I bambini che muoiono nel Mediterraneo e gli istinti feroci delle piazze

di Michela Calledda

Io e Maria siamo al mare. Ieri Maria ha bevuto un po’ d’acqua. Niente di preoccupante: durante un bagno ha fatto un piccolo passetto all’indietro e ha perso l’equilibrio cadendo. Io ero vicino a lei, a qualche passo, le ho preso la mano, l’ho sollevata e tenuta in braccio mentre tossiva. Le ho spiegato che poteva capitare, che non era niente.

Ieri Maria si è spaventata. Quando siamo entrate in giardino, a casa, alla domanda “Ti sei divertita?” rispondeva «No, stavo affondando». A tavola, durante la cena e poi di notte, a letto, Maria mi ha chiesto «Mamma, perché quando un bambino affonda non vede più niente? Perché sotto, nel mare, è tutto nero? Perché è così brutto respirare sotto l’acqua?»

Quello di Maria è stato un episodio banale, un’esperienza comune a tutti i bambini che vanno al mare. Un’esperienza in cui un adulto vicino ti tende una mano per metterti al riparo e consolarti. Un’esperienza di qualche secondo.

Capita tutti i giorni a centinaia di bambini nel Mediterraneo di non trovare mani tese. E capita grazie a governi perfidi, improvvisati, fascisti, xenofobi, pronti a qualunque nefandezza pur di assecondare gli istinti più sordidi delle piazze, scegliendo consapevolmente di ammazzare anziché aiutare, di chiudere anziché aprire, di segregare anziché unire.

Alle anime belle che fingono di piangere i bimbi morti ieri al largo della Libia, quelle stesse che hanno da recriminare sull’azione delle ONG, quelle stesse che parlano di TAXI del mare, quelle che non sono razziste ma siamo invasi, quelle che l’Italia non si può fare carico di tutti, quelle che i il mondo è fatto di confini insuperabili solo per gli ultimi e reietti, quelle che parlano “da padre” con figli sicuri, col culo nel burro, volevo dire che le stesse domande che ieri mi ha fatto Maria trovano spazio nelle loro coscienze: se ne prendano tutta la responsabilità, facciano i conti con ogni briciolo di senso di colpa se ne sono capaci e comincino a sputarsi negli occhi ogni mattina davanti allo specchio. Che il nero del mare negli occhi di quei bambini sia il nero delle loro miserabili vite.

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