Heinlein e il gatto Pete, viaggiatori nel tempo
db sulla riedizione (la centesima?) di «La porta sull’estate»
«Un inverno, il mio gattone, Petronius l’Arbitro, e io vivevamo in una vecchia fattoria del Connecticut». L’io narrante è Daniel Boone Davis, il nome del gatto è spesso abbreviato in Pete.
«Quel posto aveva 11 porte che davano sull’esterno, 12 se si contava quella di Pete. Ho sempre fatto in modo di mettergli a disposizione una porta tutta sua, in questo caso un’apertura larga appena quanto l’ampiezza dei baffi di Pete. Ho passato troppa parte della mia vita ad aprire porte a questo o quel gatto». Nel Connecticut gli inverni sono duri e Pete non gradiva neve e freddo. Così provava a fare aprire tutte le altre porte: «non smetteva mai di cercare quella porta dell’estate».
E’ il famoso (non solo per gattare/i) e citatissimo inizio del romanzo «La porta sull’estate» pubblicato da Robert Heinlein nel 1956. Per tutto luglio lo trovate in edicola con i Classici Urania – 218 pagine per 6,90 euri – nella «nuova traduzione integrale» (ma di inedito c’è poco, se la memoria non mi inganna) di Annarita Guarnieri.
Agile e pieno di ideuzze, tenero in molte parti ma anche pensoso quando occorre, lieto fine all’americana d’obbligo, «La porta sull’estate» è un tipico libro della fantascienza negli anni d’oro: sostanzialmente ottimista sul futuro, adatto a ragazze/i di ogni età.
La narrazione inizia il 3 dicembre 1970 e con vari espedienti (due, fra i più classici) ci porta 30 anni dopo. Tutto è cambiato ma… non toglieteci i pop corn.
Il mio amico Severo De Pignolis ci tiene a correggere l’errata citazione (pagina 33) del «mandarino cinese»; fu Maometto a «tagliarsi una manica» per non svegliare il gattino che ci si era addormentato sopra.
Citabile il signor Doughty (pagina 98). Memorabili le persone così sofisticate e tranquille «da invitare un terremoto a prendere il tè». Occhio al «giovane Leonard Vincent». Da matita rossa (almeno con gli occhi “ecologisti” di oggi) questa frase: «tanto semplice da essere idiota: invece di riparare si sostituisce». Notevole l’idea che Los Angeles sia «una condizione» anziché una città. All’epoca Charles Fort era come il prezzemolo e anche il “misterioso” Ambrose Bierce condiva molte narrazioni.
Come scritto più volte in bottega le idee di Heinlein erano variabili e confuse: talora fascistoidi e altre volte libertarie e hippies (prima del tempo). In questo romanzo affiora in qualche frase l’Heinlein reazionario, razzista e “America uber alles” mentre il progressista si ritrova nell’inventore che pensa al lavoro domestico (quanti uomini si accorgevano – e tuttora si accorgono – della quotidiana fatica delle donne?).
A chiudere questo Urania una breve biografia di Heinlein a firma Sandro Pergameno e la prima parte (14 pagine) di «E su Marte dominero» ovvero un viaggio – tra fiction e concreti progetti – sul “pianeta rosso” con Fabio Feminò.