I migranti italiani “belli, giovani e forti”
di Domenico Stimolo
Una sferzante ondata di odio contro i profughi-migranti, definiti “invasori” e “clandestini”, cresciuta a dismisura negli ultimi mesi, è stata sapientemente costruita dalla gran parte delle forze politiche in maniera più o meno estremizzante, ripresa e ampiamente divulgata dai principali organi di informazione. In modo subdolo è stata creata la tipologia umana dei “migranti economici”.
La terminologia è utilizzata essenzialmente nei riguardi di tutti – uomini, donne e bambini – in maniera sprezzante: stante il pensiero di “lor signori” i soggetti incriminati non possono avere nessun diritto di solidarietà e accoglienza. Un marchio volutamente indelebile, similare nel significato di disprezzo e vessazione al numero marchiato sulle braccia dei deportati dei lager nazisti. E’ come se queste persone – perfettamente simili alle sembianze che caratterizzano tutti gli esseri umani, muniti di cuori, sentimenti e intelletto – fossero mercanzie, pezzi inanimati o muti manufatti, la cui circolazione dipende da atti economici, sottoposti a commerci vari nel mercato delle vendite.
A sentire queste novelle cialtronerie qualsiasi umano che cerca lavoro è esclusivamente uno strumento economico, una macchina “non pensante”, senza diritti, dedicata a costruire profitti, come viene divulgato nelle più bieche teorie neoliberiste.
Inoltre – se otturandosi il naso a difesa dei velenosi “olezzi” e sormontando la ripulsa etica e civile che naturalmente sgorga – si leggono i commenti inseriti a “corredo” delle notizie riportate sui siti nazionali e locali, si appunta che la parte preponderante in maniera “telegrafica” manifesta rilevantissima violenza verbale nei riguardi dei nuovi arrivati. Evidentemente le coscienze democratiche fuggono da questi “confronti”. La tipica violenza (già storicamente conosciuta in Italia nei confronti di coloro che sono stati marchiati “diversi”) che trova maggiore goduria se praticata contro i più deboli. Del resto molti sono stati gli eventi di “chiamata alla mobilitazione” caratterizzati da atti di vera e propria brutalità fisica.
Virtualmente è stato scritto e divulgato un nuovo manifesto razziale, come il “ Manifesto della razza” promulgato dalla dittatura fascista nel 1938.
Si comprende bene che è stata largamente superata la soglia di allarme per la tenuta del sentimento democratico e della coesione sociale. L’aspetto più stupefacente è rappresentato dal fatto che gli istigatori all’odio anagraficamente sono italiani: per ignoranza o turpe strumentalizzazione hanno gettato al macero la drammatica storia recente che ha contrassegnato la vita di decine di milioni di nostri concittadini. Gridando in maniera sconsiderata, mostrano allarme e vivo stupore. “Stabiliscono” con i loro occhi traviati dall’odio che i migranti “economici- clandestini” sono Soggetti (così propagandano ai quattro venti) “ben messi, in carne” quindi nel loro grezzo dire, non soffrono la fame.
Evidentemente disconoscono o fanno finta di avere dimenticato la storia recente che riguarda gli italiani. L’Italia è “patria” di un immenso processo di emigrazione, il più grande in assoluto fra i Paesi europei. Iniziato nel corso del 1870. La dinamica di abbandono costrittivo delle terre natie si è ridimensionata significativamente solo dopo più di cento anni. Fino al 1915 i luoghi di arrivo dei nostri emigrati riguardarono in maniera preponderante le Americhe, in particolare: Stati Uniti, Canada, Brasile, Argentina, Venezuela, Colombia, etc. Alcuni flussi consistenti però ebbero come meta anche diversi Stati europei. Durante la dittatura fascista furono largamente ristrette e condannate le vie di emigrazione in altri Stati ( tant’è la fame restava solo a chi ne soffriva) sostenendo esclusivamente la presenza, che fu consistente e ben incentivata, nelle colonie del declamato e fatuo ”Impero”. Grande, altresì, il numero di italiani costretti ad andare fuori dall’Italia poiché perseguitati politici.
Poi, dopo la guerra, con la Repubblica, dunque dalla fine degli anni 40 del Novecento, gli italiani continuarono a emigrare in maniera notevole, con significativa attenzione a varie zone del centro-nord Europa, in particolare: Germania, Svizzera, Belgio, Francia. Riprese anche il flusso verso le Americhe; iniziò l’emigrazione in una direzione nuova, l’Australia. Inoltre, durante la fase del “boom economico” – dal 1950 fino alla parte iniziale degli anni 80 – fu imponente il flusso di spostamento interno operato da cittadini residenti nelle aree del sud verso il nord-Italia. Intere zone territoriali rimasero desertificate dalle energie più vitali. Milioni di valigie di cartone, tenute strette da una salda girata di robusto spago, si imbarcarono sui treni di lunga percorrenza, per cercare condizioni di vita migliore, per fuggire dagli atroci stenti che avevano sempre vissuto.
L’ultimo rapporto (2016) dell’AIRE – Anagrafi Italiani Residenti all’Estero – evidenzia che gli iscritti sono quasi 5 milioni per la precisione 4.975.299, così suddivisi per aree geografiche: 2.686.431 in Europa; 599.591 America meridionale; 451,186 America settentrionale e centrale; 278.091 in Africa, Asia, Oceania e Antartide. Nel 2000 erano 2.353.000. E’ cresciuta in maniera considerevole la richiesta di acquisizione della cittadinanza italiana “per discendenza”. Il posizionamento (primi otto posti) in questa speciale classifica è il seguente: Argentina, Germania, Svizzera, Francia, Brasile, Belgio, Stati Uniti, Regno Unito. Complessivamente il 55% proviene dalle regioni meridionali, il 30% dalle regioni settentrionali, il 15% dalle regioni del centro Italia.
Come ben noto, la dinamica di emigrazione per l’estero continua ancora oggi, con quantità più ridotte, specie per i giovani laureati. Mediamente in Italia ogni anno oltre 100.000 persone abbandonano i luoghi di residenza emigrando all’estero. Prosegue sempre con quantità rilevanti ‘l’emigrazione interna, dalle regioni del Sud verso il centro-nord.
Durante questa lunghissima e drammatica fase emigratoria, solo verso Stati esteri – compreso anche lo spostamento verso Paesi africani situati nelle aree del nord, come avvenuto per alcuni decenni dalla fine dell’800 fino agli inizi del 900 – gli italiani coinvolti sono stati stimati in oltre venticinque milioni (25 milioni). Molti altri milioni di cittadini si sono spostati all’interno della penisola.
Per meglio focalizzare la drammaticità e la “desertificazione” residenziale dell’emigrazione italiana è bene riportare alla comune memoria la situazione in essere in due periodi temporali particolarmente intensi nei processi di abbandono dell’Italia. Nella fase iniziale – 1881 – la popolazione italiana era costituita da meno di 29 milioni di residenti. Nel 1951 i residenti erano circa 48 milioni.
Una imponente massa di intelligenze e sentimenti, persone costrette a fuggire dalle condizioni estreme di povertà. Si sradicarono di fatto dai loro luoghi di origine, lasciando traumaticamente affetti, legami parentali e sociali. Sono stati tutti migranti economici.
Così come avviene oggi per i profughi migranti che fuggono dai Paesi devastati da guerre, carestie, disastri ambientali e fame strutturale.
Come ben noto, moltissimi sono stati i siciliani coinvolti nelle emigrazioni (oltre 2 milioni di persone, solo fuori dall’Italia) nel corso del processo temporale evidenziato. Infatti in questa speciale classifica del dolore, cioè nei dati AIRE, la Sicilia è al primo posto, con 650.000 persone interessate. E’ bene altresì ricordare che fino all’inizio della prima guerra mondiale la componente numericamente più grande di emigranti proveniva dalle regioni del centro-nord Italia: oltre 8.300.000 su un complessivo di 14.000.000. Ebbene, nell’attuale composizione della popolazione residente in Italia una quota preponderante ha nel proprio album di famiglia un emigrante.
Chi aizza contro coloro che cercano protezione e una nuova vita in Italia e In Europa diabolicamente dimentica gli scheletri giacenti nei propri armadi, quelli del ceppo familiare. Nella parte preponderante dei casi le rimesse economiche dei nostri emigrati costituirono per molto tempo il “bonus” fondamentale per vivere. Ovviamente non erano appartenenti alla nobiltà imperante o alle borghesie proprietarie e/o commerciali. Per lo più abbandonavano le campagne, i luoghi dei loro sfruttamenti e di fame secolari.
In gran parte gli italiani emigrati erano giovani, “baldi e muscolosi”. Come avviene oggi con chi sbarca nelle coste siciliane o cerca di venire in Italia in altra maniera. Nella stragrande maggioranza partirono in solitudine. In parecchi casi, bollati come “clandestini”, furono ricacciati indietro. In molti ritentarono ancora. Dopo, superate le spossanti tribolazioni, trovata sistemazione lavorativa – quasi sempre di tipo manuale – le persone sposate richiamarono moglie, figli e altri del ceppo parentale. Il “famigerato” ricongiungimento familiare, oggi messo sul banco degli accusati.
Migrare è stato (ed è) il “sale della vita” che caratterizza da sempre la nostra Gaia Terra. Nel corso della storia umana si sono spostati in molte centinaia di milioni. Da tutti i continenti, verso altri lidi, per cercare di dare risposta a una necessità elementare che riguarda tutti gli Umani: vivere senza atroci stenti, in libertà e senza sopraffazioni. Nei fatti – dati i processi storici che si sono determinati – siamo tutti meticci.
Infine è opportuno evidenziare che sul piano dei valori e delle regole sociali nulla è stato regalato. I processi di forte avanzamento democratico sono stati determinati dalle lotte di Liberazione contro il nazifascismo, in Italia e in Europa; compreso lo smantellamento delle violente azioni colonialiste che avevano caratterizzato gli ultimi secoli. Si costruirono le fondamenta per realizzare un modello sociale e politico basato sulla “fratellanza” e sulla solidarietà operativa, diffusa e di massa. Quindi con l’inserimento nei tessuti sociali di coloro che cercavano accoglienza, sostegno e lavoro. Pur con le contraddizioni “gestionali” in essere, in Europa molte decine di milioni di persone provenienti da tutte le partì del mondo stanno dando il proprio vitale contributo al contesto economico e sociale. Del resto i nostri valori costituzionali giustamente mettono in primo piano i postulati di accoglienza e rispetto (trave portante per tutte le democrazie) per gli uomini e le donne che scappano dalle guerre e da condizioni catastrofiche di vita.
Caro Domenico,
grazie per questa riflessione che opportunamente rammenta come gli italiani sono stati, e sono tuttora, un popolo di migranti. Purtroppo, il rapporto degli italiani con la loro storia di (e)migrazione è un tema sul quale si è sorvolato a lungo e, a parte qualche accenno di carattere il più delle volte aneddotico è tuttora assente dal discorso mediatico.
Un solo appunto: con il termine ‘migrante economico’ in verità si intende coloro che si spostano per non altre ragioni che migliorare le loro condizioni professionali ed economiche (quindi si escludono generalmente rifugiati e richiedenti asilo). E’ una delle molteplici categorie create dall’Occidente per ingabbiare coloro che si spostano da un posto all’altro del mondo. Creano una gerarchia di diritti concessi o, il più delle volte, negati ai migranti. In questo scenario, convenzionalmente, il cosiddetto ‘migrante economico’ è quello messo meglio, perché nel clima di avversione verso chi si sposta da un posto all’altro del mondo (e soprattutto verso l’Europa) fa meno paura qualcuno che si muove per ragioni ipoteticamente solo economiche che chi fugge da una guerra. Mi rendo conto che sul piano della logica è un discorso surreale, ma questi sono i termini sui si gioca il destino di molte, troppe persone.
In particolare ho voluto appositamente richiamare i cosiddetti “migranti economici”. Termine generico che essenzialmente comprende i derelitti per fame che vivono in condizioni di estrema povertà ( ovviamente le cause sono diverse). Così come storicamente è avvenuto per gli emigranti italiani……e non solo. Nello scritto un breve accenno è dedicato ai profughi politici perseguitati dalla dittatura fascista.
Scusa Domenico, non voglio apparire pedante, il mio è inteso come commento utile e costruttivo. La tua interpretazione (e uso) di ‘migrante economico’ è errata. E’ importante usare i termini per quello che significano. Rimando alla definizione di migrante economico offerta dall’Accademia della Crusca:
‘È proprio questa la caratteristica che contraddistingue il rifugiato rispetto al migrante economico: se il migrante economico sceglie liberamente di lasciare il proprio Paese in cerca di un futuro migliore dal punto di vista economico, sociale o culturale, il rifugiato è forzato a farlo’.
Il testo completo:
http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/migranti-profughi-rifugiati-anche-parole-mig
Se può interessarti, ti segnalo il mio libro ormai vecchio di dodici anni fa dove ho esplorato la difficile relazione tra emigrazione italiana e immigrazione in Italia (La mia casa è dove sono felice. Storie di emigrati e immigrati).
http://www.tecalibri.info/M/MAURO-M_casa.htm
Un caro saluto,
Max
Nella mia antica diretta esperienza di emigrazione fuori dall’Italia – limitata nel tempo-, rapportandomi con tanti italiani direttamente conosciuti, ho ben compreso che le estreme privazioni nelle condizioni di vita ( disoccupazione, precarietà, sfruttamento, povertà) sono determinanti per lasciare il luogo natio. Sono di fatto fattori di costrizione. E’ “forzato a farlo”.
Cordiali saluti