«I figli dell’invasione» di John Wyndham

Alle 22,17 del 26 settembre, Midwich cessa di essere «un banale villaggio senza storia». Una casa brucia e nessuno interviene; i telefoni sono muti; l’autobus non si sa dove finisce… Il piccolo villaggio cade «in un sonno ipnotico». Ancora più strano è che chiunque si avvicini si accascia al suolo. Un gas? Forse ma «chi ha mai sentito parlare di un gas perfettamente stazionario anche quando soffia un po’ di vento?».

E’ lo splendido inizio di «I figli dell’invasione» scritto nel 1957 dall’ inglese John Wyndham e in un certo senso ricalca le prime righe di un altro suo romanzo («Il giorno dei trifidi») dove il primo turbamento deriva da un martedì che sembra domenica. Qui il «giorno saltato» avrà conseguenze pochi mesi dopo, il tempo che tutte le donne del villaggio, in età di avere bambini, si ritrovino incinte e in molti casi risulta impossibile, a loro stesse, capire di chi e come. La sterilità può essere considerata, in certi ambienti fanatici, una maledizione; può esserlo anche l’improvvisa fecondità di massa? O invece esiste una spiegazione scientifica? E per finire con domande toste: la maternità di massa in una notte si è verificata solo a Midwich o anche altrove? Figli e figlie del «giorno saltato» a chi somiglieranno? Saranno come tutti i bambini e le bambine o invece…?

Questo piccolo capolavoro viene di nuovo ristampato (evviva) e sarà in edicola per tutto novembre, nella Collezione Urania. Davvero merita: non è invecchiato affatto; l’unico problema è che la storia fu ripresa (o saccheggiata) in troppi film – alcuni decorosi, altri orribili – per sorprendere ancora, come invece accadde nel 1957.

A ogni modo non dirò cosa esattamente accade, nei mesi e negli anni successivi, nel non più tranquillo paesotto inglese – ricordo che la regola base del recensore intrigofilo è accennare la trama senza svelar troppo – anche se il titolo, le prime pagine e la quarta di copertina scelta da Urania lo fanno intuire. Anticipo però a chi legge qualche frase degna di nota. La prima: «Tutti questi scienziati chiusi nei loro laboratori rovinano il mestiere a noi soldati. Fra poco il servizio militare sarà monopolio di veggenti e specialisti elettronici». La seconda: «La nostra vita privata sarebbe stata devastata nella più gelosa intimità e le nostre suscettibilità offese dalle tre Furie moderne: la terribile sorellanza della parola stampata, della parola registrata e dell’immagine». La terza: «Una specie di riflesso auto-protettivo difende l’uomo e la donna comuni dalle verità sconvolgenti. Tutto questo fino a quando non lo leggono su un giornale. Quando una notizia viene stampata, l’80 per cento dei lettori passano all’altro opposto e sono disposti a credere qualunque cosa». La quarta e inquietante (in chiusura del romanzo): «Siamo vissuti così a lungo in un giardino da aver dimenticato le banalità della sopravvivenza. Si disse: si fueris Romae, Romani vivito more e molto giustamente infatti. Ma è espressione più fondamentale dello stesso sentimento dire: se vuoi conservarti vivo nella giungla, devi vivere come la giungla».

DUE BREVI NOTE

Mi pare doveroso indicare l’autore o l’autrice delle traduzioni e, salvo imperdonabili dimenticanze, qui in blog lo faccio. In questo caso non posso perché nella mia vecchia copia di Urania era stato “dimenticato” dall’editore: una pessima abitudine tutta italiana che per fortuna ebbe vita breve.

Come ho accennato pochi giorni fa, nella nota del post intitolato «Il perfido giocattolaio», esiste un filone della fantascienza che concerne i «figli maledetti» (o i bambini «cuculo», come li chiama Wyndham). Fra gli ultmi romanzi della serie, ma è fuori dalla fantascienza, «Un gioco da bambini» di James Ballard nel 1988. Di cuccioli dell’uomo inquietanti, nella fantascienza e dintorni, ho scritto qua e là, in passato, con Riccardo Mancini ma in modo poco organico. Ho deciso di rileggere questi articoli e appunti per verificare se vale la pena recuperare/ordinare il tutto e riproporlo in blog. (db)

Redazione
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2 commenti

  • “Un gioco da bambini” rinnovò l’italica tradizione di rovinare letteralmente i finali e le trame dei libri di genere (si fa per dire, parlando di Ballard). Come si fa a tradurre in questa maniera Running wild?

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