nostri governi.

Il tentativo di trattare la questione come un caso marginale, delocalizzando il problema in Sardegna, come se questa non fosse Italia, dove la produzione avviene, è solo uno degli argomenti più puerili usati per coprire le gravi responsabilità politiche di ciò sta accadendo nel nostro Paese.

Non vi accorgete che la semplicità inoppugnabile della fornitura di armi ad una coalizione impegnata in un una guerra con migliaia di vittime civili, milioni di sfollati e l’insorgere di carestia ed epidemia di colera, è una cosa che non si può giustificare in alcun modo ed è capace di far saltare l’intero sistema della menzogna che sostiene l’omicidio di massa?

Mentre chiudiamo i porti ai disperati in fuga dalla misera e dalla violenza, le spalanchiamo alle micidiali bombe pronte a fare a pezzi persone che hanno la sola colpa di trovarsi in mezzo a feroci contenenti del potere di turno. Carne da macello, nostri fratelli e sorelle. È venuto il tempo di cambiare rotta. Apriamo i porti alle persone, sbarriamoli alla guerra che abbiamo ripudiato, se è ancora in vigore la  costituzione del 1948.  

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Un governo guerrafondaio

di Alex Zanotelli

Il primo gennaio la Chiesa celebra la Giornata Mondiale della Pace, una pace mai come in questo momento minacciata, nell’indifferenza generale. “Il mondo sta sottovalutando il pericolo di una guerra nucleare che potrebbe condurre alla fine della civiltà umana,” ha detto il presidente russo Putin nella conferenza stampa di fine anno. E questo per due nuovi elementi. Il primo è rappresentato dalla “tendenza ad abbassare la soglia per l’uso di armi nucleari, creando cariche nucleari tattiche a basso impatto che possono portare a un disastro nucleare globale”. Purtroppo a questa categoria appartengono le nuove bombe nucleari, B61-12, che il prossimo anno gli Usa piazzeranno in Italia, in sostituzione di una settantina di vecchie ogive atomiche. L’altro pericolo viene dalla “disintegrazione del sistema internazionale di controllo degli armamenti”, espresso dal recente ritiro degli Usa dal Trattato INF (1987) che permette a Trump di schierare in Europa missili a raggio intermedio con base a terra. Ora il nostro governo gialloverde ha approvato in sede Nato tale piano e ha dato la disponibilità a installarli in Italia come quelli che erano stati installati a Comiso negli anni Ottanta.

È ormai una vera corsa fra Usa e Russia al riarmo nucleare. Gli Usa, già con Obama e ora con Trump, hanno messo a disposizione oltre mille miliardi di dollari per modernizzare il loro arsenale atomico. La Russia sta tentando di tenere testa agli Stati uniti (Putin ha appena annunciato di aver testato il nuovo missile intercontinentale ipersonico) cercando di avvicinarsi alla nuova potenza, la Cina, che nel 2017 ha speso ben 228 miliardi di dollari in difesa.

Trump, che nel 2017 ha speso un’enorme cifra in armi, ben 660 miliardi di dollari, sta sferzando i suoi alleati europei perché tutti investano in armi almeno  il 2 per cento del Prodotto interno lordo. Se l’Italia obbedisse agli ordini di Trump spenderebbe cento milioni di euro al giorno in armi (già oggi ne spende settanta milioni al giorno!). Siamo ormai davanti ai due blocchi armati fino ai denti con 15.000 bombe atomiche a disposizione e un enorme armamentario.

Siamo alla follia collettiva: nel 2017 abbiamo raggiunto a livello planetario l’astronomica cifra di 1.739 miliardi di dollari, pari a oltre 4,5 miliardi di dollari che spendiamo ogni giorno in armi. È una polveriera che potrebbe scoppiarci fra le mani. Gli scienziati dell’Orologio dell’Apocalisse a New York hanno puntato l’orologio a due minuti dalla mezzanotte.

Davanti a questo pauroso scenario, rimango sbalordito dal silenzio dei cittadini italiani. Perché il grande movimento per la pace non scende unitariamente in piazza per contestare il “governo del cambiamento” che, nonostante le promesse, è diventato guerrafondaio come gli altri? E dovremmo chiedere le ragioni per cui questo governo giallo-verde:

  • non si oppone agli Usa che vogliono piazzare in Italia una settantina delle nuove bombe nucleari B61-12;
  • si rifiuta di firmare il Trattato Onu per l’abolizione degli ordigni nucleari;
  • ha accettato che vengano collocati in Italia i nuovi missili nucleari;
  • ha deciso di comperare gli F -35,  definiti oggi “irrinunciabili”, mentre durante la campagna elettorale erano “strumenti di morte”;
  • continua a vendere le bombe all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen in violazione della legge 185/90, che vieta la vendita di armi ai paesi in guerra( i 5 Stelle durante la campagna elettorale ne avevano chiesto “l’embargo totale”);
  • ha deciso di lasciare i soldati in Afghanistan, mentre il ritiro dei nostri soldati da quel paese era stato il cavallo di battaglia dei 5 Stelle.

Abbiamo scritto, a nome dei centomila che hanno marciato alla Perugia–Assisi, sia al Governo che al Parlamento perché riceva due delegazioni alle quali dare risposte a queste domande. A tutt’oggi , silenzio. È il tradimento di questo governo.

Mi appello altresì alle comunità cristiane che facciano tesoro delle forti prese di posizione di papa Francesco sulla guerra e sulle armi. È un magistero il suo, di una lucidità e forza straordinaria. Mi auguro che questo venga presto percepito dai sacerdoti e dai fedeli. “Offrire la pace è al cuore della missione dei discepoli di Cristo”, dice papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2019. E allora mettiamoci insieme, credenti e non, per un impegno serio contro la folle corsa agli armamenti, soprattutto nucleari, foriera di nuove e micidiali guerre. Che il 2019 sia un anno di mobilitazione popolare per la Pace!

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Armi. Da che parte sta la Cgil?

di Arnaldo Scarpa

Alla gentile attenzione della Segretaria Generale della CGIL, Susanna Camusso

Compagna Susanna, sono Arnaldo Scarpa, iscritto da lunga data alla CGIL, insegnante, da oltre dieci anni membro della RSU del mio Istituto, già componente del direttivo provinciale FLC del Sulcis-Iglesiente e del direttivo regionale della Sardegna.

Dal maggio scorso sono uno dei due portavoce del Comitato per la riconversione della RWM di Domusnovas-Iglesias, la fabbrica tristemente nota per produrre le bombe d’aereo che la coalizione saudita, dal 2015, sgancia sulle teste del popolo yemenita in una guerra che ha causato oltre 10.000 morti tra i civili e una catastrofe umanitaria complicata da carestie e pestilenze, tanto da far affermare all’ONU che si tratta della maggiore emergenza verificatasi dal 1946 ad oggi.

Di tutto questo dolore siamo responsabili anche noi cittadini della Sardegna e dell’Italia, a causa delle scelte scellerate del governo che autorizza tali esportazioni mortifere e delle connivenze di parte delle forze politiche e sindacali.

Mi sconcerta assai e perciò chiedo il tuo autorevole intervento la posizione sull’argomento del mio Segretario generale territoriale e della segreteria FILCTEM in particolare. Il primo rifiuta ogni tentativo di dialogo sul tema della riconversione. La seconda ha, addirittura, firmato due comunicati insieme alla CONFINDUSTRIA (udite, udite!) ed alla CISL (non era di ispirazione cristiana?) nei quali si afferma che la produzione della RWM va tutelata in ogni modo in quanto perfettamente legale e necessaria per non deprimere ulteriormente i livelli occupativi del territorio.

Di fronte al comunicato stampa, mi chiedo e chiedo a te, Susanna, se il nostro Statuto valga ancora qualcosa. In particolare se l’articolo 2 che dichiara la “pace tra i popoli bene supremo dell’umanità”, la “conquista di rapporti internazionali in cui tutti i popoli vivano insieme nella sicurezza e in pace” ispiratrice dell’azione sindacale, la “solidarietà attiva tra i lavoratori di tutti i Paesi” … “fattore decisivo per la pace”, sia diventato solo carta straccia o un paravento che maschera ben altre pratiche.

Illustrazione di Mauro Biani (pubblicata su il manifesto), qui la sua adesione alla nostra campagna

Chi glielo dice agli yemeniti che muoiono sotto le nostre bombe, fatte ed esportate in barba alla Costituzione (cfr. art.11 e art.41) ed alla legge 185/90, che vogliamo essere solidali con loro? Che crediamo nella pace tra i popoli come bene supremo? Che siamo compagni, perché dividiamo il nostro pane, non solo tra di noi ma con tutti i lavoratori del mondo?

Non ritieni che sia il caso di iniziare all’interno del sindacato un urgente lavoro di revisione delle posizioni fin qui assunte dalle strutture territoriali ed anche dei silenzi del nazionale per recuperare quel minimo di coerenza senza la quale si perde in credibilità ma anche, in fin dei conti, in sostanza sindacale. Se il sindacato smette di perseguire il principio della tutela della dignità dell’uomo e si allea con chi, pur di fare del profitto, passa sopra ai più elementari principi etici, che cosa ci sta a fare? Da cosa si distingue rispetto a qualsiasi altra organizzazione lobbistica?

Nessun lavoratore della RWM si è mai espresso pubblicamente sulle scelte aziendali. Sono tutti “orgogliosi di lavorare nel settore della difesa”, come gli hanno fatto sottoscrivere su carta intestata della ditta? In che senso poi intendano la “difesa” sarebbe da spiegare ai compagni yemeniti.

Oppure siamo di fronte a persone tenute sotto ricatto dal padrone tedesco (in questo caso)? Che cosa ne pensa la RSU? È normale che nessuno si esprima personalmente o in gruppo? Che nessuno accetti di dialogare con noi che, prima che RWM delocalizzi, vorremmo che si creassero alternative valide per tutti i dipendenti.

Inoltre, da quale parte sta la CGIL rispetto alla questione degli armamenti esportati dall’Italia in tutto il mondo, perfino negli Stati dove sono più evidenti le violazioni dei diritti umani e, fra l’altro, prodotti, in larga misura, da società partecipate dallo Stato?

Ti sarei grato e ti saremmo grati in tanti iscritti – pronti anche a ritirare la delega se dovesse perdurare questa latitanza rispetto ad un punto fondante dello Statuto – se potessi rispondere fattivamente quanto prima.

 Il Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile si è costituito il 15 maggio scorso ad Iglesias ed è attualmente composto da oltre 20 aggregazioni locali, nazionali ed internazionali accomunate dallo scopo di promuovere la riconversione al civile di tutti i posti di lavoro dello stabilimento RWM sito tra i territori di Iglesias e Domusnovas, nell’ottica di uno sviluppo del territorio che sia pacifico e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale e come segno di volontà di pace dal basso, che possa costituire uno stimolo alla cittadinanza attiva e alla politica nei vari territori nazionali e internazionali, necessario in questo clima di “guerra mondiale a pezzi”

I TESTI SONO RIPRESI (CON LE IMMAGINI) DA COMUNE-INFO

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