I desideri e i dolori come turbini temporali

due recensioni (una vecchia e una nuova) a «E sarà la luce» di James Tiptree junior (alias Alice Sheldon) che torna in edicola; ma occhio anche al triplo post scriptum

«Questa è una riunione di lavoro, non un’orgia emotiva» dice Cory, nel tentativo (non riuscito) di sdrammatizzare la situazione. Siamo alla fine di «E sarà la luce» e davvero questo romanzo è una «orgia emotiva»; uno splendido – a volte difficile da sopportare – intreccio di desideri e dolori; di «orrori inflitti dagli umani» e di bellezza nel cielo; di infami paradisi «per uno scellino» e demoniache ambiguità. Come scrive l’autrice (parlando d’altro) «il balzo psicologico dall’impossibile all’appena possibile è troppo colossale»… eppure a volte si realizza. Qui con colpi di scena da far temere per la respirazione di chi legge e, a libro chiuso, con la certezza che Alice Sheldon abbia messo in un solo romanzo storie e personaggi per cinque o dieci. L’impressione è che l’autrice non riuscisse a staccarsi da questo libro e che per questo seminasse finali, falsi e veri.
Mi sembra giusto sottolinearlo: è un libro che apre squarci sul dolore, in certi punti in modo quasi sfiancante. Eppure non bisogna, secondo me, farne a meno perché aiuta a capire che le «lacrime di stelle» parlano di noi, oggi e sempre. Non per caso o per consolazione «il capitolo più nero e ripugnante della storia umana nello spazio» è interrotto, attraversato, completato da una grande storia d’amore e da qualche sviluppo «degno di una fiaba» (ma senza esagerare) o dalla luce della «nova» o ancora dall’«effetto tachionico» di una «stella della doppia vergogna» che provoca (forse) i «turbini temporali». E’ sempre possibile uscire dal dramma e «tornare indietro» per ricominciare, se serve: questo il vero, unico significato.
La prima volta che lo avevo letto – lo deduco dai miei appunti – il finale (o meglio uno dei finali, quello che riguarda Cory) mi era parso bello ma un po’ lacrimoso; e nel complesso a questo libro, pur parecchio amato, avevo preferito «La via delle stelle» sempre della Sheldon-Tiptree. Oggi credo di averlo capito meglio. Dunque il mio consiglio accorato è di non farvelo sfuggire; è in edicola ancora per un paio di settimane (308 pagine a 5.90 euri, traduzione del grande Vittorio Curtoni) nella Collezione Urania.
Della trama non mi sembra giusto dire altro. Invece se volete sapere qualcosa (o mooooolto) di più intorno ad Alice Sheeldon – e al suo beffardo sdoppiarsi – qui in blog trovate almeno i primi passi per muovervi. Fu un’autrice in Italia quasi per nulla compresa (a parte Curtoni che la propose spesso su «Robot»): i pochi romanzi e i molti racconti vanno recuperati in biblioteca o nell’usato. Evviva dunque questa ristampa soprattutto se apre uno spiraglio sulle altre sue opere. Ma dopo avere super-lodato Urania per avere riproposto «E sarà la luce» non posso ignorare che certi vecchi vizi (soprattutto di etichette maschio-centriche) faticano a scomparire. Infatti nella breve nota di Giuseppe Lippi sull’autrice ci sono stonature. Questa a esempio: «Desta scalpore anche il successivo (racconto) “Houston, Houston, ci sentite?” in cui la polemica femminista accentua i toni […] C’è una carica polemica che va oltre la polemica e sconfina nell’odio sessuale». Se ne può discutere certamente ma solo dopo aver fatto due precisazioni: la prima è che mai su Urania si è segnalato l’odio sessuale… maschile eppure potrei citare molti libri nei quali straripava; la seconda è che parecchi recensori o “esperti” hanno cominciato a criticare la Sheldon dopo aver saputo chi era mentre prima – quando cioè si firmava al maschile, come James Tiptree jr – questi eccessi del femminismo, questo “odio sessuale” curiosamente erano invisibili. Proprio come «non viste dagli uomini» – perciò «invisibili» o inesistenti – sono sempre state le donne narrate da Tiptree-Sheldon. La storia insegna che per segnalare la propria esistenza a chi ci ha cancellato, dopo aver fatto ricorso ai metodi pacifici senza successo, si ricorre a pratiche più dure: difficile negare che è anche colpa di chi sta in alto e finge di non sentire se alla fine diventa violento chi, in basso, non vuole restare invisibile, oppresso sino al non esistere.
Fin qui la mia recensione dopo la rilettura, emozionante come la prima volta. Ma ho cercato e ritrovato anche la non breve rec che apparve a firma Erremme Dibbì – la sigla che usavo con Riccardo Mancini – l’8 novembre 1986 sul quotidiano «il manifesto».
Eccone i passaggi principali; ho omesso le parti che “svelavano troppo” anche perché in questa ristampa la quarta di copertina è molto corretta.
«Su iniziativa di Gianni Montanari, Mondadori affianca alle varie collane di Urania anche questa “Altri mondi”: volumi rilegati, più lunghi (e atipici) del prodotto normale di fantascienza – ammesso poi che la parola “fantascienza” significhi la stessa cosa per tutti. […] La luce del titolo è quella di una nova, cioè di una stella esplosa, che si avvicina a velocità enorme; dal pianeta Damien si può agevolmente osservare cosa accadrà. Gli abitanti del pianeta, i Dameli, “non eseguono alcun lavoro manuale” e forse per questo sono così felici ma sono creature fragili (“un Damei adulto può perdere conoscenza entrando in una stanza dove qualcuno ha fumato giorni prima”) e hanno enormi problemi con gli avidi terrestri. […] tre “custodi” umani sorvegliano per conto della Federazione che non si ripetano altri orrori, impedendo ai terrestri di sbarcare. Ma, per vedere la nova, arrivano 13 turisti umani piuttosto insoliti e assortiti: un mini-gruppo artistico con spiccate preferenze per i “porno-serial”, una lady che si porta dietro una gemella paralizzata, un improbabile ragazzo-principe, un “aqua-man” (cioè un umano mutato al punto che può usare anche le branchie), professori, ufficiali e scultori di luce che non si capisce come siano capitati proprio lì. La nova lascia spazio ai turbini temporali, cioè “ripetizioni di cose appena accadute” ma poi “le azioni riprendono ad andare avanti, confuse e oscure, e di colpo ci si ritrova nel tempo reale”. C’è una storia parallela sull’antica razza dei Vlyracochani, distrutta dai terrestri insieme alle “più belle opere d’arte mai concepite”; si fa conoscenza dell’algo-tossina […]. Vi sono invecchiamenti accelerati e tenere storie d’amore. E c’è un’interessante discussione su ciò che ha detto un antico filosofo, “Miles o Mills” sul “tenere i bambini lontani dagli altri bambini, non lasciar sprecare gli anni migliori per imparare a essere bambini perché poi devono disimparare”. […] Il finale narrativamente riapre tutti i giochi. […] Vero, straripante protagonista è il dolore: quello dei Damei, dell’algotossina, della morte fisica e spirituale di coloro che faranno mercato di ogni, propria e altrui, sofferenza. […] Tiptree come ormai si sa, è lo pseudonimo di Alice Sheldon, beffarda psicologa, apprezzata soprattutto per gli splendidi, graffianti racconti. E’ sintomatico della pigrizia italiana che anche “E sarà la luce” (come già “La via delle stelle”) passi del tutto inosservato. Unica eccezione, finora, il sempre attento Oreste Del Buono. Ma dire che la Sheldon non è “forse neppure del tutto donna” (solo perché è anche James Tiptree) allontana un po’ la matura constatazione che la compresenza di maschile- femminile non è invenzione fantastica, letteraria o evento eccezionale ma qualcosa che coinvolge tutti: per questo la fantascienza è davvero, a volte, la straordinaria quanto semplice constatazione di quanto sia divenuto ordinario, esteso, possibile il cambiamento epocale di quel bipede implume che si è sviluppato sul terzo pianeta di questo sistema solare».

UN TRIPLO POST SCRIPTUM
1 – Date un’occhiata all’ultimo numero dell’edizione italiana di «Le monde diplomatique» (in edicola, per un mese, con «il manifesto»): in ultima pagina c’è il giornalista Alain Vicky. Sotto il titolo «Africa, presenza dei futuri» spicca questo allettante, anzi – almeno per me – irresistibile, sommario: «La fantascienza dispiega le possibilità dissimulate nel presente e cristallizza le forme che il futuro potrebbe assumere. A modo suo, è politica poiché crea la consapevolezza delle paure e delle speranze collettive. Mentre gli anglosassoni l’hanno in gran parte abbandonata per il genere fantasy, gli artisti africani se ne impadroniscono».
2 – Tornando a Urania. In edicola c’è anche l’antologia «Nove inframondi» (4,90 euri per 264 pagine) con racconti di Carolyn Ives Gilman, Neil Gaiman, Kathleen Ann Goonan, Paolo Bacigalupi (nonostante il nome… vive in Colorado), i ben noti nonché frizzanti Ted Chiang e Cory Doctorow, Mary Rickert, Vandana Singh (una fisica teorica, cresciuta a Nuova Delhi ma ora in Massachusetts) più uno scritto a 4 mani di Elizabeth Bear e Sarah Monette. Per luglio Urania fa tre annunci interessanti: nella sezione «I capolavori», sotto il titolo «Waldo», riappaiono due vecchi racconti di Robert Heinlein; con l’etichetta «i grandi romanzi inediti e integrali» ecco «Il fiume degli dei» di Ian McDonald; come Collezione riecco sua eccellenza il sarcasno, ovvero Robert Sheckley, quasi al massimo dello splendore con «Anonima Aldilà». Ad agosto invece – ormai lo sanno anche i sassi – arriva «Www-3», puntata conclusiva della saga (la migliore del decennio a mio parere) di Robert Sawyer.
3 – Infine uno degli Andrea “stellari” che frequento mi segnala questo:
http://www.comune.spotorno.gov.it/3262/comunicati-stampa/premio-scienza-fantastica/

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