I Brics in Brasile: alternativi o…

… complementari all’Occidente?

di Gennaro Carotenuto (*)

Non ha senso attendersi un’agenda solidale dai Brics,

acronimo che raggruppa le principali economie non occidentali – Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa – riunite nel vertice di Fortaleza, nel nord del Brasile, alla presenza di Dilma Rousseff, Vladimir Putin, Narendra Modi, Xi Jinping e Jacob Zuma, ma non ha senso sottovalutarne le capacità di trasformazione degli equilibri geopolitici mondiali. In appena dieci anni i Brics sono passati dall’8 al 16% del commercio mondiale e l’interscambio fra i cinque Paesi, secondo l’Organizzazione Mondiale del Commercio, si è moltiplicato per 10, raggiungendo i 276 miliardi di dollari. Di conseguenza, anche quell’agenda finanziaria liberista che governa la logica degli enormi accordi e delle infinite sinergie fra tali grandi Paesi contribuisce a disegnare un mondo dove, attraverso un multipolarismo delle opportunità, il superamento della centralità occidentale, del neoliberalismo reale e del Fondo Monetario internazionale, divengono un fatto.

Centinaia di grandi imprenditori ed economisti, insieme a capi di Stato e dirigenti politici, sono riuniti nel nord del Brasile per firmare contratti che sfioreranno solo questa volta i quattro miliardi di dollari in settori come quello agroindustriale, infrastrutturale, energetico, sanitario e delle tecnologie dell’informazione. Ma sono anche riuniti per rimodellare l’architettura mondiale e ridurre le conseguenze di una volatilità di un dollaro sempre meno capace di essere regolatore degli scambi a livello planetario, del potere di Londra sui prezzi dell’oro, di quello di Chicago sul mercato dei derivati. Sono, fra l’altro, i più importanti meccanismi usati dal blocco occidentale per destabilizzare in questi decenni i Paesi del Sud del mondo non allineati ai loro interessi come testimonia l’attacco dei fondi speculativi contro l’Argentina. Un mercato dei derivati di area Brics, un banco di sviluppo e il fondo di riserva da 100 miliardi che potrebbe essere lanciato, avrebbero fra l’altro la conseguenza geopolitica di offrire l’opportunità di ammortizzare gli choc speculativi provocati ad arte dalle grandi banche d’affari, quali Goldman Sachs o JP Morgan.

In merito bisogna intendersi sulle sfumature: alcuni – fra questi Vladimir Putin – parlano di sfida aperta al predominio occidentale. I cinesi, che avocano a Shanghai la sede delle nuove strutture, preferiscono parlare di complementarietà con l’esistente e sottacere della nuova centralità cinese e asiatica. Di sicuro le guerre economiche, come quelle di questi anni contro Argentina, Venezuela o Cuba, saranno più difficili.

Per il Brasile, e di conseguenza per l’America latina integrazionista, i Brics sono il completamento di una visione geopolitica di lungo periodo, esplicitata in maniera chiara quasi tre lustri fa da Hugo Chávez. Questa vedeva nella fine del rapporto coloniale fra America latina e Stati Uniti e nella costruzione di un mondo multipolare – in quell’epoca di unilateralismo neoconservatore era quasi un sogno – il superamento di alcuni dei nodi principali del sottosviluppo e della dipendenza del continente.

La correttezza della visione di fondo non impedisce di vedere le debolezze dell’oggi; in particolare rispetto a Cina e India, l’interscambio con il Brasile appare tuttora diseguale. Il gigante del Sud offre la sua soja, materiali ferrosi e petrolio, tre voci che raggiungono il 70% dell’export brasiliano verso i quattro partner, dai quali per il 95% si importano manufatti. Convincere l’India ad aprire al pollame brasiliano e la Cina a far evolvere i propri acquisti dalla soja, che alimenta le vacche, alla carne, è apparentemente poca cosa e può giustamente preoccupare dal punto di vista delle conseguenze ambientali e del modello di sviluppo che resta incentrato sull’agroindustria esportatrice. I tempi del «Washington Consensus», che non sarà certo sostituito dal consenso di Pechino, sembrano davvero alle spalle. La quasi competizione fra Xi e Putin per incontrare più soci latinoamericani possibile, durante i loro lunghi soggiorni nel continente, testimonia la costante crescita di un reciproco interesse fra partner, senza subalternità.

(*) articolo del 14 luglio, ripreso dal bellissimo blog di Gennaro Carotenuto.

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