Homo sapiens europeo sbiancato solo da 300 generazioni?

di Giorgio Chelidonio

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Quanto dura in media una generazione? La stima storica attuale si aggira attorno ai 25 anni, ma pare che per le popolazioni antiche fosse inferiore ai 20 (NOTA 1) e connessa all’età puberale delle femmine. Senza tentare di avventurarci in dimensioni paleolitiche, sembra esemplare riferirsi al cosiddetto «sistema devadasi»: nell’ambito della religiosità indù, giovani fanciulle (oggi diremmo bambine) in età prepuberale venivano consacrate a una divinità, principale o locale, di un tempio indù. Questo passaggio avveniva con un rito di iniziazione che si celebrava durante il plenilunio; successivamente quando le ragazze entravano in età puberale, una seconda cerimonia scandiva la loro iniziazione sessuale, effettuata da personaggi di rango elevato, sacerdoti, re o il “patrono” del tempio specifico. Questa tradizione – purtroppo ancora praticata in alcune zone dell’India meridionale (sebbene, dal 1988, sia ormai fuorilegge) – faceva parte di un culto indù molto antico, connesso a riti della fertilità e dell’abbondanza (NOTA 2). Le “devadasi” (termine sanscrito per «schiava di Dio») erano votate (“Nitya-Sumangali” cioè «sposate per sempre») come “cortigiane sacre”, dedite a servizi templari del dio a cui erano consacrate. Tali “servizi” si esplicavano principalmente come «danzatrici sacre», essendo la danza parte rilevante dei riti officiati nei templi dedicati a Yellamma (NOTA 3), dea della fertilità o «madre universale». Che questo “sacro servizio” corrispondesse a «prostituzione sacra» risulta molto discusso nei siti consultati (NOTA 4) che a questo proposito ne danno, come esempio, la versione seguente: quando una famiglia decide, come voto, di “offrire” una figlia a questa divinità, la ragazza viene mandata a un tempio dove è attesa per unirsi ad un uomo. Da quel momento i suoi famigliari credono che la dea suddetta, in segno di gradimento, conceda loro prosperità.
La durata di questa “unione sacra” è nella maggior parte dei casi “a tempo”, spesso di breve durata (da una notte a un massimo di un mese) e talvolta la famiglia stipula un compenso. Quanto e come una simile tradizione possa continuare e evolversi lo si deduce da una proposta di “laboratorio fotografico” che è stato proposto (NOTA 5) per il 2-9 gennaio 2015: il tema sono i tradizionali festeggiamenti che si tengono a Saundatti (una piccola città dell’India meridionale) in occasione del primo plenilunio di ogni nuovo anno. Lo scenario è così descritto: «Carovane di sciamane, contadine, eunuchi, donne, devadasi, transessuali e devoti giungono a venerare con fervore le forze ancestrali del femminile. Cosparsi di polvere ocra di tamarindo, i pellegrini portano alla dea, incenso, frutta e dolci di riso, tra canti e danze in onore di Yellamma, in un rito catartico e propiziatorio». Se però si evidenzia che nel XIX secolo la pubertà femminile in India veniva raggiunta, mediamente, a 15 anni (NOTA 6), il numero delle generazioni trascorse fra il 6500 e il 300 avanti Cristo si espande a circa 400.
Qui si aggancia la notizia pubblicata dal 23 novembre scorso su «
Nature» (NOTA 7) e subito ripresa da «Le Scienze» (NOTA 8): «L’opera della selezione naturale sulle popolazioni europee», un titolo non eccessivamente promettente: a una prima analisi, è ormai quasi ovvio dedurre che, fin dalle più remote origini degli ominini, l’adattamento ad ambienti diversi per condizioni climatiche, risorse alimentari e patogeni abbia prodotto continue pressioni selettive, lasciando traccia, a esempio, nei geni connessi alla digestione, alla pigmentazione della pelle, all’altezza, etc. Il sorprendente di questa ricerca, pubblicata su «Nature», è che riguarda le mutazioni avvenute negli ultimi 8000 anni: condotta da un folto gruppo di ricercatori europei e statunitensi, l’analisi ha sondato il genoma di 230 europei vissuti fra il 6500 avanti Cristo e il 300 aC., cioè evolutivamente parlando “l’altro giorno”. Evitando di infilarsi nei dettagli specialistici (es. mappatura quasi completa dei geni, per identificare i cosiddetti “polimorfismi di singolo nucleotide”) questa nuova ricerca si è focalizzata su quei cambiamenti di geni che sono connessi alla riproduzione di tratti fisici o fisiologici ritenuti tipici delle varie popolazioni. L’analisi è partita dal concetto ormai acquisito che gli europei attuali siano discendenti di tre “stirpi” principali:
– i cacciatori-raccoglitori che si diffusero nel continente europeo negli ultimi 40 mila anni;
– i gruppi di pastori-allevatori, detti Yamnaya e considerati “proto-indoeuropei” (NOTA 9) migrati fra 5600 e 4300 anni fa circa dai territori steppici che si affacciano fra il Mar Nero e il Mar Caspio;
– le popolazioni neolitiche dell’Anatolia che spostandosi, per vie fluviali o costiere, diffusero verso occidente l’agricoltura.
In sintesi, si è potuto identificare una dozzina di “segnali genetici” che evidenziano come la selezione abbia favorito il diffondersi di due varianti geniche:
– la capacità di digerire (con l’enzima detto lattasi) il latte in età adulta, mutazione però connessa a un maggior rischio di sviluppare alcune patologie, come la celiachia o la sindrome del colon irritabile. Risulta inoltre che questa variazione genica sia comparsa in origine, solo 4000 anni fa circa (NOTA 10) presso comunità di pastori/allevatori che vivevano in aree steppiche orientali;
– la ridotta pigmentazione della pelle, ereditata da alleli diffusi in comunità ancestrali anatoliche, quelle che avviarono le strategie agricole già circa 10.000 anni fa (NOTA 11).
Altre mutazioni avrebbero determinato:
– la frequenza degli occhi azzurri, derivata pare dai primi cacciatori-raccoglitori;
– le attuali diversità di altezza media che risulterebbero da un complesso mix genetico fra i caratteri originari delle comunità steppiche prima citate, quelle dei cacciatori-raccoglitori post-glaciali (vissuti 12-11000 anni fa circa nel nord Europa) e l’altezza media (più ridotta) di cui erano portatrici le comunità neolitiche di origine anatolica.
Altri “segnali genetici” infine riguardano le mutazioni avvenute nel sistema immunitario, che avrebbero apportato forme di resistenza ad alcune patologie, come lebbra e tubercolosi.
In altre parole, la capacità adattiva della nostra specie nel suo migrare (da almeno 2.000.000 di anni!) è davvero sorprendente, ma l’impostazione storicistica dell’educazione scolastica prevalente in Occidente impedisce ancora il diffondersi della percezione di quanto recente sia lo “sbiancamento” dei
Sapiens europei. Molti altri archeo-indizi mi inducono però a credere che ci sia ancora molto da scoprire e chiarire sul divenire evolutivo che in meno di 200.000 anni ci ha portato dall’Africa a occupare tutte le nicchie ecologiche del pianeta, modulando più volte varie parti del nostro Dna.

Note e relativi links per approfondire

  1. http://www.ancestry.it/learn/learningcenters/default.aspx?section=lib_Generation
  2. http://www.opam.it/1/le_devadasi_da_danzatrici_sacre_a_prostitute_bambine_9193702.
    + html
    https://en.wikipedia.org/wiki/Devadasi

(3) http://www.kamat.com/kalranga/people/yellamma/yellamma.htm

4) http://www.ijsrp.org/research-paper-0413/ijsrp-p1681.pdf

5) http://www.motherindiaschool.it/ENG/yellamma-la-grande-madre-portatrice-di-fertilita-workshop-2015/

6) http://blacboards.blogspot.it/2013/01/puberty-in-india.html

7) http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature16152.html

8) http://www.lescienze.it/news/2015/11/25/news/azione_della_selezione_geni_antichi_europei-2858540/

9) https://it.wikipedia.org/wiki/Cultura_di_Jamna

10) http://anthropology.net/2015/12/02/lactose-tolerance-came-from-central-asia-approximately-4000-years-ago/

11) https://it.wikipedia.org/wiki/Neolitico#Le_origini_del_Neolitico_nel_Vicino_Oriente

 

Giorgio Chelidonio

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