Hiv, quel che a scuola non si sa

di Barbara Bonomi Romagnoli (*)

Preservativo, consultori, test:
quello che ancora gli studenti non sanno sull’Hiv
(che contagia 1 italiano ogni 2 ore)

«E sì perché all’improvviso sono diventati tutti potenziali portatori del virus del secolo. Che sì, può essere però… quasi m’hanno fatto credere che non ci si debba più sfiorare. Sarò io che sono paranoico, ma vedevo tutti così. Invece dammele quelle mani calde, le voglio stringere e toccare e abbracciamoci, ve ne prego, di più, più forte, e piangiamo uno sulle spalle dell’altro e ridiamo e beviamoci qualcosa insieme che tutto questo non fa male! Perché è quello il rischio, no? Una specie di orrendo isolamento, come se la gente stesse in agguato per schizzarti il suo sangue addosso. Certo che bisogna stare attenti e i preservativi e tutto il resto. Però il sangue è quella cosa densa e calda che ci corre dentro e ci fa essere vivi. Tutti quanti. E certo che ci sto attento, però guardiamoci negli occhi e stiamo uno attaccato all’altro, coraggiosi che se non sono io sei tu, ma che differenza fa? Potrei essere io. Perché adesso spero che l’abbiano capito tutti, no? Che non c’entra di che razza sei, con chi ti piace andare a letto, se sei maschio o femmina, se hai scopato con cento persone o con due soltanto, non c’entra proprio niente, sul serio! Io me lo sono fatto il test. M’ha detto che per il momento l’ho schivato. E poteva benissimo essere il contrario. E certo che me la sono fatta sotto quando sono andato a ritirarlo! Però quando mi sono seduto lì, e quello mi tirava il sangue, mi sono sentito proprio bene, pronto a tutto, ad accettare tutto. Mi sentivo bene, forte, intelligente. Coraggioso come un guerriero. Quando si fa qualcosa di coraggioso ci si sente un passo avanti. Ma col cuore, mica col cervello. Come se dentro il cuore ti si rilassa, no? e qualcosa gli si accende dentro. Una cosa così». [Brano tratto da «Primo Dicembre. Performance a più voci»]

Questa storia, come tante altre, inizia da un incontro. Quello con Alessandro Di Marco, docente di lettere classiche e regista teatrale, che propone all’Osservatorio AiDS – Aids Diritti Salute di mettere in scena una pièce teatrale, scritta da Lucilla Lupaioli, proprio sui temi dell’Aids per la compagnia teatrale Bluestoking. Una danza teatrale, più che una rappresentazione da palcoscenico classico, una performance con otto fra attrici e attori, ognuno con la sua storia da raccontare: Livia è sieropositiva da trent’anni, ex tossicodipendente; Serena lo è da dieci anni, ha preso il virus dal suo primo fidanzato; Paolo è morto di Aids un mese fa; Laura ieri in discoteca ha conosciuto un ragazzo molto bello e hanno fatto l’amore tutta la notte, ma lui è sieropositivo e ancora non lo sa; Aisha, se l’avesse saputo, non avrebbe rischiato né per sé né per i suoi figli, ma nessuno l’ha informata né protetta nel cuore della sua Africa; Guido odia il preservativo, ma tanto a lui non può succedere; Nicola, omosessuale protetto da un angelo e Antonio che ha capito che l’isolamento e il pregiudizio fanno più male del virus.

È una idea che piace, spezza la retorica della giornata internazionale sull’Aids: il 1° dicembre di ogni anno escono dati e statistiche, ma l’attenzione rivolta all’Hiv è molto scesa negli anni, dal tabù degli anni Ottanta siamo arrivati alla sottovalutazione del presente. Eppure secondo recenti dati che verranno presentati nella nona edizione di Icar (Italian Conference on Aids and Antiviral Research), dal 12 al 14 giugno prossimi a Siena, la popolazione italiana con Hiv conta circa 130mila persone, sono poco meno di 4mila le nuove diagnosi, per un contagio ogni due ore. La buona notizia è che rispetto a trent’anni fa si può convivere con la malattia, ma le cause la dicono lunga sulla «questione culturale» che aleggia attorno all’Aids: il sesso non protetto è causa dell’86% delle infezioni, mentre sono inferiori al 4% i contagi per via endovenosa, trasfusioni comprese.

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È dunque necessario tornare a informare, parlare di una malattia che certo non è più mortale in Italia e in Europa ma è ancora una epidemia drammatica in altre parti del mondo: è il motivo per cui l’Osservatorio AiDS, in collaborazione con Aidos – Associazione italiana donne per lo sviluppo e con il Patrocinio della Camera dei Deputati, lo scorso 1° dicembre ha non solo accettato l’invito a mettere in scena la malattia, ma lo ha fatto prima in versione flashmob in un luogo pubblico e di passaggio (la Galleria Sordi al centro di Roma) e poi in una scuola periferica sempre della Capitale, il Liceo Artistico Statale Enzo Rossi, scuola effervescente e dinamica, fra le varie attività anche l’organizzazione della 1° Biennale nazionale dei Licei Artistici. E quel giorno, a scuola, gli incontri si sono moltiplicati: oltre trecento le ragazze e i ragazzi che assistono alla rappresentazione teatrale, sguardi attenti e commossi, come quelli delle loro docenti, fra cui Giovanna Nosarti e Marina Gargiulo, donne calorose e vigili in una scuola di frontiera con numerosi studenti e studentesse con disabilità differenti, convinte che l’arte in tutte le sue forme sia strumento essenziale di integrazione e accoglienza.

Ma spesso i temi sensibili – come quelli afferenti alla sessualità – restano sensibili anche nelle realtà di eccellenza, e infatti – quel giorno – non lo sanno, in parecchi, come ci si contagia, perché c’entra l’Hiv con il sangue, come ci si difende, con chi è possibile confrontarsi se ci si vergogna di farlo a casa. Perché, soprattutto, è importante parlarne e non pensare di essere «diversi». Le domande sono tante, molte si ha paura a farle davanti a tutti, allora si avvicinano a gruppi piccoli e timidi, soprattutto le ragazze, e chiedono di più, hanno paura di essere banali e cercano rassicurazione: «Ma allora faccio bene a dirgli che deve usare il preservativo?», «Ma tra donne può succedere, e come?», «Se faccio la stupidaggine, dove vado?», «Che cos’è un consultorio?», «Ma davvero posso fare un semplice test?». Hanno fra i 16 e i 19 anni, probabile che in molti hanno già avuto rapporti sessuali, ma l’interrogativo ricorrente è lo stesso: Dove vado? Con chi parlo?

E allora è qui che l’incontro del 1° dicembre 2016 diventa un progetto sostenuto da Aidos, durato sei mesi, per far diventare le studentesse e gli studenti protagoniste in prima persona dell’informazione che manca, per farsi promotori di un progetto di libertà e consapevolezza che coinvolga le/i loro coetanee/i. Due classi di grafica hanno infatti realizzato, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, un progetto di sensibilizzazione sui consultori a Roma, disegnando manifesti che dicono con uno slogan perché andarci e dove trovarli. Un lavoro che ha premiato tutte e tutti, con una mostra dei pannelli più accattivanti alla Vaccheria Nardi, la biblioteca di quartiere, e che ha coinvolto anche le istituzioni, la Regione Lazio e la Consulta dei Consultori, per dare gambe forti all’iniziativa: sarebbe infatti il caso di stamparli e diffonderli questi manifesti, perché i consultori sono importanti per la salute di tutte e tutti, ed è meglio dirlo con i colori e le parole scelte da chi in futuro di mestiere magari farà proprio il «comunicatore». Nel frattempo, la preside del Liceo Enzo Rossi, Mariagrazia Dardanelli, convinta dell’importanza del ruolo sociale della scuola, ha passato il testimone a Marta Bonafoni, consigliera della Regione Lazio, e a Pina Adorno, presidente della Consulta, per cercare risorse e avviare un percorso virtuoso. Perché la salute sessuale e riproduttiva di ragazze e ragazzi è un bene prezioso, per tutti.

(*) ripreso – con l’autorizzazione dell’autrice – da “La ventisettesima ora”


alexik

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