Hasta la Paz – I parte

Viaggio nella Comunità di Pace di San Josè de Apartadò

di Nelly Bocchi

La Comunità di Pace è un’organizzazione informale della società civile costituitasi il 23 marzo 1997 a seguito di due massacri ad opera dei militari avvenuti nel settembre 1996 e nel febbraio
1997.I membri della Comunità si impegnano a: non partecipare alla guerra, direttamente o indirettamente; non portare armi; denunciare pubblicamente le violazioni dei diritti umani commesse da qualsiasi gruppo armato; partecipare al lavoro comunitario; non reagire alla violenza con la violenza.
E’ diretta da un Consejo Interno (Consiglio Interno) formato da 8 membri. Attualmente il rappresentante legale della comunità è German Graciano (per ulteriori informazioni si rimanda al
sito internet in lingua spagnola www.cdpsanjose.org).
Si trova in un territorio molto esteso ed impervio, caratterizzato in gran parte da montagne e foreste nella zona nord-ovest della Colombia, nel dipartimento di Antioquia, regione di Urabà, municipio di Apartadò. Quest’area, per la sua posizione geostrategica e per gli interessi economici presenti nella zona è diventata, dagli anni ’70, terreno di scontro tra le FARC e l’esercito colombiano ed è caratterizzata da una forte presenza di paramilitari. In tale contesto la scelta di vivere nella Comunità comporta il rischio quotidiano della propria vita, come dimostra l’alto numero di vittime registrato al suo interno. Nonostante questo i suoi membri non hanno sentimenti di odio né di vendetta, non progettano azioni armate per farsi giustizia da soli, ma vanno avanti con determinazione, resistendo e chiedendo solo dignità e rispetto. E’ questo che ne fa un’esperienza nonviolenta particolarissima che merita assolutamente di essere sostenuta.
In un contesto in cui i servizi dello stato e le istituzioni sono quasi completamente assenti, la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò è l’unica realtà di organizzazione civile in grado di
resistere in questo ambiente di pressione e di violenza e di autosostenersi economicamente.
La Comunità è solidale con tutta la popolazione civile della zona. Chiunque non faccia direttamente riferimento a qualche gruppo armato si rivolge alla Comunità per qualsiasi necessità. Molte persone si rivolgono infatti alla Comunità, pur non facendone parte, per esigenze legate ai bisogni primari, per cercare protezione dalla violenza e per emergenze di ogni genere.
“Non ci arrendiamo davanti alle armi, noi continueremo a resistere uniti contro la guerra” sono le parole dell’ex rappresentante legale e membro del Consejo interno, Jesus Emilio Tuberquia, cittadino onorario di Fidenza. Come risultato di questa scelta di nonviolenza attiva fino ad oggi sono stati assassinati più di 300 membri della Comunità, per la maggior parte in modo terribilmente cruento, 348 sono state le minacce di morte, 100 i casi di tortura, 200 i casi di false accuse , 50 gli
sfollamenti collettivi, in 324 occasioni i paramilitari hanno occupato gli spazi della Comunità in stretta coordinazione con l’esercito e in 186 occasioni è stato l’esercito a fare la stessa cosa. Tra il 2001 e il 2003 anche vari autisti di chiveros sono stati uccisi affinché non arrivassero alla Comunità i viveri, senza contare stupri, uccisioni di animali domestici della Comunità, distruzioni di case e raccolti, sparizioni forzate, minacce. A tutto ciò si devono aggiungere campagne di diffamazione, come quella dell’ex presidente Uribe, per la quale la Corte Costituzionale ha
obbligato la presidenza a ritrattare e più recentemente quella ad opera del colonnello Rojas, che, usando i mezzi di informazione, ha diffamato non solo la Comunità, ma anche gli accompagnati
internazionali. Ma il più orribile degli attacchi alla Comunità di pace si è verificato il 21 febbraio 2005 a Mulatos, quando la XVII Brigata dell’esercito ha ucciso otto persone,tra cui il leader storico Luis Eduardo Guerra la metà delle quali erano bambini, mutilandone poi i corpi. Dopo cinque anni, il capitano dell’esercito Guillermo Armando Gordillo Sánchez, che in quel periodo era al comando delle operazioni, ha ammesso la propria responsabilità per le uccisioni ed è stato condannato a 20 anni di carcere. Altri 10 militari chiamati in causa dal capitano Gordillo Sánchez sono stati prosciolti. In un procedimento parallelo, sono stati condannati 14 paramilitari e sei sono andati assolti.
Dal 2005 a oggi, lo stillicidio di uccisioni, agguati, minacce, intimidazioni, stupri, torture, aggressioni, irruzioni villaggio per villaggio, casa per casa è proseguito, nonostante il 6 febbraio
2008 la Corte interamericana dei diritti umani abbia ordinato al governo colombiano di prendere misure concrete e immediate per garantire l’incolumità di tutte le persone che fanno parte della
Comunità di pace. I 20 villaggi appartenenti alla Comunità sono circondati da basi dei paramilitari e da varie caserme dell’esercito .E non è servito a nulla nemmeno il “perdono ufficiale ” chiesto dal presidente Santos alla Comunità, gran parte delle violazioni dei diritti umani denunciate dalla Comunità rimangono tuttora impunite.

Il nostro viaggio
22 dicembre (San Josecito)

Arriviamo a San Josecito di primo mattino. Dall’aeroporto e per tutto il tragitto ci sono interminabili monocolture di banano, ci diranno poi appartenere, attraverso dei prestanome, alla multinazionale Chiquita Brands, condannata qualche anno fa da un tribunale nordamericano a pagare una multa, per il suo comprovato sostegno economico al paramilitarismo. Dopo un’ora di taxi, finalmente varchiamo il cancello della Comunità, ci accolgono i volontari di Operazione Colomba e Jesus Emilio. In fretta Marco e Sara si preparano per andare a Mulatos, il cuore della Comunità, dove celebreranno il Natale e dove ricorderanno l’eccidio di Luis Eduardo Guerra e la sua famiglia. Molti membri della Comunità sono già partiti insieme a Padre Javier, gli altri hanno aspettato Marco e Sara per le 8 ore di cammino a piedi.
Io rimango, per i primi 3 giorni insieme a Monica ed Enrico di Operazione Colomba e a coloro che non riescono a raggiungere la vereda, perché anziani o perché hanno figli troppo piccini. Anche Brigida rimane a casa e trascorro con lei tutto il pomeriggio. Nella sua casa, piena di fiori, è seduta nella veranda a disegnare la storia della Comunità. Ha le trecce lunghe, imbiancate dall’età e dai tanti dolori che hanno segnato la sua vita. Una vita di lotta e di resistenza. Comunista, sindacalista
dei lavoratori delle bananeras, membro della Union Patriotica, è una della fondatrici della Comunità di pace. Mi siedo vicino a lei, mentre prepara i suoi piccoli quadri, lei parla, io scrivo, non riesco, però, a mettere sulla carta tutto quello che mi dice, perché rimango incantata dalle sue parole.
Condannata a morte per la sua attività sindacale dalle bande paramilitari di Convivir, riesce, in modo rocambolesco, a fuggire sui monti, nel frattempo le viene proposta una fuga in Svizzera per chiedere asilo politico, lei rifiuta, vuole rimanere, a costo della vita, per continuare la sua lotta, perché, mi dice più e più volte, sa che Dio è dalla sua parte e non l’abbandonerà. non proteggerà, però, sua figlia Elisenia, uccisa a 15 anni insieme alla cognata incinta, dai paramilitari e successivamente 3 dei suoi fratelli. Di Elisenia conserva una lettera, quasi un testamento spirituale e mi dice che la sente sempre vicino a sé. Brigida è ancora il cuore di S. Josecito, sempre pronta ad aiutare chi è in difficoltà e a condividere dolori e gioie. Verso sera mi accompagna a vedere il chiosco, dove la Comunità si riunisce, la tomba di Eduard , morto ancor giovane di malattia due anni fa, persona carismatica, con tante idee e coraggio, amato da tutte e tutti, poi andiamo alla biblioteca, al comedor comunitario, infine in cima a una collina che sovrasta l’intera comunità e mi
dice, commossa, “ Guarda come è bella, è la nostra speranza”. Terminiamo la giornata con la novena di Natale coi bimbi e con il compleanno di Don Viviano, che oggi compie 87 anni.

23 dicembre (San Josecito)

Mentre Marco y Sara sono a Mulatos , con Monica ed Enrico vado a San Josè de Apartadò, il luogo da cui sono stati sfollati coloro che avevano deciso di diventare Comunità di Pace. San Josesito (detta anche Holandita), invece, è un centro abitato tutto nuovo costruito dalla Comunità di Pace per dare un tetto alle famiglie che vivevano nel villaggio di San José, abbandonato come reazione alla decisione unilaterale del governo colombiano di installare nel villaggio un presidio della polizia, dopo il massacro di 8 persone della comunità di pace avvenuto il 21 febbraio 2005, quando è stato assassinato il leader Luis Eduardo Guerra. Guerra rappresentava la comunità nella trattativa con la Vicepresidenza della Repubblica sulla dislocazione del presidio della polizia al di fuori dell’abitato della Comunità di Pace. Infatti il principio di neutralità della Comunità di San José non permette la
presenza, all’interno dei suoi spazi vitali, di nessun attore armato..Anche adesso a S.Josè ci sono 3 caserme, una della quali sovrasta la scuola secondaria che i militari stanno costruendo. Vedo, per le stradine strette e sassose, più militari che cittadini, vedo anche , e mi sento accapponare la pelle, gruppetti di militari sorridenti , che fanno giocare i bambini coi loro mitra, così da invogliarli ad entrare nell’esercito, dove potranno diventare “ qualcuno”, avere un po’ di soldi ed abbandonare la faticosa vita di campesinos. La nostra passeggiata serve soprattutto per far vedere che a S.Josecito ,
nonostante molti siano a Mulatos, sono rimasti gli internazionali. A S.Josè ci sono diverse famiglie che hanno lasciato la Comunità, perché hanno scelto di ricevere l’indennizzo dal governo per le
uccisioni di qualche loro congiunto.

24 dicembre (San Josecito)
E’ la vigilia di Natale, per tutta la giornata prepariamo la cena comunitaria, che si terrà nel comedor. Brigida aiutata da altre donne sta cuocendo un sancocho con tacchino, gallina , yucca e patate, arroz de coco e come dolce i bun-uelos. Insieme ad Operazione Colomba prepariamo tanti sacchettini, uno per ogni famiglia, con regali e dolciumi. A cena ci sono proprio tutti quelli che non sono a Mulatos, bimbi, adulti, anziani, mangiamo e poi giochiamo all’immancabile domino e a tombola.

25 dicembre (San Josecito)
Dal mattino cominciamo a preparare la cena , più buona e ricca del solito, perché arrivano Marco, Sara , tutte e tutti coloro che sono stati a Mulatos. Arrivano a gruppi, a seconda dell’ora di partenza, verso le 16 arriva il gruppo più numeroso, stanchi, infangati, ma felicissimi dell’esperienza vissuta.

22 dicembre (Mulatos)

Io e Sara prepariamo in fretta lo zaino dove mettiamo soltanto lo stretto necessario, infiliamo gli stivali di gomma (compagni inseparabili di tutte le camminate) a partiamo alla volta di Mulatos assieme al Negro (Jesus Emilio) con tutta la sua famiglia e a due ragazzi di PBI (Peace Brigades International): Marco, un ragazzo sardo e David, spagnolo.
Nella prima parte del percorso camminiamo lungo la riva di un piccolo torrente che guadiamo più e più volte (ecco perché ci vogliono gli stivali). Poi inizia la salita ed il sentiero si fa ad ogni passo più ripido. Ad un certo punto Sara sale sulla mula (per fortuna il Negro le cede il posto) mentre io continuo a piedi. Fa molto caldo e c’è tantissima umidità: la salita è veramente sfiancante! Eppure i due figli di Jesus Emilio, 4 e 8 anni, trottano come se non sentissero la fatica! E’ una salita di tre ore
e la fanno quasi interamente a piedi con noi! Si capisce perché i giovani, gli adulti e pure gli anziani riescono a sopportare tali fatiche: sono abituati fin da piccoli a fare, per quanto possibile, gli stessi sforzi degli adulti! E poi c’è il fango: per fortuna il cammino è secco e soltanto in alcuni punti si affonda fino alle
ginocchia. Ma a pensare che questo cammino viene affrontato anche quando piove ed è tutto un grandissimo pantano….ecco mi sembra un impresa impossibile. E invece è la quotidianità delle
persone che ci stanno intorno in questo momento.
Finalmente arriviamo in cima: solo lì mi rendo conto che abbiamo camminato per ore nella foresta, circondati da alberi altissimi e di un verde intenso. Qua e la ci sono arbusti con foglie giganti che si possono usare come ombrelli parasole e si sente dappertutto una sinfonia di canti di uccelli.
Per fortuna inizia la discesa: anche Sara la fa tutta a piedi e per quanto possibile ci godiamo anche un po’ il panorama. Quando ormai comincia a fare buio vedo che il Negro allunga il passo. Noi ci sforziamo di stargli dietro ed ecco che in fondo all’ennesima discesa fangosa vediamo la bandiera di Operazione Colomba, e anche quelle di PBI e FOR (Fellowship of Reconciliation): siamo arrivati a Mulatos!
A darci il benvenuto ci sono Silvia, Carlo e Giorgia, che avevamo fino ad ora sentito solo per telefono. E poi c’è un gran via vai: i bambini che giocano, le donne che stanno preparando la cena,
gli uomini intenti a sistemare le bestie. Mulatos dà subito un’idea di “accoglienza”: attorno ad un prato, su tre lati, ci sono delle case in legno e al fondo si intravede (perché ormai fa buio) una piccola costruzione (si tratta di una cappella e della casa del padre Javier) e ancora oltre c’è il fiume! Tutto attorno le montagne come a formare una grossa arena naturale.
E poi tutte le persone sono in fermento…insomma proviamo già da subito una bellissima sensazione. Dopo esserci dissetati le persone della comunità (che poi impareremo a conoscere) si
avvicinano per chiederci come è stato il cammino, se è stato molto faticoso, se siamo saliti sulla mula: insomma capisco che arrivare fino a qui a piedi è stato il modo migliore per accostarsi alla comunità! Camminare, sudare, mettere i piedi nel fango ed osservare la natura che abbiamo intorno è la maniera ideale per mettersi in relazione con i membri della comunità. Capiamo anche che il legame con la Terra è essenziale! E Mulatos ne è un grande simbolo! Questa vereda era stata abbandonata dopo il massacro del 2005, ma poi è stata “recuperata” perché alcune famiglie hanno deciso di tornare a viverci ed ora è il centro della comunità di Pace. Guildardo, il primo ad avere l’idea di tornare qui, mi conferma questa sensazione dicendomi che questo luogo è bellissimo e se ne è innamorato appeno lo ha visto. E poi la terra qui è ricchissima, ancora più fertile di quella di San Josè.
Il massacro di Mulatos è avvenuto il 21 Febbraio del 2005 e furono assassinati dall’esercito Luis Eduardo Guerra di 35 anni, leader della comunità e membro del Consiglio interno, con la moglie e il figlio di 11 anni. Luis Eduardo, come altri campesinos, era stato costretto a fuggire dalla propria terra rifugiandosi a San Josè dove insieme ad altri diede vita nel 1997 alla Comunità di Pace. Poi aveva deciso di tornare alla sua vereda per incoraggiare tutti gli altri al rientro: ha pagato questa scelta con la propria vita e quella della sua famiglia. La stessa mattina di febbraio, sempre nella zona di Mulatos, vennero assassinati anche Alfonso Bolivar Tuberquia Graciano di 30 anni, membro del consiglio di pace della zona umanitaria di Mulatos, sua moglie e i suoi figli di 2 anni e di 6 anni. I corpi orribilmente mutilati vennero gettati in due piccole fosse nascoste da un manto di
foglie o lasciati in pasto agli animali per giorni.
Vedere questo luogo meraviglioso e pensare che proprio qui è avvenuto un massacro così efferato mi fa venire i brividi e poi mi fa pensare che questo nostro mondo è davvero un mondo alla
rovescia. Ma per fortuna alcuni uomini e alcune donne, come sono quelle e quelli della comunità di Pace, si impegnano per raddrizzarlo: e questo è un regalo preziosissimo per tutti quelli che questo mondo lo abitano!

Dopo avere mangiato un bel piatto di riso e fagioli (squisiti dopo tutta la fatica della giornata) ci trasferiamo nelle biblioteca per preparare le amache. Riusciamo anche a fare una bella doccia
sfruttando la casa di padre Javier. Poi torniamo fuori per ammirare il cielo stellato di Mulatos, un altro spettacolo impressionante. Beviamo un tinto della buonanotte e finalmente ci mettiamo a dormire!

Redazione
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