I figli del vulcano

Recensione al libro di Roberto Vallepiano sulle organizzazioni guerrigliere guatemalteche con una particolare attenzione al ruolo di primo piano rivestito dalle donne

di David Lifodi

 

È dedicato al Guatemala, alle sue organizzazioni guerrigliere e, in particolare, all’apporto delle donne nel lungo cammino verso la democrazia del piccolo paese centroamericano, il libro di Roberto Vallepiano I figli del vulcano.

C’è un motivo per cui la denominazione “Repubblica delle banane” è stata affibbiata al Guatemala. Lo spiega Geraldina Colotti nella prefazione citando una dichiarazione del padrone di United Fruit, Sam Zemurray: “In Centroamerica è molto più economico comprare un deputato che un mulo”. Da quel momento la terra dei maya è stata derisa con la nomea di “Repubblica delle banane”. Contro United Fruit, una delle prime multinazionali Usa, e le ingerenze della Casa bianca, il Guatemala è stato sempre costretto a fare i conti. A testimoniarlo anche Ernesto Che Guevara, che, in occasione della sua permanenza in Guatemala, scrisse un articolo per i giornali locali dal titolo Yo vì la caida de Jacobo Arbenz. La sua esperienza di governo socialista fu stroncata brutalmente proprio dagli Stati uniti, dalla Cia e dalle multinazionali, tra le quali United Fruit. Era il 1954. Roberto Vallepiano parte da qui, da quell’esperienza che aveva anticipato, sia nel rovesciamento del governo con la forza sia nell’esperienza socialista vissuta dal Guatemala, l’unica nella storia del paese, quella del Cile di Allende. Dal Partido Guatemalteco del Trabajo, nato intorno all’esperienza di Arbenz sull’onda della cosiddetta “rivoluzione d’ottobre del 1944”, all’epoca una tra le maggiori speranze di riscatto per l’intera America latina, parte il racconto di Vallepiano, con una particolare attenzione alle luchadoras.

Le donne, soprattutto quelle indigene, ebbero un ruolo di primo piano in tutte le organizzazioni guerrigliere, a partire dall’Orpa – Organizzazione rivoluzionaria del popolo in armi – il cui simbolo era una catena di vulcani in eruzione, da cui prende il nome il  titolo il libro. L’autore racconta le storie di molte guerrigliere, ad iniziare da Haydeé, nome di battaglia Adelita.  Le donne partecipavano alla lotta armata poiché vivevano sulla propria pelle le ingiustizie, il razzismo e il furto delle terre, come quelle di José Luis Arenas, denominato la Tigre di Ixcán, fondatore del Partito di unità anticomunista nel 1952 e proprietario di enormi porzioni di terra nel dipartimento del Quiché ucciso dall’Ejercito de los Pobres.  Ancora oggi, sottolinea l’autore, nel triangolo Ixil, dove si sono consumate la maggior parte delle violenze della guerra di sterminio condotto contro gli indigeni maya, sono raffigurati murales che omaggiano le gesta dei combattenti, tra i quali uno che riporta le parole di una poesia della stessa Adelita: “I nostri cuori sono conchiglie. Come le conchiglie riportano l’eco del mare così i nostri cuori guerriglieri riportano l’eco del sogno e del fuoco. I colori e i profumi di foreste che seppero trasformarsi in madri, di montagne divenute sorelle”.

I figli del vulcano narra la storia delle ribelli e dei ribelli del Guatemala. Molte donne parteciparono alle brigate di alfabetizzazione e agirono in qualità di staffette per la diffusione della stampa clandestina negli anni successivi alla caduta di Arbenz, come accadde a Soledad, studentessa universitaria che si unì alla guerriglia scoprendo le difficoltà della vita del Guatemala rurale. Molte furono anche le donne alla guida di interi fronti armati, a partire dalla Capitana Aña. “Quando la lotta ramata faceva il suo ingresso nei villaggi indigeni e i cittadini vedevano le guerrigliere marciare al fianco degli uomini e talvolta guidarli, tutti esprimevano sorpresa e ammirazione”, annota Vallepiano, sottolineando come fino ad allora gli uomini dei villaggi, secondo una concezione esclusivamente patriarcale, le identificassero al massimo come infermiere o le compagne al seguito del battaglione. Tuttavia le donne erano spesso anche le vittime preferite della contrainsurgencia e spesso violentate una volta che cadevano in mano nemica, come accade a Nora Paiz Carcamo.

Dagli anni Ottanta la repressione in Guatemala crebbe ulteriormente e l’operazione tierra arrasada gettò le basi per il genocidio maya, caratterizzato dall’estrema brutalità e ferocia delle forze militari guatemalteche. Gli squadroni della morte, tra i quali organizzazioni dai nomi sinistri (Ojo por Ojo, Rayo Negro, Movimiento de Acción Nacionalista Organizado), si resero protagonisti di crimini efferati per punire gli indigeni accusati di proteggere la guerriglia dell’Unrg – Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca.

Il libro di Vallepiano ha il merito di recuperare la memoria della ribellione di un piccolo paese che, grazie ad una delle più estese presenze guerrigliere dell’intera America latina, si è trasformato in un avamposto rivoluzionario per molti anni, senza però mai riuscire ad essere governato in maniera democratica. Proprio nel segno della memoria storica di Arbenz che aveva osato sfidare gli Stati uniti, conclude l’autore, “quando, a metà degli anni Novanta, fu finalmente permesso il rimpatrio della sua salma, oltre centomila persone sfidarono i divieti del governo partecipando in massa alle celebrazioni e salutandolo a pugno chiuso”.

I figli del vulcano

di Roberto Vallepiano

Edizioni Bepress

2019

€ 14

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *