Guerra e guerra…

…il best seller evergreen

articoli, disegni, video, musica di Alain Juillet, Igor Karaulov, Pepe Escobar, Ennio Remondino, François Hollande, Giuseppe Callegari, Guido Viale, Gianandrea Gaiani, Roberto Mazzoni, Julian Macfarlane, Giacomo Gabellini, Stefano Orsi, Bruna Bianchi, Enrico Tomaselli, Giuseppe Masala, Enrico Vigna, Manlio Dinucci, Francesco Masala, Andrea Zhok, Gilberto Trombetta, Charles Schulz, Giorgio Gaber, Matthew Ehret, Mike Whitney, Robert G. Rabil

Partita Stati Uniti-Mosca sull’Ucraina già dal 1957. Parola (e documenti) della Cia – Ennio Remondino

La premessa d’obbligo come un mantra contro polemiche e ripetizioni inutili, che ciò che di terribile sta accadendo in Ucraina, l’ha iniziato Putin. Nella altrettanto scontata certezza che non è lui il solo cattivo in un mondo di verginelli buoni.
Ma oggi scopriamo, documenti statunitensi desecretati, e quando Putin, ancora giovanotto, poteva combinare guai solo come agente del KGB sovietico, anno 1957.
All’inizio delle Guerra Fredda e partendo proprio dall’Ucraina spiega Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa. Ad evitare di finire noi tra i veri amici italiani di Putin, ripetiamo che citeremo solo documenti americani.

Ucraina 1957, fronte debole del blocco sovietico

Le operazioni statunitensi per destabilizzare l’Ucraina e allontanarla da Mosca hanno preso il via già nelle fasi iniziali della Guerra Fredda, almeno a livello di pianificazione. Secondo gli analisti americani una rivolta antisovietica avrebbe goduto di ampio sostegno in diverse aree della Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina e la linea di demarcazione tra ‘pro’ e ‘contro’ «Mosca avrebbe seguito all’incirca lo stesso confine che separa oggi le repubbliche popolari del Donbass di Donetsk e Luhansk e Crimea dal resto dell’Ucraina».

Testuale, da uno studio su «I fattori di resistenza e le aree di operazioni delle forze speciali in Ucraina – 1957”, commissionato dall’US Army al Georgetown University Research Project».

Unione sovietica e trame all’incontrario

«Uno studio che ricorda nei temi e nell’approccio analitico quelli sovietici emersi dopo la caduta dell’URSS e del Patto di Varsavia in cui si valutavano le possibilità di infiltrare incursori e sobillare rivolte negli stati europei membri della NATO», e anche questo andava detto subito.

I segreti declassificati che continuano a fare male

La CIA ha declassificato questo studio nel 2014 (l’anno in cui i fatti del Maidan, la piazza di Kiev, portarono al rovesciamento del governo di Kiev vicino a Mosca), che è stato citato nel dettaglio anche dalla BBC in un articolo del 2017 rintracciabile oggi sul web nella versione in lingua russa mentre la versione in inglese appare rintracciabile solo dopo una ricerca sommaria sul sito Stalkerzone, dichiaratamente filo-Mosca. Rimozione politicamente opportuna, con colpevoli facilmente sospettabili.

Storia di Guerra Fredda

Gli Stati Uniti durante la presidenza di Harry Truman fecero fronte alla Guerra Fredda intraprendendo la politica di “trasformazione” dei nemici sconfitti (Germania e Giappone) in amici e degli alleati nella Seconda Guerra Mondiale (l’URSS) in nemici.

Memoria dall’Operazione Barbarossa

In risposta all’Operazione Barbarossa, l’invasione nazista della Russia sovietica era stato Harry Truman, nel 1941 ancora senatore, a dichiarare che «se vedessimo la Germania vincere dovremmo supportare la Russia, ma se fosse la Russia prossima alla vittoria dovremmo aiutare la Germania e in questo modo lasciare che ne uccidano il maggior numero possibile». (McCullough, David, 15 June 1992. Truman. New York, New York: Simon & Schuster. p. 262. ISBN 978-0-671-45654-2).

La CIA, istituita proprio da Truman presidente nel 1947, divenne il principale strumento delle operazioni clandestine che hanno caratterizzato la politica estera di Washington.

Le 12 parti dell’Ucraina a misura di lealtà sovietica

Lo studio americano del 1957 divideva l’Ucraina in 12 zone, in base alla loto lealtà nei confronti dell’URSS o al sostegno di un’eventuale rivolta contro il governo sovietico tenendo conto che dal 1945 alla metà degli anni ’50 rimasero attive (in Ucraina come nelle Repubbliche Baltiche annesse all’URSS) organizzazioni della resistenza anti-sovietica. Il report riferisce che dopo il 1955 era rimasta in attività solo una sacca di resistenza, nella regione montuosa dei Carpazi…

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“La terza guerra mondiale inizierà dal Kosovo”, secondo un esperto militare ucraino – Enrico Vigna

Il conflitto tra la Serbia e i separatisti del Kosovo controllati dall’Occidente potrebbe degenerare in proporzioni globali, a differenza di quello ucraino, che è localizzato sul territorio di un solo paese. Queste dichiarazioni sono state fatte dall’esperto militare ucraino Oleg StarikovColonnello dei Servizi Sicurezza dell’Ucraina, in onda sul canale “Sì, è così“.

Secondo l’esperto “Non ci sarà nessun congelamento  in Kosovo. Se paragoniamo il conflitto regionale ucraino a  quello serbo, se divamperà, sarà di portata globale. Potrà divenire realmente una terza guerra mondiale, già convenzionale. In Ucraina abbiamo un conflitto armato, una guerra che è controllata, scusate il cinismo, ma essa è controllata dalla comunità occidentale. Ma anche Cina e India sono attente. Basta vedere quando Putin ha parlato sull’uso nucleare e Modi, (il primo ministro indiano) ha detto che questo non gli aggrada e non è d’accordo. Ci sono state pressioni, quindi tutti sono andati oltre. Esiste un conflitto ma viene governato. Stoltenberg ha affermato che l’importante è che il conflitto non vada oltre l’Ucraina. È cinico, ma cito le loro dichiarazioni“, ha detto Starikov.

Circa la situazione esplosiva in Kosovo, ha considerato che in caso di conflitto militare in Kosovo, vi saranno coinvolti molti paesi del mondo, e non per niente l’Occidente sta già iniziando a rafforzare il proprio fianco orientale con sistemi di difesa aerea. “…E se inizia lì, l’intera area balcanica  esploderà tutta, e di fatto si potrebbe verificarsi una guerra mondiale. La Russia dovrà intervenire senza indugi per fornire armi ai serbi che dovranno usare le operazioni aeree per entrare in Kosovo… È tutto molto serio e grave lì. Per questo, l’Occidente sta ora rafforzando il sistema di difesa aerea del suo fianco orientale. Mentre i tedeschi danno i loro “Patriot” ai polacchi. Tutti capiscono perfettamente a cosa può portare questo. Se inizieranno le operazioni aeree, sciami di 50-60 droni partiranno, apriranno sistemi di difesa aerea  e difese missilistiche, Dio non voglia, potrà succedere. Ci sarà una guerra aperta nel teatro delle operazioni europeo. Non ci sarà solo la Russia. La Bielorussia sarà coinvolta e i cinesi saranno presenti”, ha aggiunto l’esperto.

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Il fascismo che avanza – Francesco Masala

TORINO Piazza XVIII Dicembre pannello illuminato il 21 dicembre 2022 e spento il 29 dicembre 2022

È di questi giorni il divieto di appendere dei manifesti, di Amnesty International – Italia, che ricordano e denunciano l’apartheid di Israele verso i palestinesi.

…l’Azienda Trasporti GTT, proprietaria degli impianti a Torino, non ammette messaggi di “connotazione politica”  e  Mondadori  a MILANO inibisce il caricamento di messaggi con richiamo ad “attività politiche”… (leggi qui).

“La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”, scrive Marx. Da noi tragedia e farsa vanno a braccetto.

L’Italia è cobelligerante in una guerra contro la Russia, ma se qualcuno critica questa decisione incostituzionale viene emarginato e sbeffeggiato, però se qualcuno, con i soldi propri, non con soldi pubblici, critica l’apartheid israeliano non può farlo, in Italia non si parla di politica.

 

 

La bolla – Andrea Zhok

L’argomento principale di Immanuel Kant a proposito della necessità morale di non mentire era che la menzogna non era una pratica sostenibile, mentire non era una massima universalizzabile, in quanto un mondo in cui tutti mentissero era un mondo in cui la parola, il pensiero e la legge avrebbero perduto ogni valore.

Oggi siamo piombati nel mondo prefigurato da quella riflessione kantiana.

Oggi sui grandi media, sui veicoli della visione del mondo che tutti siamo tenuti ad avere in comune, imperversano i fabifazi e le michelemurgie, le concite e i parenzi, un’intera ubertosa selva di ripetitori con variazioni-dillo-con-parole-tue di ciò che è gradito ai detentori del potere. Non bisogna pensar male e ritenere che questa sterminata accolita di ripetitori con variazioni siano volgarmente stipendiati a cottimo per ciascuna menzogna. Niente affatto. Si tratta di soggetti il cui solo talento umano consiste nell’innamorarsi perdutamente delle idee di chi può pagarle. Ma così, per caso, spontaneamente, una seconda natura.

E quanto alle libere praterie della rete, per capirne il funzionamento odierno basta dare un’occhiata ai Twitter Files che un imprevisto cambio di padrone in un social ha fatto trapelare. Catene di comando dirette che portano dalle agenzie di sicurezza americane alle operazioni di oscuramento e selezione manipolativa sui social. I grandi social sono una tonnara, dove dapprima si sono fatti entrare gratuitamente centinaia di milioni di utenti, come nel paese dei balocchi, con l’illusione di dare corpo ad una nuova forma di democrazia reale, solo per poi chiudere le reti e condurre i tonni alle scatolette di destinazione. (Con il plauso degli imbecilli terminali che “sono-privati-possono-fare-quello-che-gli pare”).

Ma a prescindere dagli intercambiabili e dimenticabili protagonisti di questa stakanovista produzione di menzogne, ciò che bisogna affrontare è il risultato sistemico, che è esattamente quello prefigurato sopra: viviamo tutti in una bolla, un mondo irreale e derealizzato, che è l’unico mondo che io e il mio vicino abbiamo davvero in comune, e che si divide tra semplicemente inaffidabile e intenzionalmente manipolato. Cosa “si” sa? Di cosa possiamo parlare in comune, su cosa possiamo accapigliarci e dibattere politicamente con gli altri cittadini, se non su questo mondo fittizio, modellato da catene di filtri a monte, che ci arriva confezionato in casa su qualche schermo?

Certo, esiste la possibilità di una lotta di minoranza che si affatica a trovare le incongruenze, a sfruttare gli occasionali errori e le imperfezioni di un sistema che, come tutti i sistemi di potere quasi onnipotenti, tende a diventare sciatto. Però la semplice verità è che questo tipo di lotta richiede energia, intelligenza, coraggio, capacità di resistere all’isolamento e alle frustrazioni, tutte qualità che sono e saranno sempre patrimonio di esigue minoranze.

Il maggior risultato di questa costruzione di un edificio costante di menzogne non è tanto la ferrea persuasione ideologica dei più, ma la caduta in discredito della realtà (di quella che viene fatta passare per tale). Tolta la minoranza dei combattenti, grosso modo la popolazione sottoposta a questa “cura Ludovico” king-size si divide in due grandi gruppi.

Da una parte ci sono i conformisti arrabbiati, i nuovi bigotti del politicamente corretto, i progressisti fobici, i benpensanti militanti che, forse perché percepiscono la fragilità del loro mondo di credenze ufficiali, vi si aggrappano in modo virulento e cercano di obliterare e screditare e azzannare chiunque vi si opponga anche marginalmente. Per rifarsi ad una vecchia categorizzazione di Umberto Eco, questi sono al tempo stesso apocalittici e integrati: sono completamente integrati nel sistema e lo sostengono con la ferocia apocalittica dei millenaristi. Sono gente che sembra aver già inserito nella propria corteccia il microchip dell’indignazione morale permanente, e che la applica rigorosamente al solo catalogo approvato dai datori di lavoro. Questi “Guardiani dell’Illusione” probabilmente avvertono ad un qualche livello che la finzione è tale, ma è proprio solo la finzione a dargli conforto, calore, intrattenimento, denaro e come per la zecca il mondo si conclude dove essa può annidarsi e succhiare sangue, così questi si attestano nella loro nicchia ecologica che gli consente di passare dalla culla alla tomba senza troppi grattacapi.

Dall’altra parte esiste una grande massa scettica, che ha capito abbastanza da non credere a ciò che passa il sistema, o a crederci con mezzo cervello, ma che non ha l’energia, o la preparazione o il coraggio per cercar di ottenere un diverso accesso alla realtà. Questi rappresentano la più grande vittoria del sistema, che facendone degli scettici disillusi senza speranza ne disinnesca ogni potenziale pericolosità. Nelle nuove generazioni questa vittoria tende ad essere totale: rinchiusi in piccoli mondi pret-a-porter, brandizzati, la parte più sveglia della gioventù riesce solo a credere fermamente che non si possa credere a niente, e in nulla (quella meno sveglia sogna unicorni fluidi ecosostenibili).

Siamo nuotando in una boccia di pesci rossi, con i vetri dipinti di colori sgargianti, in caduta libera, contando sul fatto che il pavimento non arrivi mai.

Ma la realtà non cessa di esistere per il fatto di essere rimossa. Semplicemente come sempre avvenuto nella storia, quando ci si allontana troppo e troppo a lungo da essa, farà sentire la sua voce spezzando la schiena al nostro mondo di filtri e schermi, di millenaristi a gettone, di solipsisti enervati.  Non illudiamoci però, nessuna Rivelazione, nessuna confortevole Illuminazione ci aspetta. Ci sono rare epoche in cui la verità prova a filtrare come un messaggio (la “buona novella”), ma di solito essa si fa spazio nella sua forma originaria e primitiva, come schietta catastrofe. (E peraltro anche la buona novella dovette attendere il collasso di un impero per diffondersi).

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“Price Cap”. Se Putin applica la legge economica più antica del mondo… – Gilberto Trombetta

Due notizie sui giornali di oggi, ci danno modo di imparare due piccole lezioni di economia.

In realtà sarebbero due lezioni di semplice buonsenso, ma tant’è.

Partiamo dalla prima, il famigerato tetto al prezzo (price cap) del petrolio (e del gas).

Il prezzo di una merce in linea di massima (per esempio al netto di fenomeni strettamente speculativi) è dettato dal rapporto tra domanda e offerta: se è alta la prima e bassa la seconda, il prezzo tende ad aumentare. E viceversa.

Cosa succede quindi se si prova a imporre a un venditore che non ha scarsità di domanda il prezzo della merce che vende?

Succede che, molto semplice, quello smetterà di vendervi la merce.

 

Lo capisce perfettamente mia nonna che fa la spesa al mercato. Evidentemente per i fenomeni che stanziano a Bruxelles è un concetto troppo complicato.

Veniamo a un’altra chicca che troviamo sulla stampa di oggi.

E cioè che i lavoratori precari sono meno motivati e meno produttivi.

Anche in questo caso, non possiamo fare altro che fingere stupore…

Serviva addirittura uno studio per dimostrare che se i lavoratori sono precarizzati e, quindi, sottopagati, allora ne risente oltre alla qualità di vita del lavoratore stesso, anche la produttività.

Citando una famosa prima pagina de l’Unità del gennaio 1928, “A salario di merda, lavoro di merda!”.

 

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La Cina è veramente sulla via del tracollo come dicono in occidente? – Laura RU

I media occidentali fanno a gara a chi riesce a seppellire prima Russia e Cina fornendo bollettini di tracolli imminenti, malattie terminali del loro sistema politico, sociale ed economico. Visto che non ci convincono andiamo a dare un’occhiata a come e’ messa la Cina.

Cito per comodita’ un elenco che ha fatto Dmitry Kosyrev per RIA Novosti. Nell’anno appena trascorso, la Cina ha costruito il suo primo aereo di linea di grandi dimensioni, il C919, e la nave più grande del mondo per il trasporto di gas naturale liquefatto.

È iniziato il collaudo del sistema di alimentazione integrato per le province meridionali (2,7 miliardi di kilowatt al giorno).

È stata inaugurata la ferrovia per il Laos, che ha già trasportato 8,5 milioni di passeggeri e 11,2 milioni di tonnellate di merci. Con tutte le nuove linee ferroviarie inaugurate ci siamo quasi dimenticati di una “sciocchezza” come l’assemblaggio della stazione spaziale Tiangong (cioè il “Palazzo Celeste”).

L’assemblaggio è stato completato il 3 novembre e il modulo laboratorio, lungo 17,9 metri e con un diametro di 4,2 metri, con 13 stanze separate per le operazioni, è ora pronto. È vero che i media elencano decine di altri progressi tecnologici, ma sono troppi per un articolo solo. Ci sono risultati non così tangibili, ad esempio nella diplomazia. Il ministro degli Esteri Wang Yi ne ha contati otto. Di cui almeno i seguenti possono essere di interesse per la Russia: Pechino ha respinto duramente la politica estera degli Stati Uniti e ha rafforzato il buon vicinato, l’amicizia e la cooperazione con la Russia.

E ancora: ogni volta che un Paese in via di sviluppo incontrava difficoltà, la Cina e’ venuta in soccorso. In questo modo, il prestigio e la posizione complessiva del Paese nel mondo sono chiaramente aumentati. Oppure – tornando agli affari interni – è stato avviato un programma di ristrutturazione degli alloggi in tutto il Paese: ora è in corso in 52.100 comunità (cioè villaggi o aree urbane). Più di un miliardo di persone sono coperte da un’assicurazione sanitaria per la vecchiaia (15-20 anni fa, ricordiamo, il Paese non aveva praticamente alcun sistema pensionistico). E tutto questo, nonostante la dura politica “zero covid”, che ha portato a proteste subito ascoltate dal governo. Si può solo immaginare quali sarebbero stati i successi della Cina se non ci fossero state tutte quelle restrizioni e la quarantena. Nel complesso, risulta che la Cina è stata praticamente l’unica potenza mondiale che ha compiuto un progresso dimostrabile durante lo scorso anno. L’Occidente invece ha perfezionato le tecniche di lavaggio del cervello, progettate, ovviamente, per la sua stessa popolazione – per gli americani e gli europei, anche se l’obiettivo principale è comunque il resto del mondo che deve essere convinto che Russia e Cina stanno tirando gli ultimi.

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ECCO QUANTO COSTA DESTABILIZZARE IL MONDO – Matthew Ehret

 

…Se si desidera cogliere il germe della dottrina politica odierna, sarebbe necessario rivisitare il rapporto del settembre 2000, Rebuilding America’s Defenses (RAD), del Think Tank Project for a New American Century, in cui i cultisti della fine della storia che allora erano al timone del governo affermavano:

“RAD” immagina un futuro in cui gli Stati Uniti hanno il controllo completo di terra, mare, aria, spazio e cyberspazio del pianeta Terra. Trova discutibili i limiti imposti dal trattato ABM e sollecita una nuova interpretazione del programma di scudo di difesa “Guerre stellari” di Reagan.

Oltre a chiedere l’uscita degli Stati Uniti dal Trattato ABM (prontamente eseguita sulla scia dell’11 settembre), gli autori del documento RAD delineavano in modo chiaro e dettagliato la logica alla base della necessità di un nuova branca dell’esercito nota come forza spaziale. Secondo gli autori gli Stati Uniti avrebbero dovuto:

Controllare i nuovi ‘domini internazionali dello spazio e del cyberspazio e aprire la strada alla creazione di un nuovo ente militare – le forze spaziali statunitensi – con la missione del controllo spaziale.”

Nel delineare la dottrina del “Full Spectrum Dominance” il rapporto PNAC riportava a pagina 51:

Difese missilistiche globali – “Deve essere costruita una rete contro attacchi limitati, in grado di proteggere gli Stati Uniti, i suoi alleati e le forze schierate in prima linea. Questo deve essere un sistema multistrato di componenti terrestri, marittimi, aerei e spaziali.”

 

Guardando alla necessità di espandere e modernizzare le forze nucleari a causa del possibile pericolo rappresentato da Cina, Russia, Iran, Corea del Nord e Iraq, gli autori del documento RAD dichiaravano:

“Il calcolo strategico di oggi comprende più fattori oltre al semplice equilibrio del terrore tra Stati Uniti e Russia. La pianificazione della forza nucleare degli Stati Uniti e le relative politiche di controllo degli armamenti devono tener conto di un insieme di variabili più ampio rispetto al passato, tra cui il crescente numero di piccoli arsenali nucleari – dalla Corea del Nord al Pakistan fino, forse presto, all’Iran e all’Iraq – e una modernizzata e ampliata forza nucleare cinese.”

Forse uno degli aspetti più pericolosi e rivelatori del RAD, si trova a pagina 60, dove gli autori delineavano un programma che presto sarebbe cresciuto a proporzioni oscene sulla scia degli attacchi all’antrace del 2001, che, nel 2004, avevano giustificato anche la successiva approvazione del Bioshield Act di Cheney, con la creazione di oltre 320 biolaboratori internazionali gestiti dal Pentagono. Descrivendo la conversione delle armi biologiche dal regno del terrore a “strumento politicamente utile,” gli autori affermavano:

“Anche se potrebbero essere necessari diversi decenni prima che il processo di trasformazione si realizzi, col tempo l’arte della guerra aerea, terrestre e marittima sarà molto diversa da come è oggi e il ‘combattimento’ probabilmente avrà luogo in nuove dimensioni: nello spazio, nel ‘cyber-spazio’ e forse nel mondo dei microbi… Lo spazio stesso diventerà un teatro di guerra, man mano che le nazioni avranno accesso alle capacità spaziali e faranno affidamento su di esse; inoltre, la distinzione tra sistemi spaziali militari e commerciali – combattenti e non combattenti – diventerà sfumata. I sistemi informativi diventeranno un importante centro di attacco, in particolare per i nemici degli Stati Uniti che cercheranno di mandare in corto corcuito le sofisticate forze americane. E le forme avanzate di guerra biologica in grado di prendere di mira genotipi specifici potranno far uscire la guerra biologica dal regno del terrore trasformandola in uno strumento politicamente utile.”

Di nuovo in Ucraina

Come verrà utilizzato in Ucraina questo progetto mangiasoldi da 45 miliardi di dollari? Non è così facile da capire.

Quello che sappiamo è che 22,9 miliardi di dollari andranno a Kiev, che dovrebbe utilizzarli per acquistare armi dagli appaltatori privati della difesa con sede negli Stati Uniti, mentre gran parte del resto sarà devoluto a ONG e organizzazioni non profit che, il più delle volte, saranno gestite da figure strettamente legate a quelle stesse creature nella palude di Washington che hanno votato per questi disegni di legge.

Questi scomodi fatti sono stati delineati ripetutamente dalla senatrice repubblicana Marjorie Taylor Greene, spesso calunniata, i cui molteplici tentativi di creare una qualche forma di supervisione e controllo delle elemosine all’Ucraina avevano incontrato livelli assurdi di resistenza fin da quando era stata lanciata l’operazione speciale, a febbraio. Anche quando si era scoperto che l’exchange di criptovalute FTX (uno dei principali partner di Kiev e del World Economic Forum) era semplicemente un’organizzazione di riciclaggio di denaro che immetteva nelle casse del DNC ingenti somme provenienti dalle operazioni ucraine, quasi nessun organo di stampa occidentale ne aveva parlato.

Come ci avevano fatto sapere prima i Pentagon Papers ed ora il laptop di Hunter Biden, non solo l’Ucraina è stata gestita da una confraternita di politici truffatori che riciclano denaro sporco facendo la cresta sugli aiuti esteri (i Pandora Papers avevano rivelato che sia Zelensky che il suo gestore miliardario Igor Kolomoskoi erano entrambi legati a società di comodo offshore che gestivano centinaia di milioni di dollari di bottino rubato), ma rubano anche le aziende del settore energetico, come Burisma, sorpresa a sottrarre entrate al popolo ucraino allo stesso modo in cui i coltivatori di bachi estraggono la seta.

E cosa succede se si fa parte di quella preziosa minoranza di voci repubblicane o indipendenti che cercano di resistere a questa nuova spinta verso una guerra mondiale? Basta chiedere al rappresentante Matt Gaetz, che è stato chiamato in causa insieme ad altri patrioti come Jim Jordan e Lauren Boebert per non aver applaudito il patetico discorso di Zelensky al Congresso. Solo perché queste persone si sono rifiutate di battere le mani insieme al resto del branco del Congresso, alcuni giornalisti della NBC, come Michael Beschloss, hanno tentato di fomentare una caccia alle streghe di stampo maccartista chiedendo perché questi rappresentanti si fossero rifiutati di applaudire:

“Vorrei sapere il perché per due motivi: numero uno: sei un dipendente pubblico, ci è permesso sapere queste cose. Dovresti dirci, se stai prestando servizio al Congresso, quale era il motivo. Ami Putin, o sei semplicemente contrario alla democrazia, o c’è qualcos’altro?”

Il fatto che queste persone avessero osato chiedere dove sarebbe andato a finire il malloppo ha probabilmente toccato un nervo scoperto, visto che lo stesso Pentagono, nel novembre 2022, aveva fallito la sua quinta revisione contabile consecutiva, con oltre il 65% delle attività e delle spese non contabilizzate. Proprio così, nel 2022 il governo ha “perso le tracce” di 2.000 miliardi di dollari.

Un numero sufficiente di Americani si renderà conto di essere da troppo tempo dalla parte sbagliata della storia tempo o abbiamo già superato il punto di non ritorno?

da qui

 

Prof. Rabil su National Interest: “Washington sta conducendo la sua politica estera con i paraocchi”

La guerra ucraina non è solo un conflitto ad alta intensità nel quale si sta consumando lo scontro a rischio terza guerra mondiale tra Nato e Russia, ma rappresenta anche una variabile nuova immessa nell’ordine internazionale che si è imposto dopo la fine della Guerra Fredda, che poi tanto ordine non era, dal momento che il momentum unipolare Usa è stato caratterizzato, non certo a caso, da guerre continue, o senza fine, sia convenzionali che ibride (primavera araba e altro).

In realtà, la guerra ucraina è solo il focus attuale di uno scontro più ampio tra due prospettive globali, unipolarismo o multipolarismo. Ne scrive in maniera didascalica, e per questo particolarmente interessante, Robert G. Rabil, docente di scienze politiche alla Florida Atlantic University, sul National Interest. Riportiamo parte del suo articolo.

“L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha indubbiamente posto fine all’era post Guerra Fredda. Sebbene molti Paesi abbiano condannato l’invasione della Russia, la maggior parte di loro non ha sanzionato la Russia. In contrasto con la rappresentazione occidentale della crisi ucraina come un confronto tra democrazia e autoritarismo, questi Paesi ritengono che la crisi vada ben oltre il binomio democrazia-autoritarismo, colpendo potenzialmente la loro sicurezza nazionale, nonché la sostenibilità globale e la pace”.

I Paesi neutrali ritrovano la loro indipendenza

“L’insicurezza alimentare, lo sfollamento interno e i rifugiati, le minacce delle conseguenze della guerra e l’uso di armi non convenzionali mettono in pericolo i più vulnerabili di questi Paesi. Eppure la crisi ha rimodellato l’ordine internazionale e i riallineamenti globali offrendo agli stati l’opportunità di perseguire i propri interessi senza schierarsi con un campo politico”.

Questi Paesi ‘neutrali’ si muovono [nell’arena globale] come tante variabili geopolitiche guidate dal proprio interesse personale. Molti di questi sono amici o alleati degli Stati Uniti. Ma non sono né nemici né avversari di Russia e Cina a motivo della crisi ucraina o dei loro sistemi politici autoritari. Sono consapevoli che in un momento di competizione globale che li vede ritrovarsi con poche risorse non possono né sanzionare né andare contro la Russia, il paese più grande del mondo con la più grande quantità di risorse al mondo, né contro la Cina, il paese con la seconda economia più grande del mondo e il Paese con le più grande riserve di finanze estere al mondo”.

“Tuttavia, allo stesso tempo, non possono danneggiare il loro rapporto con gli Stati Uniti, il paese più potente e con la più grande economia del mondo. Di conseguenza, le loro politiche sono dettate dal proprio interesse nazionale, e si muovono liberi dal binario ideologico della Guerra Fredda. In altre parole, le loro politiche non si sovrappongono e non si sovrapporranno necessariamente a quelle degli Stati Uniti”.

“[…] Molti di questi Paesi hanno visto la fine dell’era post Guerra Fredda inaugurare una nuova era caratterizzata dal multipolarismo e dal multilateralismo. Hanno vissuto con disagio il momento del potere unipolare americano sin da quando ha invaso l’Iraq nel 2003. La crisi ucraina e le sue conseguenze sulla divisione del mondo, insieme alla percezione virtualmente universale che il potere americano sia in declino dopo le debacle subite in Iraq e Afghanistan, ha solo acuito la determinazione di questi Paesi nel cercare di frenare il potere globale americano sostenendo il multipolarismo e il multilateralismo”.

Gli Usa hanno i paraocchi

“[…] Oggi, Washington sta conducendo la sua politica estera con i paraocchi, ignorando intenzionalmente i segnali che mostrano che il suo potere globale è in lento ma costante declino. La crisi ucraina, arrivata all’indomani delle guerre in Iraq e in Afghanistan, ha di fatto rafforzato la visione di quasi tutto il mondo che vede il meglio maggiormente favorito dal multipolarismo e dal multilateralismo.

“Se si considera il mondo come fosse diviso in tre vaste aree, la crisi ucraina, alimentata dalla NATO, ha spostato il ‘campo neutrale’ sempre più vicino a Cina e Russia. Mentre Washington ha reso il sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa una priorità fondamentale della politica estera, molti Paesi neutrali e la Cina hanno osservato il mondo più da vicino. Hanno visto l’aumento dei costi della guerra sia socio-economici che politici, militari ed energetici salire verso l’implosione globale”.

“Mentre la leadership dell’Occidente cerca giustizia contro Putin e la Russia, indipendentemente dall’opinione dei popoli, la leadership del mondo non occidentale cerca la pace. Il problema è che la giustizia non può mai essere raggiunta a scapito della pace. Questa è una lezione che Washington non ha mai imparato, dall’Iraq e fino all’Afghanistan: i piani per la punizione sono venuti prima; il piano per il giorno dopo è arrivato solo dopo, se mai è stato fatto. Di conseguenza, la pace [nel mondo] è stata pausa fugace”.

“In particolare, spingendo per la ricerca della giustizia indipendentemente dalle conseguenze, Washington sta aprendo la strada al proprio declino, incoraggiando il multipolarismo. A questo proposito, è plausibile che lo yuan diventi un’alternativa al dollaro USA in un mondo ‘multipolare’ nel giro di pochi anni, non decenni o secoli. Ciò infliggerà un duro colpo all’economia americana e alla posizione globale da cui Washington potrebbe non essere in grado di riprendersi”.

da qui

 

 

IL ROMANZO CRIMINALE DELL’OCCIDENTE – Giuseppe Masala

Basato su una poderosa bibliografia, “Le guerre illegali della Nato” (Fazi Editore) di Daniel Ganser è un ampio saggio che illustra gli ultimi settanta anni di storia dell’Occidente dalla prospettiva delle guerre di coalizione scatenate dall’Occidente per saccheggiare risorse dai Paesi aggrediti e ridurli a meri protettorati occidentali, preferibilmente anglo-americani. Da tale prospettiva, il diritto internazionale, spesso ipocritamente invocato come giustificazione per tali guerre, appare piuttosto come il diritto imposto dall’Occidente al resto del mondo: una sorte di “pax occidentale”, elevata, nemmeno troppo di nascosto, a principio regolatore globale.

«L’unica organizzazione internazionale che ha sempre funzionato è la NATO, perché è un’alleanza militare e perché noi ne siamo al comando» – Richard Nixon

The Independent on Sunday, 21 giugno 1998. Tratto da Le guerre illegali della Nato di Daniele Ganser, pag. 42

Nel panorama editoriale relativo alla saggistica inerente alle discipline internazionali di quest’anno merita certamente una menzione particolare Le guerre illegali della Nato (Fazi Editore) di Daniele Ganser.

Si tratta di un ampio saggio che illustra gli ultimi settanta anni di storia occidentale (e delle vittime dell’Occidente) da una prospettiva illuminante e non troppo conosciuta in Europa: quella che inquadra le guerre mosse dall’Occidente in tutto il mondo non come delle crociate per i valori universali che l’occidente dichiara di difendere ma come le guerre di una coalizione, ossia come guerre imperialiste che hanno come scopi il saccheggio delle risorse del paese aggredito e la riduzione del paese stesso a mero protettorato dell’Occidente e in particolare del suo paese leader, gli USA.

Naturalmente l’opera di Ganser non è una mera cronaca di quanto avvenuto a livello internazionale negli ultimi settanta anni. Ha, infatti, l’ambizione di costruire innanzitutto un quadro concettuale e contestuale che aiuti il lettore ad interpretare la lunga sequenza di guerre che conosciamo sia dal punto di vista del Diritto Internazionale (mi riferisco ai capitoli relativi alla fondazione dell’Onu, alla fondazione della Nato e della Corte Internazionale), sia dal punto di vista concreto del governo della pólis globale secondo le logiche della politica di potenza (mi riferisco al capitolo sull’Impero Americano)…

continua qui

 

LA PELLE DELL’ORSO – Enrico Tomaselli

Gli imperi, così come ogni altra forma di organizzazione umana, sorgono, vivono e poi decadono. Nella fase di formazione, un impero manifesta una forma di aggressività espansiva, nella fase di declino una forma di aggressività difensiva. Quando un impero comincia a manifestare quest’ultima forma di aggressività, è segno inequivocabile che è iniziato il suo declino. La sola questione aperta è quanto durerà tale fase, e quanto sarà rovinosa.

Giro di boa

Come sempre, la realtà prima o poi si afferma. Comincia a filtrare attraverso le maglie delle narrazioni mistificatorie, si aggruma qui e là, quindi emerge in tutta la sua evidenza. È ciò che sta accadendo, riguardo al conflitto in Ucraina. Giorno dopo giorno, si delineano i pezzi del puzzle, si ricompone il disegno complessivo. In fin dei conti, è davvero stupefacente che ancora nessuno osi dire l’intera verità.
Per quanto l’impero statunitense abbia programmato lo scontro con la Russia da almeno tre lustri, per quanto lo abbia lungamente preparato, alla prova dei fatti la sua strategia si sta dimostrando fallace.
Gli obiettivi di Washington erano almeno tre: impegnare Mosca in una lunga guerra di logoramento, tranciare definitivamente ogni connessione tra Russia ed Europa, ed isolare internazionalmente il paese nemico. Questi tre obiettivi, però, erano e sono subordinati ad una condizione ineludibile, ovvero la capacità di condurre lungamente la guerra senza uscirne sconfitti. E ciò implica il riuscire a logorare la capacità di combattimento della Federazione Russa, ed in misura abbastanza significativa, prima di trovarsi a propria volta logorati dal conflitto. L’evidenza dei fatti dice che questa condizione non si è verificata, né si verificherà, e pertanto il disegno strategico degli USA si fondava su un calcolo sbagliato.

Innanzitutto, i centri di potere che guidano l’impero USA (pur consapevoli del declino imperiale, che è poi la ragione della postura bellicista assunta) non hanno avuto la corretta percezione dei cambiamenti intervenuti nel mondo o, quanto meno, della loro vastità e profondità. Da Washington si continua a parlare di “comunità internazionale” e di “ordine internazionale basato su regole”, senza accorgersi che stanno parlando del solo occidente collettivo, e che il resto del mondo non si riconosce più in questo ordine – anche perché ha ben chiaro che l’occidente, quando gli fa comodo, se ne frega delle sue stesse regole. Il risultato dell’aggressività statunitense, quindi, è stato l’opposto di quello desiderato: invece di spingere i paesi terzi ad allontanarsi dalla Russia, li stanno spingendo a diffidare sempre più degli USA, ed a collaborare tra di loro per proteggersi. Non si tratta solo dei BRICS+ o della Shanghai Cooperation Organization (SCO), ormai subissate di richieste di adesione; c’è un vero e proprio smottamento globale degli equilibri e dei posizionamenti internazionali.
Nonostante le differenze e taluni interessi persino divergenti, Russia e Cina rinsaldano i propri rapporti. Paesi di grandissima importanza strategica, come India ed Arabia Saudita, si allontanano sempre più dal sistema unipolare a stelle e strisce, riposizionandosi in favore del nascente multipolarismo. Un rogue state come l’Iran stringe un’alleanza strategica con Mosca, che dalla collaborazione in Siria assume oggi una dimensione globale. Nell’Africa sub-sahariana numerosi paesi cacciano i francesi e chiamano i russi. Persino all’interno della NATO c’è chi non accetta i diktat di Washington e va per conto suo, con la Turchia (secondo esercito dell’Alleanza) che si ritaglia un ruolo di mediatore, e l’Ungheria che si rifiuta di collaborare.

La liaison tra Europa e Russia si è effettivamente interrotta, forse persino più subitaneamente del previsto, ma è effettivamente ancora lungi dall’essere definitiva. E perché ciò accada è necessario che l’interruzione si prolunghi ancora a lungo, quindi non solo che permangano le condizioni che l’hanno determinata, ma che non emergano rilevanti fattori contrari. Nonostante la massiccia campagna di comunicazione messa in atto dalla propaganda di guerra, e la conseguente militarizzazione dell’informazione, infatti, è notorio che la gran parte delle opinioni pubbliche europee è quanto meno tiepida rispetto a questa politica di chiusura, così come che le stesse leadership dei paesi europei siano attraversate da non poche perplessità. Per tacere poi del fatto che, seppure con grande discrezione, i rapporti est-ovest continuano, per la semplice ragione che interromperli effettivamente, e di colpo, significherebbe il collasso del sistema socio-economico europeo.
Il prezzo (voluto) di questo congelamento dei rapporti con Mosca è innanzitutto una crisi del sistema europeo. Che non è semplicemente la crisi del sistema produttivo, e quindi del livello di benessere, ma ha un impatto assai più profondo. Da un lato sta stressando fortemente le relazioni intra-europee, acuendo la crisi dell’UE, e dall’altro prepara il terreno ad una crescente delegittimazione dei governi, tanto più probabile quanto maggiore ne è stato l’allineamento ai desiderata statunitensi.

Se sul breve termine un’Europa divisa e debole – economicamente e politicamente – può essere utile alla strategia USA, sul medio-lungo periodo rischia di rovesciarsi in un problema. Innanzi tutto perché la divisione può favorire le spinte centrifughe, e poi perché la debolezza ridurrà considerevolmente la capacità europea di condividere i costi della strategia imperiale, sostenendone lo sforzo bellico. Cosa che a Washington già stanno ipotizzando…
Ed è proprio su questo terreno che il disegno sta venendo meno.
La realtà di fatto è che, in capo a dieci mesi di guerra, la Russia occupa stabilmente oltre il 20% del territorio ex-ucraino, ne ha messo in ginocchio l’infrastruttura energetica, ed ha inflitto perdite enormi (1) alle forze armate del paese. Tutto ciò, praticamente da sola, forse con un piccolo aiuto da parte iraniana, e – pare – una piccola fornitura di munizionamento leggero nord-coreana. Di contro, ci sono almeno trenta paesi, NATO e non solo, che dal 26 febbraio 2022 assicurano un flusso costante di soldi, informazioni di intelligence, armamenti e munizioni, e che adesso sono in affanno.

Ed è qui il punto di svolta, la cartina di tornasole che svela l’inconsistenza della strategia yankee. Perché la guerra, si sa, è una faccenda che ha sì vita propria, può sempre comportare eventi imprevedibili capaci di ribaltare le aspettative, ma tutt’altra faccenda è sbagliare clamorosamente i calcoli su cui si è deciso di scatenarla. Ed è ciò che, incredibilmente, hanno fatto gli strateghi statunitensi; come altro definire – se non follia – l’idea di innescare una guerra di lunga durata, senza essere in grado di sostenerla neanche per un anno?
Risulta francamente difficile comprendere su quali valutazioni si basassero, al Pentagono, alla CIA, alla NSA, alla Casa Bianca; una incredibile sopravvalutazione delle capacità dell’Ucraina? Difficile; gli uomini della NATO hanno lavorato con loro per otto anni, a suo tempo dovettero impapocchiare gli accordi di Minsk per dar modo a Kyev di riprendere fiato, e nei mesi precedenti l’avvio dell’Operazione Speciale Militare si sono svolte ben tre grandi esercitazioni militari NATO in Ucraina. Impossibile dunque che non sapessero le reali possibilità di quelle forze armate. Una ancor più straordinaria sottovalutazione delle capacità della Federazione Russa? Se così fosse, saremmo ben oltre la follia, ché suscitare un conflitto potenzialmente capace di portare alla terza guerra mondiale, a partire da un errore di tale portata, è inconcepibile. Né d’altro canto è possibile pensare che non conoscessero neanche sé stessi – gli arsenali della NATO e le capacità produttive dell’industria bellica occidentale.
Insomma, com’è possibile che si siano venduti la pelle dell’orso, senza neanche avere le cartucce per ferirlo?…

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La guerra ai bambini – Bruna Bianchi

I bambini sono le vere vittime della guerra moderna. È abominevole il fatto che per ogni combattente ucciso, ci siano cinque bambini innocenti che hanno perso la vita per l’impatto della guerra”
(Leo Ronalds, Save the Children Australia, 2019)

L’infanzia nelle guerre contemporanee

Gli uomini fanno la guerra, le donne e i bambini ne pagano il prezzo. Così Juliet Dobson intitolava il suo articolo sul “British Medical Journal” dopo poche settimane dall’invasione dell’Ucraina ricordando i passeggini lasciati a una stazione ferroviaria della Polonia per le profughe e i loro bambini dalle donne del posto. “È un segno della nostra sorellanza”, dissero. Se sulla sorte delle donne in guerra molto è stato scritto, in particolare in relazione agli stupri e alle efferatezze commesse a Buča, la sorte dei bambini ucraini e di quelli coinvolti nei conflitti al di fuori dell’Europa, invece, è rimasta in gran parte in ombra.

La guerra ha sempre colpito la popolazione civile – donne, bambini, anziani – ma è solo a partire dalla Prima guerra mondiale che essa è diventata l’obiettivo primario della strategia militare. L’esperienza dei massacri di giovani uomini nelle trincee del 1914-18 suggerì di affidare le sorti della guerra alla violenza contro la società civile (Bianchi 2017)1. Questa strategia, attuata nella Prima guerra mondiale dalla Marina e dall’aviazione nella Seconda, è perseguita oggi con la progettazione di armi completamente autonome che fanno vittime solo tra la popolazione civile.

Nel 2019 Save the Children ha calcolato la sproporzione tra le morti infantili e quelle militari nei conflitti tra il 2013 e il 2017 in dieci paesi (Afghanistan, Yemen, Sud Sudan, Repubblica centro-africana, Repubblica democratica del Congo, Siria, Iraq, Mali, Nigeria e Somalia): 870.000 bambini al di sotto dei cinque anni hanno perso la vita in confronto a 170.000 combattenti. Nel 2017 erano 420 milioni i bambini che vivevano in zone di conflitto, 30 milioni in più rispetto all’anno precedente. Con la guerra in Ucraina questa situazione si è andata ulteriormente aggravando.

Ovunque la guerra aumenta la vulnerabilità infantile e moltiplica le occasioni di abuso. Il rapporto annuale del Segretario generale ONU del 2021, Children and Armed Conflict ha individuato 23.982 gravi violazioni dei diritti dell’infanzia nell’anno precedente con un aumento del 20% per quanto riguarda le violenze sessuali. La cultura dell’impunità e l’orientamento della strategia militare volta a colpire i civili hanno permesso queste sistematiche violazioni e impedito che si giungesse alla definizione di uno strumento giuridico a protezione dell’infanzia nei conflitti. La IV Convenzione di Ginevra del 1949 sulla protezione dei civili in guerra mancò di menzionare i bambini, lasciando un vuoto nel diritto internazionale. Da allora tutti i tentativi di considerare i bambini “zone di pace” sono falliti. In Protecting Children in Armed Conflict nel 2019 l’organizzazione non governativa Theirworld, Save the Children e la Global Health Academy dell’Università di Edinburgo hanno proposto uno strumento giuridico internazionale per la protezione legale dell’infanzia nei conflitti armati che, accanto a miglioramenti che potrebbero essere introdotti nel diritto internazionale e a forti pressioni sugli stati affinché sottoscrivano i protocolli e i trattati esistenti, potrebbe essere uno strumento importante per porre un argine alla violenza bellica nei confronti dei bambini. “Se l’umanità non riesce a collaborare per proteggere i bambini dagli orrori della guerra, si legge nelle conclusioni del rapporto, che speranza c’è per la cooperazione internazionale in altri campi?” (p. 16).

Anche la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia ha rappresentato una ben fragile barriera alla violenza. Michael Plunkett e David Southall, medici esperti in abusi infantili, hanno rivolto un atto di accusa contro tutti i governi che hanno firmato quella Convenzione e che continuano a esportare armi. “La vendita di armi e i diritti dei bambini sono concetti inconciliabili”. Già nel 1998 i due medici avevano scritto: “Per tutti coloro che sono implicati nella vendita delle armi può essere opportuno leggere il Preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite e chiedersi onestamente se il commercio delle armi è un buon modo per ‘riconoscere l’importanza della cooperazione internazionale per migliorare le condizioni di vita dei bambini in ogni paese o per […] affermare che il bambino dovrebbe essere cresciuto nello spirito degli ideali proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite e in particolare nello spirito di pace, dignità, tolleranza, libertà, uguaglianza e solidarietà’ (Plunkett-Southall, p. 77)

In questo contesto di impunità, vuoto giuridico e costante innalzamento della violenza bellica sulla parte più debole della popolazione civile è scoppiata la guerra in Ucraina in cui l’importazione di armi giorno dopo giorno innalza il livello della distruttività delle operazioni militari.

La guerra, inoltre, ha fatto irruzione in un paese in cui la condizione sociale e sanitaria infantile era tra le più critiche d’Europa. Lo rivela la letteratura pediatrica: percentuali più elevate di mortalità infantile, di bambini e ragazzi sottopeso, maggiore diffusione della violenza domestica, degli abusi sessuali o delle percosse o di situazioni famigliari difficili dovute ad alcolismo, carcerazioni e separazioni (Ludvigsson-Loboda 2022).

In Ucraina. Vittime, fughe deportazioni

Fin dai primi mesi del conflitto l’UNICEF ha lanciato il suo grido di allarme: “Cento giorni di guerra hanno avuto conseguenze devastanti sui bambini in dimensioni e con una rapidità tali che non si erano più viste dalla Seconda guerra mondiale” (UNICEF 2022). La stessa organizzazione ha parlato di “generazione perduta”.

Non ci sono ancora dati certi sulle morti infantili; il 12 dicembre 2022 l’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha rilevato che tra i 9.838 civili uccisi o feriti accertati di cui si conosce il sesso, il 47% è rappresentato da donne e bambini (OHCHR 2022). Tuttavia, non sono solo le azioni dirette di guerra a causare malattie e morte tra i bambini, bensì il freddo, la fame, l’acqua contaminata, la mancanza di cure sanitarie, le malattie che si sono diffuse in seguito alla distruzione delle abitazioni e delle infrastrutture sanitarie, idriche ed energetiche, ai pericoli e ai traumi delle fughe e degli spostamenti forzati.

Già nel primo mese i guerra 4,3 milioni bambini sono stati costretti a lasciare le loro case; di questi 2,5 milioni hanno trovato rifugio all’interno del paese (UNICEF, maggio 2022). Attualmente il 90% delle persone profughe in Europa (7.832.493), è costituito donne e bambini (UNCR dicembre 2022). La situazione più difficile è quella dei minori non accompagnati, degli orfani, di coloro che non vivevano con la famiglia al momento dell’invasione, ma in altre istituzioni o collegi (circa 100.000) e di coloro che sono stati forzatamente trasferiti in Russia o nelle zone sotto il controllo russo. A questi spostamenti forzati, che in molti casi si configurano come crimini contro l’umanità, è dedicato il rapporto di Amnesty International, Ukraine.Like a Prison Convoy, apparso a novembre e basato su 88 interviste a coloro che sono riusciti a rientrare in Ucraina o a dirigersi verso altri paesi europei. Nel complesso, si legge nel rapporto, secondo l’UNHCR sono 2,8 milioni gli ucraini che dal 24 febbraio al 17 ottobre hanno varcato il confine con la Russia; secondo dati ufficiali russi, invece, al 5 ottobre essi sarebbero 4,5 milioni di cui 690.000 bambini (p. 9).

Se in molti sono riusciti a lasciare la Russia, i bambini, i ragazzi non accompagnati, gli orfani e i disabili sono in gran parte rimasti intrappolati nei centri di accoglienza.

Il 20 marzo 2022, due ragazzi di 15 e 16 anni, di Marjupol, orfani separati dai loro tutori, che stavano fuggendo verso Zaporižžja, sono stati fermati nel villaggio di Manhush occupato dai russi […]. “Non c’era scelta per chi aveva meno di 18 anni”, ha spiegato il sedicenne (p. 10).

Molti altri sono stati fermati ai posti di blocco e trasferiti in Russia dopo essere passati attraverso il processo di “filtraggio”, interrogatori sulle opinioni politiche e sulla guerra. Questi interrogatori sono spesso accompagnati da maltrattamenti e vere e proprie torture, come è accaduto a un ragazzo di 17 anni (p. 5). In alcuni casi, ha accertato Amnesty, i bambini sono stati separati dalle madri. Ha ricordato un bambino di 11 anni:

“Hanno preso mia mamma e l’hanno interrogata… mi hanno detto che sarei stato separato da mia mamma … Ero sconvolto, non mi hanno detto dove sarebbe andata la mia mamma […] Da allora non ho saputo più niente di lei (p. 11)”.

Questo bambino è stato in seguito raggiunto dalla nonna che è riuscita a rintracciarlo da un post sui social. Altri nonni e tutori hanno dovuto recarsi in Russia per riavere con sé i bambini, un viaggio lungo e pericoloso di 4.000 chilometri attraverso la Polonia, la Lituania, la Lettonia per poi passare il confine con la Russia a piedi (p. 27).

In mancanza di relazioni tra Russia e Ucraina, i bambini separati da genitori o tutori rischiano di essere considerati orfani e andare in adozione. La volontà di assorbire nella società russa i minorenni, ostacolando il rimpatrio, imponendo la cittadinanza russa (ai minori di 14 anni), favorendo le adozioni è ben documentata dal rapporto.

Nei centri temporanei di accoglienza – 9.500 diffusi su tutto il territorio russo, incluse le regioni più remote – ci sono state pressioni affinché internati e internate chiedessero la cittadinanza russa e gli aiuti per le riunificazioni famigliari sono venuti per lo più dalle organizzazioni di volontari russi, che a decine sono sorte nel paese. “È il nostro modo di protestare”, ha dichiarato a “The Moscow Times” Veronika Timakina, una giovane di 19 anni che ha organizzato gli aiuti lanciando una raccolta fondi. “Quando ho visto lunghissime code di persone profughe, mi sono vergognata di guardarle negli occhi e mi sono offerta come volontaria”, ha dichiarato un’altra giovane di 25 anni, Maria. Affrontando gravi rischi, volontari e volontarie hanno procurato aiuto legale, il denaro per il viaggio, hanno accompagnato alle stazioni, provveduto ai bisogni più elementari, una attività che non ha tardato ad essere colpita dalla repressione. Veronika ha dovuto lasciare il paese e sappiamo di altre attiviste minacciate e torturate

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UCRAINA: FINE PARTITA

Un parallelo con la Guerra Civile Americana – Julian Macfarlane
Alex Mercouris ha ragione a dire che i Russi si stanno preparando ad una guerra di logoramento alla Ulysses Grant, “senza resa”?

Il “logoramento” lo vediamo. Ma dov’è la guerra?

Bakhmut è ancora uno spettacolo di sangue e morte, così come lo era stato la settimana scorsa. Ma non è la guerra.

I Russi, ovviamente, dicono che non si tratta di una guerra in senso convenzionale, ma di una “Operazione Militare Speciale (SMO).” Comunque la si chiami, anche se in un conflitto di questo tipo non sembra accadere nulla di nuovo, ma una delle due parti sta perdendo, perde e continua a perdere, significa che il fine partita sta arrivando. Controllate le munizioni. Bakhmut, come nota Brian Berletic, è, di per sé, di scarsa importanza strategica – è solo un mattatoio.

In Canada, il fanboy di Zelensky, Justin Trudeau, ha lanciato un nuovo programma chiamato “cancellazione volontaria,” in cui adolescenti afflitti dai brufoli e dalla mancanza di sesso e incapaci di affrontare la depressione possono porre fine alle loro vite con l’aiuto di un’associazione. In Ucraina si parla di “cancellazione involontaria.” Ed è altrettanto folle.

Questa mappa è dell’eccellente Slavyangrad, che scrive su Telegram.

OK… sono DUE mappe!

Non c’è bisogno di leggere il russo. Un’immagine vale più di mille parole.

La mappa più grande sulla destra mostra la “linea di contatto” – con l’Ucraina liberata in rosso e le aree controllatee dall’UAF in verde vomito. L’Ucraina è molto grande e la linea di contatto è lunga e sottile, punteggiata da piccole esplosioni, che rappresentano la morte degli Ucraini (soprattutto occidentali).

Vedrete anche che l’area contesa (verde) è quella che fino al 2014/15 era l’Ucraina orientale, nominalmente di etnia russa. Si tenga presente che i Russi non stanno “invadendo” l’Ucraina occidentale, stanno semplicemente recuperando l’Ucraina orientale.

Il grafico ingrandito più piccolo a sinistra mostra una porzione della linea di contatto, dove si trovano città-fortezza, come Bakhmut, bang, bang, bang.

Ciò che conta, tuttavia, non è Bakhmut, ma le città adiacenti. È una catena di perle insanguinate e l’UAF sta perdendo truppe ed equipaggiamento lungo tutta la linea.

Questa linea è chiamata “il tritacarne russo.”

Uomini che muoiono per niente

Tutti questi uomini stanno morendo per niente.
Gonzalo Lira

La citazione fa parte di una discussione incredibilmente informativa tra Lira, Mercouris, Berletic e Christoforou su The Duran, una fonte importante di notizie. Potete guardarla qui.

Le stime delle vittime della guerra civile ucraina variano enormemente.

Ma, se si vuole sapere cosa sta succedendo, bisogna guardare ai numeri forniti dai Russi, generalmente abbastanza attendibili – se non altro perché i Russi non hanno modo di nascondere la verità sulle loro perdite – che, fortunatamente per loro, fino a settembre erano state solo di circa 6000 KIA [uccisi in azione], forse 7000 ora, con un numero di feriti circa 10 volte superiore, grazie ad un buon supporto medico sul campo di battaglia. I Russi hanno un pubblico mediatico vivace e generalmente scettico, con una bassa tolleranza per le bugie.

Gli Ucraini? I loro media sono una fabbrica di propaganda controllata da un governo che si contraddice costantemente. E, negli ultimi 8 anni, il pubblico è stato sottoposto ad un totale lavaggio del cervello. Le perdite il regime di Zelensky vuole mantenerle basse per poter dire che sta vincendo. Ma anche grandi per ottenere soldi e simpatia dallo Zio Sam. Le dimensioni contano. Un po’ come l’uccello di Zelensky: la sua grandezza varia a seconda di chi sta con lui.

Tuttavia, è chiaro che l’UAF ha subito perdite enormi, proprio come la Confederazione negli ultimi anni della Guerra Civile Americana.

A settembre, stime prudenti dell’UAF parlavano di circa 60.000 morti, ovvero dieci volte quelle russe, e di almeno 150.000 feriti. È più probabile che i morti siano 100.000 e i feriti 300.000.

Pepe Escobar stima 400.000 KIA, il che è abbastanza plausibile.

A complicare le stime c’è il fatto che il supporto medico ucraino è oberato di lavoro e scarsamente efficiente e questo (probabilmente) porta il rapporto feriti-uccisi ad un misero 2:1 o 3:1.

Comunque la si guardi, perdite di questa entità sono insostenibili e hanno portato l’UAF ad arruolare chiunque sia in grado di camminare o strisciare, dagli adolescenti agli anziani. Se gli scimpanzé potessero essere addestrati a sparare, svuoterebbero gli zoo. Presto ci saranno brigate di paraplegici. Le trincee avranno bisogno di rampe d’accesso.

Zelensky sta gettando in battaglia uomini non addestrati e mal equipaggiati il cui unico scopo è quello di essere uccisi. Non possono combattere, ma solo morire. L’Occidente lo premia con miliardi di dollari e mette la sua faccia su Time. In patria dice: “I Russi stanno perdendo, molto più di noi.” All’estero dice: “I Russi ci stanno massacrando!”

I leader e le celebrità occidentali si precipitano a fargli la corte. Fanno la fila per baciare l’anello, se non il culo, del capitano ucraino.

Il bene è premiato in Paradiso. Il male è premiato a Hollywood. Se mai c’è stato un criminale di guerra, “Volo” lo impersona perfettamente. Anche con una corda al collo? Probabilmente no.

L’ironia è che, in primavera, dopo che i Russi avevano spezzato la schiena all’UAF, questo conflitto avrebbe potuto e dovuto essere negoziato utilizzando Minsk 2 come base.

Non che Minsk abbia mai significato qualcosa per l’Occidente. Angela Merkel si è lasciata sfuggire che il suo governo aveva accettato gli Accordi di Minsk senza l’intenzione di attuarne le disposizioni, solo per guadagnare tempo per armare gli Ucraini e creare il secondo esercito più forte d’Europa dopo la Russia. Non che questo non fosse ovvio dopo il primo anno.

Già. Questa è la guerra per procura.

Questa non è una guerra tra l’Ucraina occidentale e l’Ucraina orientale. Né tra Ucraina e Russia – è una guerra tra Est e Ovest. Una guerra mondiale.

Gli Ucraini sono solo carne da macello. Pensateci prima di comprare un Big Mac.

Chi vincerà? È tutta una questione di leadership.

L’Occidente ha Biden. L’Est ha Putin e Xi, che almeno non devono indossare il pannolone.

Il crollo dell’Ucraina occidentale

Questo ci riporta al parallelo di Mercouris, Gfoeller e Rundell con la Guerra Civile Americana e Ulysses S. Grant.

Putin è il Grant della Russia.

Grant era un genio strategico, ma non avrebbe potuto realizzare ciò che aveva fatto senza essere anche un genio organizzativo.

Putin è altrettanto eclettico.

Putin valuta la strategia nel momento in cui si realizza nel contesto e la adatta alle mutate circostanze.

Quindi, riconfigura le sue squadre, inserendo, se necessario, nuovi leader in grado di portare a termine nuovi approcci, cambiando la struttura di comando in modo che i leader con le giuste competenze siano al loro posto. Tutto è allineato e coordinato in modo flessibile. Questo è il ciclo OODA [observe–orient–decide–act] di John Boyd su larga scala.

Ed è esattamente ciò che aveva fatto Grant e che gli aveva permesso di vincere la Guerra Civile in soli due anni.

Una differenza, tuttavia, è che Putin in Ucraina sta prendendo tempo, perché si rende conto che si tratta solo di un campo di battaglia. La Confederazione non aveva alleati militari. Ma l’Ucraina è il fronte di un’enorme alleanza militare di nazioni. Questo significa che la tempistica per una vera risoluzione sarà probabilmente di almeno due anni.

Minsk ha dato all’Occidente il tempo di prepararsi. Ma ha anche dato a Putin il tempo di prepararsi. E Putin lo ha fatto come avrebbe fatto Grant, se la Gran Bretagna e la Francia avessero appoggiato il Sud, concedendosi il maggior numero possibile di opzioni, per ogni evenienza. Come si è scoperto, [Grant] aveva bisogno – e [anche Putin] ha bisogno – di quelle opzioni.

Le analogie abbondano.

Il Sud era grande, e con molte ferrovie, il che gli dava un vantaggio logistico. Grant aveva quindi iniziato ad attaccare le ferrovie.

Anche l’Ucraina è grande. La logistica è la chiave di tutto.

L’UAF dipende dalle ferrovie, che sono in gran parte elettrificate. Gli attacchi dei Russi alle infrastrutture elettriche impediscono all’UAF di spostare le truppe e rifornire le proprie forze.

Durante la Guerra Civile, il morale dei ragazzi in grigio era crollato con l’aumentare delle perdite e la mancanza di mobilità. L’umore era crollato anche in patria.

La stessa cosa sta accadendo in Ucraina…

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STA PER SUCCEDERE QUALCOSA DI GROSSO – Mike Whitney

“I Russi hanno deciso che non c’è modo di negoziare la fine di questa situazione. Nessuno negozierà in buona fede; quindi dobbiamo schiacciare il nemico. Ed è quello che sta per accadere.” Colonnello Douglas MacGregor (minuto 9:35)

Per essere precisi, non abbiamo ancora iniziato nulla.” Vladimir Putin

 

La guerra in Ucraina non finirà con un accordo negoziato. I Russi hanno già chiarito che non si fidano degli Stati Uniti, quindi non hanno intenzione di perdere tempo in un chiacchiere inutili. Ciò che i Russi faranno è perseguire la loro l’unica opzione: distruggere l’esercito ucraino, ridurre in macerie gran parte del Paese e costringere la leadership politica a soddisfare le loro garanzie di sicurezza. È un’azione sanguinosa e dispendiosa, ma non c’è altra scelta. Putin non permetterà alla NATO di piazzare il suo esercito e i suoi missili al confine con la Russia. Ha intenzione di difendere il suo Paese nel miglior modo possibile, eliminando in modo proattivo le minacce emergenti in Ucraina. Ecco perché Putin ha richiamato altri 300.000 riservisti per la campagna in Ucraina; perché i Russi devono sconfiggere l’esercito ucraino e porre rapidamente fine alla guerra. Ecco un breve riassunto del colonnello Douglas MacGregor:

“La guerra per procura di Washington con la Russia è il risultato di un piano accuratamente costruito per coinvolgere la Russia in un conflitto con il suo vicino ucraino. Dal momento in cui il Presidente Putin aveva dichiarato che il suo governo non avrebbe tollerato una presenza militare della NATO in Ucraina, alle porte della Russia, Washington ha fatto di tutto per trasformare l’Ucraina in una potenza militare regionale ostile alla Russia. Il colpo di stato del Maidan aveva permesso agli agenti di Washington a Kiev di insediare un governo che avrebbe cooperato con questo progetto. La recente ammissione della Merkel sul fatto che lei e i suoi colleghi europei avevano cercato di sfruttare gli accordi di Minsk per guadagnare tempo e rafforzare l’esercito ucraino conferma la tragica verità di questa vicenda. (“US Colonel explains America’s role in provoking Russia-Ukraine conflict“, Lifesite)

Questo è un eccellente riassunto degli eventi che hanno portato al giorno d’oggi, anche se dovremmo dedicare un po’ più di tempo ai commenti di Angela Merkel. Ciò che la Merkel aveva effettivamente detto nella sua intervista a Die Zeit è quanto segue:

“L’accordo di Minsk del 2014 era stato un tentativo di guadagnare tempo per l’Ucraina. L’Ucraina aveva utilizzato questo tempo per rafforzarsi, come potete vedere oggi.” Secondo l’ex Cancelliera, “era chiaro per tutti” che il conflitto era sospeso e il problema non era risolto, “ma era stato proprio questo a dare all’Ucraina un vantaggio temporale inestimabile.” (Agenzia di stampa Tass)

La Merkel è stata aspramente criticata per aver ammesso che lei e gli altri leader occidentali avevano deliberatamente ingannato la Russia sulle loro vere intenzioni rispetto a Minsk. Il fatto è che non avevano alcuna intenzione di fare pressione sull’Ucraina affinché rispettasse i termini del trattato e lo sapevano fin dall’inizio. Sappiamo per certo che né la Merkel né i suoi alleati erano mai stati interessati alla pace. In secondo luogo, ora sappiamo che hanno continuato l’inganno per 7 anni prima che lei vuotasse il sacco e ammettesse ciò che stavano realmente facendo. Infine, ora sappiamo dai commenti della Merkel che l’obiettivo strategico di Washington era l’opposto dell’accordo di Minsk. Il vero obiettivo era quello di creare un’Ucraina pesantemente militarizzata che avrebbe portato avanti la guerra per procura di Washington contro la Russia. Questo era l’obiettivo primario: la guerra alla Russia.

 

Allora, perché Putin dovrebbe prendere in considerazione l’idea di negoziare con persone del genere, che hanno mentito spudoratamente per 7 anni mentre inondavano l’Ucraina di armi che sarebbero state usate per uccidere i soldati russi?

E qual’è l’obiettivo che aveva spinto la Merkel e i suoi colleghi di Washington a mentire?

Volevano una guerra, ed è lo stesso motivo per cui Boris Johnson aveva posto il veto all’accordo che Zelensky aveva negoziato con Mosca a marzo. Johnson aveva sabotato l’accordo perché Washington voleva una guerra. È talmente semplice.

Ma c’è un prezzo da pagare per le bugie, e questo prezzo è la diffidenza, la perniciosa erosione della fiducia, che rende impossibile risolvere le questioni di interesse reciproco. Il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo, Dmitry Medvedev, proprio questa settimana ha espresso il suo punto di vista sulla questione nei termini più amari. Ha detto:

“Quest’anno, il comportamento di Washington e di altri attori è stato l’ultimo avvertimento a tutte le nazioni: non si possono fare affari con il mondo anglosassone [perché] è un ladro, un truffatore, un baro che potrebbe fare qualsiasi cosa.… D’ora in poi faremo a meno di loro, almeno finché non salirà al potere una nuova generazione di politici ragionevoli… Non c’è nessuno in Occidente con cui potremmo trattare per qualsiasi motivo.” (Ex-Russian President outlines timeline for reconciliation with the West, RT)

Naturalmente, i guerrieri di Washington non saranno affatto infastiditi dalla prospettiva di una rottura delle relazioni con la Russia, anzi probabilmente ne saranno lieti. Ma non si può dire lo stesso per l’Europa. L’Europa si pentirà di essersi legata all’incudine di Washington e di essersi gettata in mare. In un prossimo futuro – quando finalmente si renderanno conto che la loro sopravvivenza economica è inestricabilmente legata all’accesso ai combustibili fossili a basso costo – i leader dell’UE cambieranno rotta e attueranno una politica che garantisca la loro stessa prosperità. Si ritireranno dalla “guerra eterna” della NATO e si uniranno ai ranghi delle nazioni civilizzate che cercano un futuro sicuro ed economicamente integrato.

Ci aspettiamo che anche il NordStream, che è stato distrutto nel più grande atto di sabotaggio industriale dell’era moderna, venga riattivato e ritorni ad essere la principale arteria energetica che lega la Russia all’UE nella più grande zona di libero scambio del mondo. Alla fine, il buon senso prevarrà e l’Europa uscirà dalla crisi provocata dalla sua alleanza con Washington. Ma, prima, la conflagrazione tra Russia e Occidente deve fare il suo corso in Ucraina e il “Garante della sicurezza globale” deve essere sostituito dall’unica nazione disposta a combattere Golia alle sue condizioni in una gara in cui il vincitore prende tutto.

L’Ucraina si preannuncia come la battaglia decisiva nella guerra contro il “sistema basato sulle regole,” una guerra in cui gli Stati Uniti useranno “tutti i trucchi del mestiere” per mantenere la loro presa sul potere. Si veda questo breve trafiletto dell’analista politico John Mearsheimer che spiega i mezzi con cui gli Stati Uniti hanno conservato il loro ruolo dominante nell’ordine globale:

“Non si può sottovalutare quanto gli Stati Uniti siano spietati. Tutto ciò è nascosto nei libri di testo e nelle lezioni che seguiamo da bambini, perché fa parte del nazionalismo. Il nazionalismo consiste nel creare miti su quanto sia meraviglioso il proprio Paese. L’America è buona o cattiva? Non facciamo mai niente di male. (Ma) se si guarda al modo in cui gli Stati Uniti hanno operato nel tempo, è davvero sorprendente quanto siamo stati spietati. E gli Inglesi, lo stesso vale anche per loro, ma noi lo copriamo. Quindi, dico solo che, se siete l’Ucraina e vivete accanto a uno Stato potente come la Russia o se siete Cuba e vivete accanto a uno Stato potente come gli Stati Uniti, dovreste stare molto, molto attenti perché è come dormire nello stesso letto con un elefante. Se quell’elefante si gira e vi schiaccia, siete morti. Bisogna stare molto attenti. Sono contento che il mondo funzioni così? No, non lo sono. Ma è così che funziona il mondo, nel bene e nel male.” (John Mearsheimer, “How the World Works,“  You Tube)

 

In conclusione, le prospettive di pace in Ucraina sono nulle. L’establishment della politica estera statunitense ha deciso che l’unico modo per invertire l’accelerazione del declino dell’America è il confronto militare diretto. La guerra in Ucraina è la prima manifestazione di questa decisione. D’altra parte, la Russia non ripone più alcuna fiducia nei negoziati con l’Occidente, non può più fidarsi che i leader occidentali onorino i loro impegni o rispettino gli obblighi dei trattati.

Queste inconciliabili differenze tra le due parti rendono inevitabile un’escalation. In assenza di un partner affidabile, Putin ha solo un’opzione per risolvere il conflitto: una schiacciante forza militare. È per questo che ha richiamato 300.000 riservisti a prestare servizio in Ucraina ed è per questo che ne richiamerà altri 300.000 se saranno necessari. Putin si rende conto che l’unica strada percorribile è quella di risolvere rapidamente il conflitto e imporre le proprie condizioni ai vinti. Questo è esattamente ciò che Mearsheimer aveva previsto solo poche settimane fa, quando aveva affermato quanto segue:

“I Russi non si arrenderanno e non si fingeranno morti. Anzi, quello che i Russi faranno è schiacciare gli Ucraini. Tireranno fuori i grossi calibri. Ridurranno in macerie luoghi come Kiev e altre città dell’Ucraina. Faranno Falluja, faranno Mosul, faranno Grozny …. Quando una grande potenza si sente minacciata… i Russi tireranno fuori tutte le loro armi in Ucraina per assicurarsi la vittoria. …Dovete capire che stiamo parlando di mettere all’angolo una grande potenza dotata di armi nucleari, che vede in ciò che sta accadendo una minaccia esistenziale. Questo è davvero pericoloso.” (John Mearsheimer, Twitter)

Quindi, se sappiamo che la Russia cercherà di porre fine alla guerra sconfiggendo l’esercito ucraino, cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro?

A questa domanda hanno risposto diversi analisti che hanno seguito da vicino la guerra fin dall’inizio, ma prima ecco un riassunto degli incontri che si sono svolti la scorsa settimana , da cui si può capire che una grande offensiva russa potrebbe essere in programma tra poche settimane. L’estratto è tratto da un articolo di Patrick Lawrence su Consortium News:

“Alexander Mercouris… ha recentemente elencato l’eccezionale serie di incontri che Putin ha tenuto nelle ultime due settimane con l’intero establishment militare e di sicurezza nazionale. A Mosca, il leader russo ha incontrato tutti i principali comandanti militari e funzionari della sicurezza nazionale (compreso) Sergei Surovikan, il generale da lui incaricato dell’operazione ucraina….

Putin è poi volato a Minsk con il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e il ministro della Difesa Sergei Shoigu per uno scambio con i vertici politici e militari bielorussi. Poi ha incontrato i leader delle due repubbliche di Donetsk e Lugansk, incorporate tramite referendum nella Federazione Russa lo scorso autunno.

Non si può evitare di concludere che questi incontri, di cui la stampa occidentale ha parlato a malapena, siano il segnale di una nuova iniziativa militare a breve o medio termine in Ucraina. Come ha detto Mercouris, “sta per arrivare qualcosa di molto grosso.”

In questo contesto, uno degli incontri più interessanti è avvenuto a Pechino la scorsa settimana, quando Dmitry Medvedev, attualmente Vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo e da tempo vicino a Putin, ha avuto colloqui con Xi Jinping….

Ad un certo punto, in un futuro non lontano, la guerra della vuota retorica in nome dell’arroganza imperiale si indebolirà e andrà alla deriva verso il collasso. Questo surreale distacco dalla realtà non potrà essere sostenuto all’infinito – non di fronte ad una nuova iniziativa russa, qualunque forma potrà assumere.” (PATRICK LAWRENCE: “A War of Rhetoric & Reality“, Consortium News)

Lawrence ha ragione? Sta per arrivare qualcosa di grosso?

Sembrerebbe proprio di sì. Nello spazio sottostante ho trascritto alcune citazioni tratte da recenti video con il colonnello MacGregor e Alexander Mercouris, due dei migliori e più affidabili analisti della guerra in Ucraina. Entrambi concordano sul fatto che una “offensiva invernale” russa avrà luogo nel prossimo futuro, ed entrambi concordano sugli obiettivi strategici dell’operazione. Ecco uno spezzone di MacGregor:

“Il popolo americano non capisce che l’esercito ucraino nel Donbass è sull’orlo del collasso. Hanno subito perdite nell’ordine delle centinaia di migliaia… (e) sono quasi a centocinquantamila morti. La 93esima brigata dell’esercito ucraino si è appena ritirata da Bahkmut – che i Russi hanno trasformato in un bagno di sangue per gli Ucraini – e se n’è andata dopo aver subito il 70% di perdite. Per loro, questo significa che di 4.000 uomini… se ne sono salvati circa 1.200 . È una catastrofe, ma è ciò che sta realmente accadendo. E quando i Russi lanceranno finalmente la loro offensiva, gli Americani assisteranno al crollo di questo castello di carte. A quel punto, l’unica incertezza sarà se qualcuno finalmente si alzerà in piedi e metterà fine a questa narrazione totalmente falsa.” (“Colonel Douglas MacGregor,” Real America, Rumble; 8:45 min)

Ed ecco ancora MacGregor:

“Sembra sempre di più che il desiderio dei Russi sia quello di completare la loro missione nel Donbass. Vogliono eliminare tutte le forze ucraine che si trovano nel Donbass… Ricordate, questa è sempre stato un modo per economizzare le forze. È stato progettata per eliminare il maggior numero possibile di Ucraini al minor costo possibile per i russi.

Questo è ciò che sta accadendo nell’Ucraina meridionale (e) continua. Ha funzionato alla grande. E Surovikin, il comandante delle operazioni, ha detto che continuerà fino a quando non sarà pronto a lanciare la sua offensiva. Quando l’offensiva sarà lanciata, sarà una battaglia molto diversa. Ma la cosa interessante è che gli Ucraini hanno subito moltissime perdite nel sud e arrivano segnalazioni secondo cui sarebbero sull’orlo del collasso. Ed è per questo che sentiamo parlare di ragazzini di 14 o 15 anni che vengono arruolati. … e riceviamo video di soldati ucraini che dicono: “Quelli di Kiev farebbero meglio a sperare che i Russi li arrivino lì prima di noi… perché noi li uccideremo.” Parlano dei funzionari governativi, perché non vedono alcuna prova che al governo di Zelensky… importi qualcosa di loro. Stanno finendo il cibo e il vestiario, stanno congelando, stanno subendo pesanti perdite e vengono ricacciati indietro.” (“Will Ukraine have enough Fire Power?”  Col MacGregor, Judging Freedom, You Tube; 17:35 min)

Sia MacGregor che Mercouris sembrano concordare sul fatto che la strategia russa prevede di “distruggere” il nemico (uccidendo il maggior numero possibile di truppe ucraine), di consolidare le conquiste russe espandendo il proprio controllo sulle aree a est e lungo il Mar Nero e, infine, di dividere l’Ucraina in due entità separate: uno “Stato fantoccio disfunzionale” a ovest e uno Stato industrializzato e prospero a est. Ecco Alexander Mercouris da un recente aggiornamento su You Tube:

“La mia netta impressione è che … l’obiettivo dell’offensiva invernale russa – che sta effettivamente arrivando – sarà quello di porre fine alla battaglia nel Donbass, spezzare la resistenza ucraina nel Donbass, sgomberare le forze ucraine dalla Repubblica Popolare di Donetsk. Non mi sembra che i Russi stiano pianificando una grande avanzata su Kiev o sull’Ucraina occidentale. Non è quello che dicono i commenti del generale Gerasimov. … i Russi si stanno concentrando su Donetsk… È [una strategia] “a basso rischio,” ma è altamente efficace. Stanno distruggendo l’esercito ucraino esattamente come ha detto il generale Surovikin. [Questa strategia] sta indebolendo la futura capacità dell’Ucraina di continuare la guerra e – allo stesso tempo – realizza la missione primaria della Russia che, fin dall’inizio, era stata la liberazione del Donbass.

Ora, le cose non finiranno qui. Altri funzionari russi hanno detto che nel 2023 dovremmo vedere la riconquista della regione di Kherson… e, sicuramente, ci saranno altri progressi dei Russi in altri luoghi. Ma la battaglia principale era e rimane il Donbass. Una volta vinta quella battaglia, una volta spezzata la resistenza ucraina, l’esercito ucraino sarà fatalmente indebolito… il che significa che l‘Ucraina non solo avrà perso la sua regione più industrializzata e la sua zona più fortificata. Significa anche che i Russi avranno un accesso libero da ostacoli fino alla riva orientale del fiume Dnieper. A quel punto, saranno in grado di tagliare l’Ucraina a metà. Mi sembra logico e mi sembra chiaro che questo sia il piano russo. Non ne fanno mistero, ma tengono la gente sulle spine e alimentano congetture sulle truppe che si trovano in Bielorussia. Ma ho il sospetto che lo scopo principale di queste forze sia quello di bloccare i soldati ucraini… intorno a Kiev, mettendoli di fronte al pericolo di un’eventuale offensiva russa, e di contrastare il concentramento di truppe polacche. Questo è ciò che ha detto Gerasimov.” (“Alexander Mercouris on Ukraine,” You Tube; 31:35 min)

Sebbene nessuno possa prevedere il futuro con assoluta certezza, sembra che sia MacGregor che Mercouris abbiano una sufficiente padronanza dei fatti da non poter scartare a priori il loro scenario. In effetti, l’attuale evoluzione del conflitto suggerisce che le loro previsioni sono probabilmente “azzeccate.” In ogni caso, non dovremo aspettare molto per scoprirlo. Le temperature stanno scendendo rapidamente in tutta l’Ucraina, il che consente il movimento senza ostacoli di carri armati e veicoli blindati. L’offensiva invernale della Russia è probabilmente a poche settimane di distanza.

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Che i giochi Patriot abbiano inizio – Pepe Escobar

Eravamo ben lontani dal sospettare che nel 2023 la rabbia avrebbe superato il parossismo.

È inutile soffermarsi sulla raccapricciante visita del clown di Kiev al manichino dei crash test della Casa Bianca, unita a un discorso “churchilliano” ai domini del partito della guerra a Capitol Hill. La storia ridicolizzerà questa soap opera di Hollywood per i secoli a venire.

Molto più interessante è l’ultimo spettacolo di pubbliche relazioni del partito della guerra, sponsorizzato dalla Raytheon Productions. Dopotutto, Lloyd Austin, l’attuale capo del Pentagono, è un ex trafficante d’armi della Raytheon.

Dopo tanto clamore, è stato stabilito che il Pentagono non fornirà una collezione, ma una singola batteria Patriot a Kiev, con quattro o otto lanciamissili e la versione PAC 2 o PAC 3.

Una batteria Patriot viene fornita con radar, numerosi computer, apparecchiature per la generazione di energia e una “Stazione di controllo dell’ingaggio”.

Invece di addestrare gli ucraini in una base dell’esercito americano a Grafenwoehr, in Germania, il Pentagono sta esplorando la possibilità di addestrarli in una base americana, molto probabilmente Fort Sill, in Oklahoma, dove attualmente vive la maggior parte degli istruttori, fianco a fianco con i loro simulatori di formazione integrati. Sono necessari fino a 90 militari per far funzionare e mantenere una singola batteria Patriot.

Data la vasta formazione richiesta per gestire un sistema così costoso ($ 1 miliardo) e complesso, se saranno sul campo nella prima metà del 2023, significherà, cosa preoccupante, che gli operatori potrebbero essere mercenari americani, o almeno della NATO.

Le conseguenze implicite sono ovvie. Tanto più che il Ministero della Difesa russo ha già sottolineato che il Patriot sarà considerato un obiettivo legittimo.

Quindi, supponendo che tutto quanto sopra accada in pratica nel 2023, sarà un piacere confrontare le prestazioni dei Patriots in Ucraina con quelle dei Patriots al lavoro nelle terre dell’Arabia – regolarmente dribblate dai missili iraniani e Houthi . Gli Houthi si sono sempre divertiti a prendere di mira le installazioni petrolifere saudite.

Ciò che potrebbe cambiare è che, a differenza della penisola arabica, tutta l’intelligence collettiva occidentale, la ricognizione e la potenza di fuoco dei satelliti sono in allerta in Ucraina 24 ore su 7, XNUMX giorni su XNUMX.

L’inestimabile Andrei Martyanov ha già presentato il descrizione di tutti gli elementi essenziali dei Patriots. Concentriamoci su alcuni dettagli intriganti.

Una singola batteria Patriot avrà un impatto inferiore a zero sul campo di battaglia ucraino. Questa batteria coprirebbe teoricamente le installazioni ucraine più strategiche: un’area molto limitata, come una piccola base militare. Non ha niente a che fare con la protezione di Kiev.

Ciò che è molto più significativo, da un punto di vista concettuale, è che questo dispiegamento di Patriot, insieme ad altri sistemi di difesa aerea come NASAMS, IRIS-T e l’eventuale trasferimento del SAMP-T, dimostra ancora una volta che l’Ucraina è de facto sotto un sistema di difesa aerea multilivello della NATO. Il Patriot è completamente integrato in NATINADS, il sistema di difesa aerea della NATO.

Traduzione, se necessario: questo continua ad evolversi, rapidamente, verso una guerra totale tra NATO e Russia…

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Novità del tritacarne imposto dalla NATOistan – Pepe Escobar

Da qualche parte nel suo pantheon privato, Pallade Atena, dea della geopolitica, gode molto dello spettacolo.

Nessuno ha mai perso soldi capitalizzando le sconfinate sciocchezze sputate dal collettivo di cervi colti alla luce dei fari, noti anche come media mainstream occidentali, e assegnando il premio Persona dell’anno a un attore megalomane e cocainomane che si atteggia a signore della guerra .

L’incessante trash parade degli analisti militari occidentali sta ora “valutando” che i primi obiettivi di un attacco congiunto russo-bielorusso al buco nero 404 noto come Ucraina saranno Lviv, Lutsk, Rivne, Zhytomyr e, perché no, Kyiv nel mescolare direttamente da un secondo asse.

Lo stato maggiore russo segue da vicino tutte queste azioni e potrebbe anche seguire i consigli di questi “analisti”.

E poi, panico totale, il Ministero della Difesa ha annunciato che le forze missilistiche strategiche hanno caricato due ICBM Yar nei silos previsti a tale scopo. Si sentono poi grida di orrore come “la Russia sta preparando un missile nucleare capace di colpire profondamente gli Stati Uniti”.

Alcuni fatti, tuttavia, non cambiano mai. La prima è che la NATO è un’invenzione dell’immaginazione – estremamente imperfetta – dell’Occidente collettivo. Se le cose dovessero andare male – come sperano e si augurano i guerrieri di salotto straussiani e neocon – la Russia potrebbe facilmente sconfiggere l’intera Nato, perché “laggiù” non c’è praticamente nulla.

Ciò richiederebbe, ovviamente, una massiccia mobilitazione della Russia. Allo stato attuale, la Russia può sembrare debole in alcuni ambienti, poiché ha attivato al massimo 100 truppe contro forse un milione di truppe ucraine. È come se Mosca non fosse esattamente innamorata dell’idea di “vincere” – cosa che potrebbe essere, in un modo piuttosto contorto.

Ancora oggi, Mosca non ha mobilitato abbastanza truppe per occupare l’Ucraina – che, in teoria, sarebbe indispensabile per “denazificare” completamente il racket di Kiev. Il concetto operativo è comunque “in teoria”. In effetti, Mosca è impegnata a dimostrare una teoria completamente nuova, indipendentemente dal fatto che alcune teste calde abbiano spacciato che Putin dovrebbe essere sostituito da Alexander Bortnikov dell’FSB.

“Non rimarrà nulla del nemico”

Con la sua panoplia di missili ipersonici, la Russia può mettere fuori pericolo, in poche ore, tutti i ponti, i porti, gli aeroporti della NATO, nonché le centrali elettriche, gli impianti di stoccaggio di petrolio e gas naturale, le compagnie petrolifere e del gas a Rotterdam. Tutte le apparecchiature per la generazione di energia del paese della NATO sarebbero distrutte. L’Europa sarebbe tagliata fuori dalle sue risorse naturali. Un Impero disorientato e confuso non sarebbe in grado di inviare truppe, nessuna truppa, in Europa.

E le provocazioni continuano senza sosta. Il recente attacco dei droni ucraini Tu-141 alla base aerea Engels-2 è stato attribuito da Mosca a Kiev, che, com’era prevedibile, ha negato ogni responsabilità. Ma ciò che conta davvero è il messaggio strategico di Mosca agli Stati Uniti e alla NATO, con Putin che flirta con l’idea che prima o poi la risposta potrebbe essere intensificata di un livello nel caso in cui le armi fornite da Stati Uniti e NATO a Kiev fossero utilizzate per colpire profondamente il delicato territorio della Federazione Russa.

L’attuale dottrina russa consente persino a Mosca di rispondere con attacchi nucleari; dopotutto, la base aerea Engels-2 ospita bombardieri nucleari, risorse strategiche fondamentali.

I droni sono stati sicuramente lanciati da agenti infiltrati all’interno del territorio russo. Se provenissero dall’esterno della Russia e fossero stati interpretati come missili nucleari, avrebbero potuto innescare centinaia di missili nucleari russi da lanciare contro la NATO.

Lo stesso Putin lo ha chiarito – cupamente – al vertice del Consiglio economico dell’Eurasia a Bishkek, in Kirghizistan, una settimana fa:

« Ti assicuro che dopo che il sistema di allerta precoce avrà ricevuto il segnale di un attacco missilistico, centinaia dei nostri missili saranno in aria (…) È impossibile fermarli (…) Non rimarrà nulla del nemico, perché è impossibile intercettare un centinaio di missili. Questo, ovviamente, è un deterrente, un serio deterrente ‘.

Non, ovviamente, per la banda di straussiani e neocon che attualmente dirige la “politica” estera americana.

Non c’è da stupirsi che fonti affidabili dell’intelligence russa abbiano stabilito che i missili che hanno colpito Engels-2 sono stati lanciati localmente, anche se il regime di Kiev vorrebbe credere il contrario.

E questo trasforma l’intera sciarada in una farsa dadaista – con un Impero stordito e confuso ancora legato a un maniaco di Kiev che crede ancora che l’S-300 ucraino che ha colpito la Polonia provenga dalla Russia. Il mondo intero – non solo Washington – è tenuto in ostaggio da una maniaca “persona dell’anno” che ha il potere – virtuale – di provocare una guerra nucleare globale…

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Dopo Angela Merkel, la confessione di François Hollande: Gli accordi di Minsk, inganno dell’Occidente?

(da RT Francia)

In un’intervista al Kyiv Independent, Hollande ha affermato che gli accordi di Minsk avevano portato la Russia in territorio diplomatico, dando all’esercito di Kiev il tempo di rafforzarsi. Una confessione che contraddice le pacifiche dichiarazioni dell’epoca.

« Mentre Vladimir Putin avanzava nel Donbass usando i separatisti filo-russi (…) lo abbiamo portato ad accettare il formato Normandia e venire a Minsk per i negoziati “: otto anni dopo gli accordi di Minsk, François Hollande ha risposto al Kiev indipendente per difendere il suo record.

L’ex presidente francese si è schierato con Angela Merkel che, il 7 dicembre in a intervista a Die Zeit, ha affermato che gli accordi di Minsk erano stati un tentativo di dare tempo all’Ucraina rafforzarsi militarmente per un futuro confronto con Mosca.

Ufficialmente, questi accordi firmati il ​​5 settembre 2014 erano stati conclusi con l’obiettivo dichiarato di ristabilire la pace tra Kiev e le Repubbliche del Donbass. Il loro conflitto ha ucciso quasi 15 persone (civili e militari) tra il 000 e il 2014.

Alla domanda se i negoziati di Minsk avessero lo scopo di ritardare l’avanzata russa in Ucraina, François Hollande ha risposto affermativamente: “ sì, Angela Merkel ha ragione su questo punto. Gli accordi di Minsk hanno fermato l’offensiva russa per un certo periodo. Ciò che era importante era come l’Occidente avrebbe utilizzato questa tregua per prevenire eventuali successivi tentativi russi ‘.

Hollande afferma di aver consentito il rafforzamento dell’esercito ucraino

Una tregua di cui l’Occidente e Kiev sembrano aver approfittato: Dal 2014 l’Ucraina ha rafforzato le proprie capacità militari. In effetti, l’esercito ucraino è completamente diverso da quello del 2014. È meglio addestrato e meglio equipaggiato. È merito degli accordi di Minsk se hanno offerto questa opportunità all’esercito ucraino ‘.

Secondo lui, quest’ultimo avrebbe anche impedito ” l’area controllata dai separatisti ad espandersi “. Nell’inverno del 2015, questi erano alle porte di Mariupol e avevano appena vinto due battaglie decisive, riconquistando l’aeroporto di Donetsk e la città di Debaltsevo.

Deplorando le divisioni all’interno dell’UE e l’ambiguità tedesca rifiutandosi di mettere in discussione il gasdotto Nord Stream 2 “, François Hollande riferisce oggi di essere favorevole al massimo delle sanzioni, ricordando che lui stesso aveva annullato la vendita delle navi Mistral alla Russia nel 2014.

Nel 2022 la fiducia tra Mosca e l’Occidente è scomparsa

Stranamente, François Hollande, che ritiene necessaria una soluzione duratura per la pace in Ucraina, conclude il suo intervento affermando che ” gli accordi di Minsk possono essere rilanciati per stabilire un quadro giuridico già accettato da tutte le parti ‘.

La confessione di Angela Merkel ha già provocato una forte reazione da parte del presidente russo Vladimir Putin lo scorso 9 dicembre. ” La fiducia è quasi inesistente, ma dopo affermazioni del genere sorge una questione di fiducia: come negoziare, su cosa, e se è possibile negoziare con qualcuno, quali sono le garanzie? ha chiesto pubblicamente il leader russo.

« Speravo ancora che le altre parti coinvolte in questo processo fossero sincere con noi. È venuto fuori che ci stavano tradendo anche loro. Si trattava solo di rafforzare l’Ucraina con le armi, preparandola per le ostilità “, Ha aggiunto. Vladimir Putin ha poi stimato che alla luce di questi nuovi elementi, Mosca avrebbe ” forse ha dovuto lanciare prima la sua operazione militare in Ucraina, sottolineando che la Russia da parte sua sperava di poter risolvere il conflitto nel Donbass attraverso gli accordi di Minsk.

fonte: RT Francia

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Lo Xi dell’Arabia e l’ascesa di Petroyuan – Pepe Escobar

Xi Jinping ha fatto un’offerta difficile da ignorare per la penisola arabica: la Cina sarà l’acquirente garantito del vostro petrolio e gas, ma noi pagheremo in yuan.

Sarebbe così allettante chiamare il presidente cinese Xi Jinping in arrivo a Riyadh una settimana fa, accolto con fanfara reale, lo Xi d’Arabia che proclama l’alba dell’era petroyuan.

Ma è più complicato di così. Mentre si applica il cambiamento sismico implicito nel movimento petroyuan, la diplomazia cinese è troppo sofisticata per impegnarsi in uno scontro diretto, specialmente con un impero ferito e feroce. Quindi c’è molto di più in corso qui di quanto si possa vedere (in Eurasia).

L’annuncio di Xi d’Arabia è stato un prodigio di finezza: è stato presentato come l’internazionalizzazione dello yuan. Ora, ha detto Xi, la Cina utilizzerà lo yuan per il commercio di petrolio, attraverso la Borsa nazionale del petrolio e del gas di Shanghai, e ha invitato le monarchie del Golfo Persico a salire a bordo. Quasi l’80% degli scambi nel mercato globale del petrolio continua ad avere un prezzo in dollari USA.

Apparentemente, Xi d’Arabia e la sua numerosa delegazione cinese di funzionari governativi e imprenditori si sono incontrati con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) per promuovere un aumento del commercio. Pechino ha promesso importare petrolio greggio in modo consistente e in grandi quantità dal GCC “. E lo stesso vale per il gas naturale.

Negli ultimi cinque anni, la Cina è stata il più grande importatore mondiale di greggio, metà dalla penisola arabica e più di un quarto dall’Arabia Saudita. Non c’è da stupirsi, quindi, che il preludio al sontuoso benvenuto di Xi dall’Arabia a Riyadh sia stato uno speciale editoriale che ampliava la portata degli scambi e lodava le crescenti partnership strategiche/commerciali in tutto il GCC, integrato da ” Comunicazioni 5G, nuove energie, spazio ed economia digitale ‘.

Lo ha detto il ministro degli Esteri Wang Yi insistette sulla “scelta strategica” di Cina e Arabia Saudita. Sono stati debitamente firmati accordi commerciali per un valore di oltre 30 miliardi di dollari, molti dei quali sono collegati agli ambiziosi progetti della Belt and Road Initiative (BRI) della Cina.

E questo ci porta alle due connessioni chiave stabilite da Xi d’Arabia: la BRI e la Shanghai Cooperation Organization (SCO).

Le Vie della Seta Arabe

La BRI riceverà un forte impulso da Pechino nel 2023, con il ritorno del Belt and Road Forum. I primi due forum semestrali si sono svolti nel 2017 e nel 2019. Nel 2021 non è successo nulla a causa della rigida politica zero-covid della Cina, ora a tutti gli effetti abbandonata.

Il 2023 è un anno significativo perché la BRI è stata lanciata dieci anni fa da Xi, prima in Asia centrale (Astana), poi nel sud-est asiatico (Jakarta).

La BRI non è solo l’incarnazione di un movimento commerciale e di connettività trans-eurasiatico complesso e sfaccettato, ma anche il concetto generale della politica estera cinese, almeno fino alla metà del 2023° secolo. Si prevede quindi che il forum del XNUMX proponga una serie di progetti nuovi e rinnovati adatti a un mondo post-Covid e indebitato, e in particolare alla sfera geopolitica e geoeconomica carica di atlantismo contro l’eurasiatismo.

È anche significativo che Xi dall’Arabia a dicembre abbia seguito Xi da Samarcanda a settembre – il suo primo viaggio all’estero post-Covid, per il vertice SCO a cui l’Iran ha aderito formalmente come membro. Nel 2021, Cina e Iran hanno concluso un accordo di partenariato strategico di 25 anni, che potrebbe portare a investimenti per 400 miliardi di dollari. Questo è l’altro nodo della strategia cinese in Asia occidentale, che ha due componenti.

I nove membri permanenti della SCO rappresentano oggi il 40% della popolazione mondiale. Una delle loro decisioni principali a Samarcanda è stata quella di aumentare il commercio bilaterale e il commercio complessivo nelle proprie valute.

E questo ci riporta a ciò che sta accadendo a Bishkek, Kirghizistan, in perfetta sincronia con Riyadh: l’incontro del Consiglio economico supremo eurasiatico, l’organo di attuazione delle politiche dell’Unione economica eurasiatica (EAEU).

Il presidente russo Vladimir Putin, in visita in Kirghizistan, non avrebbe potuto essere di più dirette ” Il lavoro è stato accelerato nel contesto della transizione alle valute nazionali negli accordi reciproci… È iniziato il processo di creazione di un’infrastruttura di pagamento comune e di integrazione dei sistemi nazionali di trasmissione delle informazioni finanziarie ‘.

Il prossimo Consiglio economico supremo dell’Eurasia si svolgerà in Russia nel maggio 2023, prima del Belt and Road Forum. Considerando tutti questi eventi, abbiamo le caratteristiche della prossima roadmap geo-economica: l’evoluzione verso il petroyuan sta avvenendo parallelamente all’evoluzione verso una “infrastruttura di pagamento comune” e, soprattutto, una nuova valuta alternativa che scavalchi il Dollaro Americano…

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La Russia non poteva lasciare che il nemico scegliesse il momento dell’offensiva

Così poche persone di sinistra in buona fede possono oggi negare il fatto che da anni la NATO si prepara alla guerra contro la Russia, ha adottato una strategia di smantellamento sul modello dell’URSS e ha accumulato ai suoi confini un arsenale nucleare compreso, la questione si discute sull’opportunità dell’intervento russo in Ucraina. Mentre scopriamo che gli Stati Uniti stanno conducendo una guerra per procura di cui l’Europa sta pagando il prezzo e fino a che punto Hollande e Merkel hanno accettato di fare questo gioco, il modo in cui hanno abusato della buona fede russa nell’applicazione degli accordi di Minsk, continuare a denunciare l’”aggressione” russa è un modo per continuare a liquidare la NATO e le sue vittime schiena contro schiena, un atteggiamento in cui eccellono i peggio venduti alla NATO. Quindi ecco gli argomenti russi contro tali accuse.

Daniele Bleitrach

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da Igor Karaulov

Nel 2022 ci troviamo in una realtà completamente nuova. Oggi, mentre l’anno volge al termine, possiamo già apprezzare da una certa distanza storica l’evento che ha definito quella realtà: l’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina il 24 febbraio.

La storia, ci assicurano, non si scrive al condizionale, ma tutti vogliamo capire lo stesso: questa decisione era inevitabile e senza alternative? Era possibile non fare nulla e vivere come prima? Se solo fosse stato possibile! Migliaia di vite sarebbero state salvate, decine di migliaia di persone sarebbero rimaste nel Paese, i legami internazionali e interpersonali non sarebbero crollati…

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo tornare un po’ indietro, a quegli otto anni che, davanti ai nostri occhi, sono diventati nove. Gli eventi di questo periodo hanno una serie di punti di svolta, ma ci concentreremo principalmente su un giorno, il 21 febbraio 2014.

Quel giorno è stato firmato un “accordo sulla risoluzione della crisi politica in Ucraina” tra i leader di Euromaidan e il presidente Viktor Yanukovich, che prevedeva in particolare elezioni presidenziali anticipate entro la fine dell’anno. L’accordo ha permesso di svelare pacificamente il nocciolo del conflitto civile, garantire un agevole trasferimento del potere (molto probabilmente allo stesso Petro Poroshenko), sviluppare silenziosamente meccanismi per proteggere i diritti della popolazione e mantenere la legittimità dello ‘Stato. Allo stesso tempo, la Crimea e il Donbass sarebbero rimasti senza dubbio nelle mani degli ucraini.

L’affare è durato solo poche ore. Quella stessa sera, l’opposizione ha organizzato un colpo di stato, il signor Yanukovich è fuggito e la Verkhovna Rada “rivoluzionaria” ha prima abrogato la legge sulla lingua, che concedeva alcuni diritti alla lingua russa.

I garanti dell’accordo del 21 febbraio erano gli ambasciatori tedesco e polacco e un alto rappresentante francese. Dopo il colpo di stato, i paesi garanti non hanno nemmeno tentato di far rispettare l’accordo. Non ne avevano bisogno. Per un motivo o per l’altro, erano interessati alla via più traumatica per uscire dal conflitto, rompendo la legittimità. Inoltre, avevano un interesse diretto in una disputa territoriale tra Russia e Ucraina. Volevano a tutti i costi creare un cuneo tra le nazioni fraterne.

L’Ucraina contemporaneamente 1) ha perso la sua legittimità e 2) si è dichiarata un’etnocrazia anti-russa. In queste condizioni, le regioni ucraine che si sentivano attratte dalla Russia non potevano che indignarsi e la Russia poteva solo reagire. L’incapacità di proteggere i russi in Ucraina avrebbe inevitabilmente portato a una caduta dell’autorità del governo russo, o addirittura alla disintegrazione dello stato. La Russia si sarebbe mostrata non come una potenza ma come un “territorio” che non ha basi interne per la sua esistenza e che quindi sopravvive solo fintanto che alcune delle sue terre non sono necessarie alla comunità occidentale guidata dagli Stati Uniti. La Russia doveva agire, ed è chiaro che nel 2014 ha agito nella misura minima necessaria per la sua autoconservazione.

Abbiamo visto quanto valevano allora le garanzie degli Stati occidentali, il 21 febbraio 2014. C’è stato il referendum in Crimea, che ha corretto l’errore di Krusciov, e la guerra per l’indipendenza della DNR e della NRL, durante la quale la coscienza nazionale di gli abitanti del Donbass sono cambiati radicalmente in pochi mesi: ex regione ucraina, pur avendo caratteristiche proprie, il Donbass non solo ha legato il suo destino alla Russia, ma ne è diventato anche il cuore spirituale. Poi ci sono stati gli accordi di Minsk, la cui cronica mancata attuazione è stata una delle ragioni del lancio dell’Operazione Speciale.

Ora, dopo la rivelazione di Angela Merkel che nessuno aveva alcuna intenzione di attuare gli accordi di Minsk e che erano necessari solo per armare l’Ucraina e rafforzare il suo esercito, comprendiamo meglio il comportamento delle potenze europee all’epoca del golpe di kyiv. L’obiettivo era chiaro: l’Ucraina doveva diventare il peggior nemico della Russia. In primo luogo, per attirare prima o poi l’Ucraina nella NATO, per posizionare i missili della NATO a poche centinaia di chilometri da Mosca. In secondo luogo, combattere la Russia con gli ucraini, se necessario: preziose vite europee non sarebbero state sacrificate sul nuovo fronte orientale. Per gli stessi motivi, a quanto pare, l’Occidente non era interessato allo sviluppo dell’economia ucraina: una popolazione povera è più disposta a diventare carne da macello…

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In Ucraina si ripete il massacro della guerra civile spagnola (Piccole Note)

Alain Juillet è stato a capo dell’intelligence francese, la DGSE. Ormai ex, continua a prestare i suoi servigi altrove, non dimentico del suo passato. Più che interessante l’intervista sulla guerra ucraina rilasciata a Mondafrique, nella quale, pur bruciando un po’ d’incenso alla narrativa ufficiale, rivela cose. Ne riportiamo ampi stralci.

Nessuno, lo scorso febbraio, si aspettava l’attacco russo, inizia Juillet, e lo spiega così: “I Servizi francesi, come gli altri, hanno detto: ‘Ci sono tensioni molto forti, ma attenzione, non c’è un vero rischio’. Ci viene detto: ‘Sì, ma gli americani l’avevano previsto’. È normale che lo avessero previsto e per due motivi: primo, sono loro che lo hanno provocato. Sono loro che l’hanno indiscutibilmente provocato, che hanno fatto di tutto, dal 2014, per portare la Russia in guerra. Certo, la Russia non avrebbe dovuto farlo, ha commesso un errore colossale. Ma gli americani hanno fatto di tutto per arrivare a questo”.

L’intelligence europea non aveva creduto agli avvertimenti, continua, perché “tutti i servizi occidentali sanno che gli americani ci mentono regolarmente. Ricorda l’Iraq, dove volevano farci credere, per fare la guerra, che Saddam Hussein aveva la bomba nucleare. Ricorda cosa è successo in Siria, ricorda cosa è successo in Afghanistan. Gli americani ci hanno sempre manipolato. Quindi adesso i Servizi europei sono diffidenti”.

Putin e l’operazione militare speciale

“Devi capire cosa è successo. All’inizio, il fatto che Putin la chiami ‘operazione speciale’ è un dato rivelatore. Lui dice: ‘Stiamo facendo un’operazione speciale, ma non una guerra, e mandiamo 150.000 uomini’. Ogni soldato sa che in una guerra, in un attacco, bisogna essere tre volte più numerosi dei difensori. Se affronto i quattrocentomila uomini dell’esercito ucraino, devo attaccare con un milione e duecentomila uomini per avere una ragionevole possibilità o per essere sicuro di vincere. Ma [Putin] attacca con 150.000 uomini, vale a dire molti meno di quanti ne schierava l’Ucraina… vuol dire due cose […]: la prima è che non aveva nessuna intenzione di fare una guerra su ampia scala e la seconda è che non doveva durare a lungo”.

Quindi racconta l’inizio della guerra, di come l’attacco a Kiev fallisce perché Putin avrebbe sottostimato il nemico e per altro. Da cui il ritiro e il conflitto che si sposta nel Donbass. “È ovvio – spiega Juillet – che il confine per Putin è il Dnepr, che separa la parte di lingua russa da quella ucraina. Si ritirano dall’altra parte del Dnepr perché, se avessero lasciato i soldati a Kherson, nella parte occidentale, in inverno sarebbe stata una Stalingrado […]. Quindi ripiegano. E questo è buono per tutti. Sorgono molte domande su come siano riusciti a fare questo ritiro, tanto complesso, senza essere attaccati!”

“Quindi, oggi siamo in una situazione stabilizzata, con i russi che tengono tutta la zona che volevano controllare tranne quella centrale, dove si sta ancora combattendo davvero, verso Bakhmout, dove si continuerà a lottare, perché l’obiettivo dei russi è colpire come un fulmine al centro del dispositivo, per avvicinarsi a Kramatorsk. Per il resto le posizioni non si sposteranno”.

“Cosa succederà adesso? Arrivano sul campo i 300.000 russi mobilitati successivamente. Il che significa che ci ritroveremo, alla fine dell’inverno, con un’equivalenza dal punto di vista militare. Di qui la posizione del Generale Miller, Capo delle Forze Armate americane, che ha detto, anche di recente, che è tempo di negoziare, perché si sta entrando in una situazione assimilabile a un impasse strategico’”.

“[…] Alcuni dicono: ‘L’esercito russo non ha più armi’. È sbagliato ! Le trovano, le hanno in Russia e le comprano altrove…”. Le bombe scadute, quando ti cadono in testa, sono ancora bombe… Devi smetterla di fantasticare. Gli europei spesso confondono i loro desideri con la realtà“.

Quindi, dopo aver spiegato che russi sanno combattere come gli ucraini, al contrario di quanto riferiscono i media, aggiunge: “Dobbiamo smetterla di fantasticare sul fatto che il nemico ‘è malato, è pazzo, è stupido, non ha equipaggiamento’ e di ripetere che ‘i nostri sono formidabili’. Non è vero. Oggi, purtroppo, siamo invischiati una guerra durissima, nella quale soffrono entrambe le parti e dove è ovvio che non ci può essere un vincitore, nessun vero vincitore. Quindi dobbiamo trovare una soluzione”…

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La guerra logora anche chi non la fa – Gianandrea Gaiani

Costi finanziari alle stelle come i consumi di armi e munizioni per una guerra che sembra lontana dal concludersi e che i russi sembrano per ora voler combattere sulla difensiva con l’obiettivo di logorare gli ucraini e soprattutto i loro alleati.

Se Kiev cerca di arruolare altre truppe per alimentare nuove offensive tese a riconquistare i territori perduti, in Europa e Occidente si cominciano a valutare le difficoltà a mantenere l’alimentazione delle forze ucraine a un ritmo sostenibile nel tempo. Gli Stati Uniti valutano se trasferire o meno all’Ucraina i missili da difesa aerea a lungo raggio Patriot per fornire un maggiore contributo al contrasto degli attacchi missilistici russi che stanno demolendo progressivamente tutte le infrastrutture energetiche del nemico.

Obiettivi legittimi in guerra (del resto bersagli di questo tipo sono stati sempre al centro del mirino di tutte le guerre occidentali, dall’Iraq alla Serbia alla Libia), la cui distruzione sta comportando gravi difficoltà allo sforzo bellico ucraino (senza energia trasporti, industrie e reti informatiche non funzionano) peggiorando sensibilmente anche le condizioni di vita della popolazione che deve affrontare un inverno durissimo.

L’assenza o la penuria di energia potrebbe mettere a dura prova il consenso nei confronti del governo e del presidente Volodymyr Zelensky che già da tempo ha messo fuori legge ogni forma di opposizione chiudendo televisioni, giornali e ben 12 partiti di opposizione e punendo per legge persino chiunque osi esprimersi a favore di negoziati di pace.

Elementi che confermano come la guerra in atto sia anche una guerra civile, con milioni di cittadini ucraini schierati dalla parte dei russi e decine di migliaia che combattono al fianco delle forze di Mosca. L’offensiva missilistica contro le infrastrutture mira anche a complicare la situazione nei paesi europei, a tutti gli effetti ormai “nazioni ostili” per i russi, poiché è evidente che milioni di civili ucraini privi di luce, acqua e riscaldamento potrebbero cercare un rifugio sicuro e caldo a ovest, in un’Europa già in difficoltà per la sciagurata gestione della guerra e della crisi energetica (che secondo Bloomberg è già costata all’Unione mille miliardi di dollari) da parte della Commissione Ue che già oggi vede ridursi pericolosamente le riserve di gas.

Patriot in Ucraina?

Un contesto in cui ben si inserisce la vicenda dei missili Patriot chiesti da Kiev. La prima a proporre di metterli in campo è stata la Germania che voleva però schierarli in Polonia per “prevenire” sconfinamenti di missili russi nel territorio dell’alleato membro della NATO.

Evidentemente un pretesto anche perché finora in Polonia è caduto solo un missile terra-aria ucraino appartenente a un sistema S-300. Berlino, dopo aver colto i potenziali rischi di un maggiore e diretto coinvolgimento nella guerra contro la Russia e aver recepito le minacce russe di rappresaglia, il 6 dicembre ha risposto picche alla proposta polacca di dispiegare in Ucraina i Patriot.

Il ministro della Difesa di Varsavia, Mariusz Blaszczak, si è detto “deluso” dalla decisione di Berlino, dopo aver parlato con il suo omologo tedesco, Christine Lambrecht.

I polacchi non avranno disponibili i Patriot che hanno ordinato agli USA ancora per molto tempo e sono quindi gli Stati Uniti oggi a dover gestire la “patata bollente”, tra indiscrezioni stampa che danno per imminente la consegna di due batterie e Il Presidente Joe Biden che il 16 dicembre ha affermato che una decisione verrà presa presto.

Difficile però credere che simili armi vengano lasciate nelle mani degli ucraini ma è verisimile che nel caso vengano gestite in Ucraina da militari o contractors statunitensi o di altri stati membri della NATO, peraltro già 0resenti con migliaia di effettivi in Ucraina.

La necessità di potenziare le difese aeree ucraine rimane del resto una priorità per l’Occidente e nei giorni scorsi sono circolate le voci circa la consegna di un altro sistema tedesco IRIS-T e di due SAMP/T, uno francese e uno fornito dall’Italia, come hanno rivelato fonti francesi (in barba all’inutile e paradossale segreto posto da Roma sulle forniture militari all’Ucraina). Si tratta di sistemi prelevati direttamente dalle dotazioni dell’aeronautica francese e dell’esercito italiano che si aggiungono ai vecchi Hawk spagnoli e forse ai sistemi Aspide/Spada italiani: armi piuttosto anziane e da tempo “scadute”, il cui impiego quindi non può offrire garanzie di efficacia e sicurezza…

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Sempre più armi – Guido Viale

Le macchine sono fatte per essere usate. Nessun imprenditore farebbe un investimento in impianti e attrezzature per poi lasciarle ferme senza produrre ciò a cui erano destinate. Il principale investimento in impianti e attrezzature degli Stati odierni, nel Nord come nel Sud del mondo, è da tempo quello in armi, macchine per uccidere. Le armi diventano obsolete in fretta e vogliono essere usate perché se ne possano produrre e comprare di nuove. Il modo più spiccio per sbarazzarsi delle armi vecchie è la guerra, che è il “prodotto” a cui sono destinate tutti gli investimenti in armi. Questo spiega come mai, gli Stati Uniti, il principale investitore in armi del mondo, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi non siano mai stati fermi e abbiano promosso o partecipato a quasi 200 tra guerre e conflitti armati.

Le macchine in cui le imprese investono i loro capitali hanno progressivamente preso il sopravvento sugli operai addetti al loro funzionamento, che, anche se indispensabili – senza il loro lavoro non c’è pluslavoro, plusvalore, profitto – ne sono sempre di più delle mere appendici.

Le macchine per fare le guerre di oggi non sono semplici apparecchiature, come cannoni, carri armati, blindati, aerei, razzi, navi, ma “sistemi d’arma”: non potrebbero funzionare senza reti dove telematica, sensori, radar, satelliti, radar, control room, ecc. effettuano non solo una rilevazione continua del campo delle operazioni, ma le programmano e le guidano. E queste reti coinvolgono migliaia o milioni di altre apparecchiature, con i relativi addetti macchina.

In queste condizioni i soldati, indipendentemente dal fatto che siano andati in guerra costretti o per scelta (nella migliore delle ipotesi, cioè quando non sono semplice carne da macello mandata allo sbaraglio), non sono che meri addetti macchina; appendici dei “sistemi d’arma” il cui controllo è nelle mani di chi la guerra la conduce, anche da remoto, e che non potrebbero funzionare senza l’assistenza continua di chi le produce e le vende.

Le sorti della guerra – ma anche il suo inizio e la sua conclusione – sono decise dalle macchine, cioè da chi le produce e le controlla, per lo meno fino a che ci sono degli addetti macchina che accettano disciplinatamente il loro ruolo. Se questi scompaiono, perché decimati o perché si ribellano, anche le macchine si fermano. E con esse la guerra. Non stiamo parlando di fucili, granate, mitragliatrici e bazooka e nemmeno delle loro versioni più moderne, bensì di attrezzature il cui consumo dall’andamento esponenziale sta svuotando gli arsenali e mettendo sotto stress persino le capacità produttive della più grande potenza del mondo, a un ritmo che supera le sue stesse previsioni.

Quando le macchine con cui si fa la guerra prendono il controllo dei loro addetti tutta l’attività bellica viene “industrializzata”, così come nel corso degli anni sono state industrializzate l’agricoltura, la medicina, l’informazione, la cultura, lo sport, il divertimento, ecc. La guerra fatta con le macchine e dalle macchine ha una componente nascosta costituita sia dai piani di attacco, sia dai segreti industriali di chi produce le armi che vengono usate, sia dalle regole del loro funzionamento. Ma, come ci è stato spiegato fin dalla Prima Guerra Mondiale, richiede anche una componente pubblica: una “mobilitazione totale” delle popolazioni coinvolte – e non solo di quelle – possibile solo quando esse sono o vengono convinte che alla guerra “non c’è alternativa” (There is not alternative: sappiamo bene chi l’ha detto per prima e perché).

Nella misura in cui la guerra viene fatta con le macchine, la mancanza di alternative si traduce, e non può non tradursi, nella richiesta di sempre più macchine, di sempre più armi. Così, se ieri si trovava la richiesta di più armi nei post-it appesi in cucina con l’elenco di ciò che manca, oggi apprendiamo da un telegiornale, che riporta la notizia con entusiasmo, che nelle loro letterine a Babbo Natale anche i bambini ucraini chiedono una cosa sola: armi. Mancava Babbo Natale. Adesso è arrivato.

Il cerchio si chiude: nemmeno l’ubriacatura bellica che aveva accompagnato l’entrata in guerra dell’Italia nel primo e nel secondo conflitto mondiale era arrivata a tanto.

da qui

 

Il presepeGiuseppe Callegari

Puntuale, come ogni anno, si ripresenta la polemica sul presepe-sì-presepe-no, a seconda della sensibilità nei confronti di credo diversi. Confesso che qualche volta mi sono lasciato trascinare in tale logica, sostenendo la ragione che un presepe non può fare del male. Tuttavia credo che il problema debba essere affrontato da un altro punto di vista, partendo dalla considerazione che le religioni monoteiste, a differenza di quelle politeiste, si considerano le esclusive portatrici dell’unica verità. Secondo James Hilmann la differenza fra Mito e Religione consiste nel fatto che il primo è una narrazione e non pretende di essere la verità, mentre la seconda è rivelazione e si considera l’unica depositaria di una verità espressa da una fede che diventa foriera di prepotenze e scontri.

È innegabile il fatto che qualsiasi rapporto dialettico in cui non ci sia la disponibilità a modificare il proprio punto di vista e le proprie convinzioni può produrre solo gravi danni.

Infatti scrive ancora Hilmann nel libro Un terribile amore per la guerra: “La fede è la componente psicologica essenziale della religione. Senza la fede, preghiere, atti di devozione, sono gesti vuoti… Più forte è la fede, più prevale l’azione, più diventiamo motivati, più sicura e circoscritta diventa la nostra giustificazione di ciò che facciamo… La fede è la miccia che accende la forza archetipa di Marte e avvia l’imprevedibile, rovinoso corso della guerra”.

Quindi l’allestimento del presepe in spazi che non siano dedicati al culto diventa una dimostrazione di prepotenza che rappresenta il mondo di qualcuno come il mondo di tutti. E non mi pare esagerato affermare che si tratta di violenza, anche se non la si percepisce come tale perché si protrae da lungo tempo. E non sembrino esagerate queste affermazioni perché certamente si tratta di un granello di sabbia, ma che è in grado di proliferare proprio perché il presepe diventa uno dei lasciapassare per l’allargamento della terra di conquista. Alla stereotipata affermazione per la quale la rappresentazione di una natività non fa male a nessuno, che si può volgere lo sguardo e soprattutto che non sono questi i problemi del mondo, rispondo che tutto nasce dal modo in cui si vive la quotidianità e che l’intolleranza è la legittima prole della perdita del senso dell’altro, di chi, insieme a noi, condivide l’esperienza umana. E quando il rapporto è fondato sulla conversione e sulla colonizzazione si perpetua la logica del servo e del padrone, di chi comanda e di chi ubbidisce.

Il presepe costituisce un piccolo esempio, ma il particolare è un veritiero testimone del generale. In questo caso, il problema nasce e può originare il conflitto quando in una scuola pubblica siano presenti studenti di etnie e religioni diverse o semplicemente autoctoni non credenti, ai quali si propone il presepe come segno di fratellanza quando invece genera ulteriore divisione. Infatti sia un non cristiano, sia un non religioso possono percepire come un gesto di sfida la rappresentazione e l’adorazione di un dio diverso dal loro o inesistente e al quale bisogna credere per fede.

Quindi, per fede, si creano le condizioni per scatenare la guerra. Con buona pace della pace (appunto) e della fratellanza.

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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