Hegel, Feuerbach e Marx: un deathmatch

Fabrizio Melodia – noto astrofilosofo – nella puntata 189 di «Ci manca(va) un Venerdì» danza con strane ghirlandhe… quasi fosse un Fred Astaire o un Douglas Hofstaedter

«Mi resi conto che per me Gödel, Escher e Bach erano solo ombre proiettate in diverse direzioni da una qualche solida essenza centrale. Ho tentato di ricostruire l’oggetto centrale e ne è uscito questo libro»: così Douglas Hofstaedter nel suo noto libro, da molti indicato come un incomprensibile guazzabuglio ma da altri (per lo più spiriti matematici e filosofici) considerato uno studio profondo sui processi conoscitivi della mente umana, soprattutto sul tema del linguaggio logico, dei limiti delle metafore e su come la conoscenza possa scaturire da processi neurologici nascosti. In quel libro si assistono alle rappresentazioni di paradossi attraverso le metafore, come la Tartaruga che discute con Achille riguardo al famoso paradosso di Zenone, nel più puro spirito dello scrittore Lewis Carroll. Da un sistema composto da elementi privi di significato possono scaturire processi di conoscenza e significanza inattesi o nascosti. Con tale spirito, qui discutono – in una sorta di deathmatch dialettico – personalità che brillano assai poco per significanza e più per logica e materialismo in relazione non significante tra di loro. Ma sentiamo cosa hanno da dire queste ombre.
«In ogni caso la filosofia giunge sempre troppo tardi. In quanto pensiero del mondo essa appare soltanto dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione e s’è bell’e assestata. Questo, che il concetto insegna, mostra necessario parimenti la storia, che soltanto nella maturità della realtà l’ideale appare di fronte al reale e che quell’ideale si costruisce il medesimo mondo, appreso nella sostanza di esso, dandogli la figura d’un regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata, e con il grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo» scrive il noto, ponderoso e logorroico filosofo tedesco Georg Wilhem Friedrich Hegel, nel concettoso «
Lineamenti di filosofia del diritto».
Concetti assai enigmatici quelli espressi da Hegel ma che appaiono meno ostici se accostati a pensieri in contraddizione, nel più puro spirito dialettico, quindi in una realtà non incancrenita e che si dipana al nostro sguardo.
Come potrebbe rispondergli, in questo ideale
deathmatch – dove i contendenti si scontrano su un ring senza esclusione – il forte ateismo del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, che a Hegel non risparmia taglienti e mordaci frecciate all’ultima tesi: «Se non si abbandona la filosofia di Hegel, non si abbandona la teologia».
Feuerbach addita la filosofia hegeliana come estrema ipermetafisica, che risente di tutta la problematica della teologia e dell’alienazione dell’individuo umano a se stesso. Inoltre, tale visione porta a una sterile e vuota contemplazione della realtà, dove ogni cosa si riflette nel suo contrario e viceversa; dove ogni cosa è nientemeno che il movimento assoluto verso la libertà, identificata con Dio, non a caso.
Perchè con Dio? Hegel amava dire, ribadire e sottolineare con il pennarello indelebile che «È […] inesatto chiamare ateo Spinoza soltanto perché non distingue Dio dal mondo. Con altrettanta e più ragione lo spinozismo potrebbe piuttosto definirsi acosmismo, in quanto in esso non il sistema cosmico, l’essenza finita, l’universo, ma soltanto Dio è considerato sostanziale e gli si attribuisce vita perenne. Spinoza afferma che ciò che si chiama mondo non esiste affatto: è soltanto una forma di Dio, non è niente in sé e per sé. L’universo non ha vera realtà: tutto è gettato nell’abisso dell’unica identità».
Come ricorda Hegel, la sua fonte massima d’ispirazione, oltre al contraddittorio filosofo greco antico Eralicto di Efeso (il quale ebbe modo di scrivere che «La guerra è padre di tutte le cose, di tutte è re») è proprio il filosofo ebreo spagnolo Baruch Spinoza, immanentista e panteista radicale, il quale identificava tutto con Dio, ovvero l’ Essere che è in sè, che si genera per mezzo di se stesso e non ha bisogno di altro per esistere.
Tutto questo fa perdere ogni consistenza alla realtà, essa è solo un attributo divino, per cui la libertà umana è illusione; il nostro compito è comprendere, con intelligenza geometrica, il vecchio ritornello «Per Dio intendo un Ente assolutamente infinito: cioè una Sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna ed infinita» come ebbe modo di spiegare Spinoza in «
Ethica more geometrico demonstrata».
Qui Feuerbach vede solo e in modo chiaro l’ennesima manifestazione di una teologia con un pessimo uso della filosofia: «Come l’uomo pensa, quali sono i suoi princìpî, tale è il suo dio; quanto l’uomo vale, tanto e non più vale il suo dio. La coscienza che l’uomo ha di Dio è la conoscenza che l’uomo ha di sé. L’essenza della religione in generale» scrisse in «
L’essenza del cristianesimo».
E ancora: «L’uomo proietta la sua essenza fuori di sé… l’opposizione del divino e dell’uomo è un’opposizione illusoria… tutte le caratteristiche dell’essere divino sono caratteristiche dell’essere umano».
Umano troppo umano quindi: da rigettare tutto il castello d’aria prima di Spinoza e poi di Hegel? La nottola di Minerva finalmente si alza in volo prima che cominci a tramontare?
Sembra venirci in aiuto Karl Marx, il quale ci ricorda che «Feuerbach, non contento del pensiero astratto, fa appello all’intuizione sensibile; ma egli non concepisce il sensibile come attività pratica, come attività sensibile umana».
Tutti bellissimi pensieri, ma anche la materia si dimentica che non è astratta e nemmeno una intuizione (che coglie il senso puro del sentire, ovvero l’oggetto in sè tanto dal renderlo tale con l’attività mentale) ma un’attività pratica propria dell’uomo; quindi non una manifestazione dell’infinito movimento dialettico e nemmeno un astratto ente in mezzo ad altri enti, ma il prodotto lavorato di una attività pratica e sociale determinata dall’azione delle persone.
Anche per Marx «La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo. […] L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. […] La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all’uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso».
Da questo
deathmatch chi è uscito vivo e chi malconcio? In attesa di scoprirlo, si può chiudere con Gaber e il piacere intellettuale dell’intelletto che guarda a se stesso fuor di sè e in sè: «Quando invece sto leggendo Hegel / mi concentro sono tutto preso / non da Hegel naturalmente / ma dal mio fascino di studioso».

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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