I contraddittori movimenti del capitale

di Gian Marco Martignoni

Il pamphlet «Il futuro dell’Italia» di Giangiacomo Nardozzi, docente di economia politica ed editorialista de «Il Sole 24 ore», è un testo assai utile per leggere e comprendere le ragioni del declino del nostro Paese, poiché non è animato da toni rancorosi, esplicitando semmai l’interesse di Confindustria verso quel mondo delle piccole e medie imprese che costituisce gran parte del tessuto produttivo italiano.

Stiamo parlando di un bacino di 2 milioni di imprese comprese fra i 2 e i 250 addetti, in cui sono occupati 11 milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici ed attraversato da una crisi che evidenzia tutti i limiti del “nanismo” dimensionale e produttivo, nonché da una preoccupante catena di suicidi dopo la fine del mito del “ piccolo è bello”.

Confindustria vanta 115.000 piccoli associati a fronte della costituzione di Rete Imprese Italia da parte di Confcommercio e delle quattro associazioni più rappresentative dell’artigianato, e, pertanto, con il “Manifesto per la cultura d’impresa”, lanciato a Palermo nel 2009, tenta di aggredire un “mercato” associativo vastissimo, con la finalità di far emergere una nuova classe dirigente.

Pertanto, in questa lettera rivolta ai piccoli imprenditori non troverete alcun indice puntato contro l’articolo 18, inteso come chissà quale impedimento allo sviluppo degli investimenti nel nostro Paese, né tantomeno le solite litanie contro le organizzazioni sindacali incapaci di comprendere il nuovo o chi lavora veramente.

Il filo conduttore della ricognizione di Nardozzi mira diritto al cuore delle problematiche che ci stanno di fronte, stante che gli indicatori relativi alla crescita della produzione industriale e della produttività sono a dir poco disarmanti relativamente al periodo 2005-2008: il nostro Paese è cresciuto la metà della media europea, poiché solo le imprese tra i 50 e i 249 dipendenti registrano una produttività superiore, mentre in prospettiva la crescita tra il 2011 e il 2017, dopo la caduta di quasi il 4% del Pil tra il 2008 e il 2011, non supererà lo 0,9%.

Tutto ciò determinerà un forte incremento della disoccupazione e una mancata crescita dei salari, sottolineato che già il reddito pro-capite è ritornato – per una serie di concause – al livello degli anni ’90.

Ma questo scarto nei confronti delle altre nazioni a livello internazionale è causato per Nardozzi da una produttività totale dei fattori (Ptf) che registra una serie di primati tragicamente negativi, da tempo messi a fuoco anche dalla Cgil.

Per quanto riguarda l’ammodernamento delle infrastrutture i mancati investimenti nell’ultimo quarto di secolo sono pari a -15% rispetto alla media europea cosicché, avendo privilegiato la mobilità privata, esplodono le carenze sul piano della logistica; mentre in materia di adempimenti amministrativi siamo addirittura al 78° posto della classifica internazionale .

Se poi consideriamo i cronici ritardi della giustizia, la bassa qualità della formazione scolastica dovuta anche alla moltiplicazione degli atenei rispondente a incontrollabili interessi localistici, il peso dell’economia illegale e di quella sommersa, emerge la percezione di un peggioramento consistente della qualità della vita complessiva sul piano della convivenza civile e sociale.

Questo peggioramento chiama in causa le responsabilità di una politica affetta dalla cosiddetta sindrome di San Gimignano, per via delle sue infinite contese, con un giudizio particolarmente tranciante sul berlusconismo, «perché non si può coltivare il senso di non appartenenza allo Stato e volere che si accetti il decisionismo di chi governa”.

Se allora bisognerà convivere con una bassa crescita, per Nardozzi il nostro Made in Italy subirà una selezione naturale fra le imprese, con quelle più dinamiche e innovative in grado di cogliere le crescenti aspettative della nuova classe media globale dei Paesi emergenti.

Mentre per le imprese che sviluppano la loro attività sul mercato nazionale l’autore auspica una crescita dei salari, poiché la loro compressione in questo ventennio ha prodotto un pesante calo della domanda interna.

Da queste lapidarie indicazioni si evince come la cultura liberista, messa alle strette, veda criticamente solo una parte del movimento contraddittorio del capitale, poiché crescita della dimensione di impresa e maggiori investimenti nel campo della ricerca – stante la mentalità sostanzialmente “anarchica” del mondo dei piccoli imprenditori, fiero di operare nonostante la naturale controparte dello Stato – si guarda bene dal prospettarli ai suoi teorici destinatari.

«Il futuro dell’Italia» di Giangiacomo Nardozzi (pagg. 100, € 9,00), Laterza


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