Gustavo Gutierrez, la teologia della liberazione e noi…
… per un mondo dal volto umano.
di Giorgio Riolo
La recente scomparsa, il 22 ottobre, all’età di 96 anni, del peruviano quechua Gustavo Gutierrez ci induce a riprendere il discorso, per molti versi interrotto, sulla teologia della liberazione, sul dialogo cristiani e socialisti e comunisti, sul rapporto marxismo e cristianesimo, sul senso del proprio essere come soggetti del cambiamento.
Leonardo Boff giustamente ha definito Gutierrez “padre della teologia della liberazione”. Dal momento che la prima opera sistematica è sua. Nel 1970 nell’originale spagnolo, nel 1971 in Italia. Teologia della liberazione. Prospettive è questo libro a cui noi cristiani di base in Italia attingemmo subito. Naturalmente dopo la lezione di Marxismo e cristianesimo di Giulio Girardi e dopo le varie lettere, in primo luogo Lettera a una professoressa, di don Milani. Ma già nel 1968, con lo stesso Gutierrez, si cominciò a parlare della necessità di una teologia diversa. Nel 1969 Ruben Alves, protestante brasiliano, definì questa teologia “teologia della liberazione”.
Ma la radicale biforcazione nel senso di essere cristiani in quella fase storica era nell’aria da tempo. Così come, d’altra parte, era nell’aria la biforcazione nel senso dell’essere socialisti e comunisti. Dopo il passaggio traumatico dei fatti d’Ungheria nel 1956 e comunque dopo l’avvio della destalinizzazione.
Il vento purificatore del Concilio Vaticano II aveva soffiato e aveva liberato, aveva suscitato molte forze, molte coscienze, molto attivismo. La Chiesa istituzione, molto collusa con il potere, potere essa stessa, doveva fare i conti con la ripresa della tendenza mai sopita, mai cancellata, dal cristianesimo delle origini in avanti, attraverso le eresie, dello spirito autentico evangelico del Gesù storico, del Discorso della Montagna, del “fuori i mercanti dal Tempio”. Insomma la tradizione costantiniana della Chiesa doveva misurarsi con l’altra tradizione, apocalittica, liberatrice, “dal rovescio della storia” (Henrique Dussell), la Chiesa dei poveri, degli oppressi, degli esclusi.
Tutto in quella epoca storica sospingeva in avanti. Nel mondo e nelle coscienze. La decolonizzazione, l’irruzione del terzo mondo, dei movimenti di liberazione nazionale, la guerra in Vietnam, la critica del socialismo reale ecc.
Contemporaneamente altri esponenti cristiani, come il francescano Leonardo Boff in Brasile, parallelamente, ognuno nei loro luoghi di attività e di testimonianza, procedevano a elaborare questa teologia. Come “atto secondo”, essendo un derivato del retroterra economico, sociale, culturale della realtà latinoamericana. Del genocidio indio, della tratta degli schiavi neri e del loro supersfruttamento, dell’oppressione e della evangelizzazione forzata a opera dei colonizzatori cattolici spagnoli e portoghesi.
Subito questa corrente si configurò come “teologia della periferia”, del mondo offeso in America Latina in primo luogo, ma poi in altre periferie, in Africa e in Asia. La teologia india, la teologia negra (anche negli Usa), la teologia femminista ecc. sorsero proprio in relazione a questi settori oppressi “del rovescio della storia”. Compresi l’ambiente e la natura.
Il Nord del mondo è stato comunque investito. Anche sulla scia della nascita del movimento “cristiani per il socialismo”, avviato dapprima in Cile nel 1972. Nel 1973 si tenne in Italia il primo incontro del movimento a Bologna, con Giulio Girardi quale moderatore dell’assemblea.
L’osmosi tra queste dinamiche nel mondo cristiano, non solo cattolico, e le coeve dinamiche nei movimenti sociali antisistemici e nel mondo delle sinistre mondiali fu grande. La Chiesa istituzione con l’avvento al papato del reazionario Karol Wojtyla non tardò a reagire. Nel 1984 la teologia della liberazione fu messa sotto accusa. Accusata di essere il cavallo di troia del comunismo e del marxismo dentro la Chiesa e nel cristianesimo. Leonardo Boff fu convocato in Vaticano dall’allora capo del Sant’Uffizio (Congregazione per la dottrina della fede) Joseph Ratzinger e subì un processo-reprimenda. Lo stesso Gutierrez fu convocato, ma non subì la sorte di Boff poiché fu difeso dall’episcopato peruviano.
Lentamente, facendo riferimento al solo Brasile, le quasi 100.000 comunità ecclesiali di base (Ceb), coinvolgenti milioni di credenti cattolici, soprattutto poveri ed emarginati, in cui tanti sacerdoti, tanti vescovi e i due cardinali Arns e Lorscheider agivano come ispiratori, furono cancellate. Nel tempo, grazie a Reagan e ai dollari Usa, al loro posto in Brasile si sono insediate le chiese evangeliche di marca statunitense. La più consistente base di massa della recente avventura brasiliana del fascista Bolsonaro.
Boff a un certo punto ha dismesso il saio pur continuando la sua testimonianza cristiana e il suo intenso e prezioso impegno pacifista, ambientalista, a favore delle classi subalterne, altermondialista. Si dice che papa Francesco si sia ispirato molto al Boff del Grido della terra grido dei poveri nella sua enciclica Laudato si’. Nella quale, come espresso dall’origine dalla teologia della liberazione, la giustizia sociale viene connessa strettamente, organicamente alla giustizia ecologica-climatica.
Gutierrez, “uomo buono, semplice, umile, spiritoso”, come lo definisce Boff nell’articolo di commiato, ha continuato fino all’ultimo il suo lavoro tra i poveri e gli emarginati nelle comunità periferiche di Lima e ha continuato a scrivere articoli e libri.
La teologia della liberazione continua ad agire nelle realtà periferiche e nel mondo in generale, anche in movimenti cristiani con denominazioni diverse. È stata ed è molto attiva nei Forum Sociali Mondiali. Si diceva dell’osmosi. Essa ha preso molto, è stata influenzata dal contesto del pensiero e dell’azione dei movimenti di emancipazione, anche del marxismo e del socialismo-comunismo.
Il rapporto biunivoco è sempre valido. All’inverso, molto si può imparare dal versante del movimento operaio, dal movimento socialista e comunista, dai movimenti antisistemici contemporanei.
Un tempo, nel 1912, il giovane, non ancora marxista e comunista, György Lukács scriveva nel saggio Cultura estetica “Sembra essenziale al socialismo quella forza religiosa capace di riempire l’anima che distingueva il cristianesimo delle origini”.
Con un’ultima avvertenza importante per il credente, in questo tempo di ferro e di fuoco, di massacri, di genocidio. Soprattutto nella martoriata terra di Palestina. Il Dio dei Vangeli, e del Nuovo Testamento in generale, è misericordioso e compassionevole, è nella figura del Gesù storico, povero tra i poveri, annunciante “l’anno di misericordia del Signore”, l’anno dell’estinzione dei debiti, della libertà per i carcerati, della liberazione degli schiavi. Una rottura netta col Vecchio Testamento. Con il vendicativo, incitatore allo sterminio, dio delle schiere e degli eserciti, la divinità tribale YHWH, Jahvè.
Ringraziando Giorgio per questo bel ricordo di Gustavo Gutierrez, ero rimasto colpito, seguendo nei primi anni ’90 la rivista ” Amancer”, da questa affermazione decisamente controcorrente rispetto alla presunta fine della storia veicolata in particolare da F.Fukuyama: ” il capitalismo è una teologia di morte, il socialismo è una teologia di vita “. Un’ affermazione decisamente ” profetica”, se solo pensiamo all’intrinseca distruttività del modo di produzione capitalistico, con tutti i risvolti di cui siamo tristi spettatori.