Honduras: depenalizzare l’aborto è necessario
L’Honduras ha il secondo tasso di gravidanze adolescenziali più alto dell’America Latina, con una media nazionale del 24% tra le adolescenti con un’età compresa tra i 15 e i 19 anni. Quasi la metà di queste gravidanze sono il risultato di violenza sessuale.
di Giorgio Trucchi (*)
Nel gennaio dello scorso anno, il parlamento honduregno uscente approvò una modifica dell’articolo 67 della Costituzione, che di fatto sancisce il divieto assoluto di abortire e lo “protegge” da qualsiasi tentativo futuro di depenalizzazione.
Il nuovo testo recita che è vietata e illegale “qualsiasi forma di interruzione della vita del nascituro da parte della madre o di una terza persona, la cui vita deve essere rispettata fin dal concepimento”.
Stabilisce inoltre che le nuove disposizioni potranno essere emendate solo da una maggioranza dei tre quarti dei deputati – obiettivo molto difficile da ottenere per le forze politiche attualmente presenti in parlamento – e che saranno nulle le future disposizioni di legge che stabiliscano criteri contrari.
All’epoca, varie organizzazioni sociali, reti e piattaforme femministe si opposero strenuamente alla riforma costituzionale, trovando anche il sostegno del Sistema delle Nazioni unite, dell’Ufficio in Honduras dell’Alto commissariato per i diritti umani (Ohchr) e di numerosi organizzazioni internazionali.
Contro le barbarie
Nel giugno dello stesso anno, la Corte costituzionale ammise un ricorso di incostituzionalità presentato dalla piattaforma femminista Somos Muchas, in cui si evidenzia chiaramente la contraddizione esistente tra alcune convenzioni internazionali ratificate dall’Honduras e le nuove disposizioni che, di fatto, violano diversi diritti di donne e ragazze.
In particolare, le organizzazioni che fanno parte di Somos Muchas chiedono alla corte di dichiarare l’invalidità della norma modificata, permettendo quindi la depenalizzazione dell’aborto in almeno tre casi: rischio per la vita della donna/ragazza incinta, malformazione del feto, gravidanza come conseguenza di violenza sessuale.
Un anno e mezzo dopo, con un nuovo governo guidato da una donna e un’agenda condivisa da Xiomara Castro con il variegato movimento femminista honduregno, l’organizzazione internazionale Women’s Link Worldwide ha introdotto presso la Corte suprema di giustizia un amicus curiae [1].
L’obiettivo è quello di sostenere il ricorso di incostituzionalità presentato da Somos Muchas.
Con questa azione, l’organizzazione ricorda ai magistrati che “il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, in particolare all’aborto, fa parte dell’accesso alla salute in condizioni di uguaglianza e non discriminazione”, si legge in un comunicato diffuso nei giorni scorsi.
Assicura inoltre che “la criminalizzazione assoluta dell’aborto in Honduras e la sua elevazione a rango costituzionale sono misure che aumentano il rischio per le donne”, lasciandole senza protezione “di fronte a un sistema che non riconosce pienamente i loro diritti”.
Per Marcia Aguiluz, avvocato di Women’s Link Worldwide, in America Latina c’è la tendenza ad ampliare l’accesso all’aborto, il che non mette solo l’Honduras in cattiva luce, ma lo converte in uno dei Paesi più restrittivi in termini di diritti sessuali e riproduttivi.
“È sempre più evidente che considerare l’aborto come un crimine non solo non lo previene, ma allontana anche le ragazze e le donne dai servizi sanitari sicuri, soprattutto quelle che vivono in contesti vulnerabili”.
“Questo – continua Aguiluz – le costringe a ricorrere a procedure rischiose che mettono in pericolo la loro salute e la loro vita. La Corte suprema di giustizia ha l’opportunità unica di cambiare questa realtà”.
Una situazione drammatica
Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, il Comitato per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) e il Comitato di esperti del Meccanismo di follow-up della Convenzione interamericana per prevenire, punire ed eliminare la violenza contro le donne (Mesecvi) affermano che il divieto assoluto dell’aborto e le gravidanze forzate sono forme di trattamento crudele, inumano e degradante.
L’Honduras ha il secondo tasso di gravidanze adolescenziali più alto dell’America Latina, con una media nazionale del 24% tra le adolescenti con un’età compresa tra i 15 e i 19 anni. Quasi la metà di queste gravidanze sono il risultato di violenza sessuale.
Nel 2021 si è registrato un aumento del 36% dei casi di violenza sessuale rispetto all’anno precedente.
Il 65% delle aggressioni sessuali è stato perpetrato contro ragazze e donne di età compresa tra 0 e 19 anni. L’aumento delle aggressioni a ragazze e adolescenti tra i 10 e i 19 anni è stato del 32%.
Secondo i registri degli ospedali pubblici, tra il 2014 e il 2019, il 30% delle donne morte per complicazioni durante la gravidanza e il parto avrebbe potuto essere salvato da un’interruzione tempestiva della gravidanza (cit. Somos Muchas).
Note
[1] Con questa espressione ci si riferisce a chiunque, che non sia parte in causa, offra informazioni alla corte, su incarico della stessa o volontariamente, su un aspetto della legge o su altre parti del caso, per aiutare la corte a decidere.
(*) Link all’articolo originale: https://www.peacelink.it/latina/a/49239.html
Per chi, come Giorgio Trucchi, vive da anni in Nicaragua e ha scritto vari articoli sullo stesso fenomeno regressivo nel confinante Paese, forse occorre leggere questo articolo con lo schema del “parlare a suocera perché nuova intenda?
Speriamo che sia questa la lettura corretta, sapendo che pronunciare un “ma”, un “se”, un “forse” oggi comporterebbe rischi notevoli per chi appunto vive in Nicaragua.
E, senza alcuna cattiveria da parte nostra, comprendiamo pure il motivo per cui da un paio di anni Giorgio Trucchi non abbia scritto una sola riga sulla situazione del Paese nel quale vive e dal quale potrebbe essere cacciato a pedate.
Dubitiamo, però, che la suocera o la nuora capiscano la “indirecta”.