I misteri di Mariupol

articoli, video, vignette e canzoni di Mauro Biani, Leonardo Tricarico, Régis Le Sommier, Toni Capuozzo, Martina Giuntoli, Francesco Tallarico, Matteo Saudino, Giulia Burgazzi, Francesco Santoianni, Alberto Castelli, Al Mayadeen, Antonio Mazzeo, Francesco Masala, Víctor Honorato, Pepe Escobar, comidad, Jacques Baud, Josephine Carinci, Maurizio Maggiani, Edoardo Bennato, Gianfranco Pagliarulo, Giorgio Bianchi, Carlo Rovelli, Vincenzo Costa, Gianni Minà, Angelo Gaccione, Peppe Sini, Alan Woods

Le parole sono pietre – Francesco Masala

 

– se dopo 50 giorni di guerra i civili uccisi in Ucraina sono 1932 (fonte Nazioni Unite) usare la parola genocidio da parte di Biden, da parte di c’è dietro, da parte di chi (Usa ed Europa in primis), solo negli ultimi 20 anni, ha scatenato guerre, invaso altri paesi sovrani, causato morti a sette cifre, è un messaggio di pace vero, o il segnale che la guerra non deve finire mai?

– non sarebbe meglio per Joe Biden che abbandonasse la Casa Bianca e tornasse a casa a giocare al piccolo chimico con Hunter jr.?

– in Italia, paese della commedia dell’arte, del grottesco e nella nausea il Parlamento all’unanimità istituisce la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini  per il 26-1, cioè il giorno prima della giornata della Memoria.

ricorderemo e celebreremo contemporaneamente l’invasione della Russia da parte dei nazisti e dei fascisti (che avevano mandato i poveri alpini con le scarpe di cartone) e il giorno dopo ricorderemo e celebreremo la data dell’ingresso dell’esercito liberatore russo ad Auschwitz, tutto fa spettacolo.

magari si potrà dire che la guerra era la stessa, e che celebrare gli alpini è anche glorificare il fascismo, che li ha mandati a morire?

 

si teme che fra breve il 24 aprile diventi la Giornata nazionale della memoria dei ragazzi di Salò, con voto all’unanimità, da parte di un Parlamento eletto dagli italiani e che, va da sè, li rappresenta all’unanimità (e se i sondaggi non dicono così è chiaro che sono sbagliati)

 

– ma cosa ci sarà sotto l’acciaieria di Mariupol?

forse il virus del Covid-19, del Covid-22, del Covid-24?

forse i prototipi della armi di distruzione di massa, quelle vere, che Colin Powell non potrà mai vedere?

forse altre armi biologiche inimmaginabili?

o forse c’è Il Grande Fratello, ma nessuno esce?

ci sono problemi di sceneggiatura o c’è un lungo torneo di poker?

e se è vero che dentro ci sono un po’ di rappresentanti della Nato, cosa aspettano i governi occidentali a spiegare perché?

la glasnost andava bene per Gorbaciov e i russi, ma per noi la trasparenza non vale?

 

– dopo il successo dell’European peace facility per l’acquisto e l’invio di armi per la pace i vigili del fuoco temono una proposta dell’European fire facility per la sostituzione dell’acqua con la benzina per lo spegnimento degli incendi.

– effetti collaterali delle sanzioni: nella fretta di annullare tutti i contratti presenti e passati con la Russia, l’Alaska sarà restituita alla Russia?

 

– da troppo tempo, in Europa, gli unici statisti buoni sono quelli morti

 

 

 

 

 

 

Referendum europeo sulla guerra in Ucraina: quanti europei vogliono guerre, riarmo e nucleare?

Siamo al secondo mese di conflitto, un conflitto che si svolge in Europa ma i cui interessi sono internazionali.

Un conflitto che annunciano durare per anni.

Un conflitto che rischia di diventare la terza guerra mondiale nucleare.

La propaganda di guerra tenta di giustificare in tutti i modi l’intervento armato e la necessità per i paesi europei di dedicare ingenti somme della spesa pubblica al rifornimento di armamenti.

Ma i cittadini europei sono d’accordo? Una guerra in casa e la voce dei cittadini europei non viene consultata, se non peggio, è oscurata se fuori dal mainstream.

I promotori della campagna EuropeforPeace lanciano questo sondaggio europeo con lo scopo di dar voce a chi non viene interpellato, con lo scopo di contarci, di capire quanti in Europa credono nel potere delle armi e quanti credono che la forza della nonviolenza sia l’unica soluzione per un futuro comune.

Il sondaggio è in 4 lingue e vuole raggiungere milioni di voti in tutt’Europa per portarne l’esito al Parlamento Europeo e ribadire che il popolo è sovrano anche quando sceglie la nonviolenza, l’educazione e la sanità, piuttosto che guerra e armi.

Facciamo un appello a tutte le forze pacifiste e nonviolente, che credono che l’Europa possa essere paladina di pace e non vassallo di guerra, ad unirsi ai promotori per diffondere insieme questo referendum affinché possa raggiungere ogni cittadina e cittadino europea, perché la nostra voce conta!

Potremo scoprire che a contarci siamo la forza più grande, siamo un grande movimento europeo che converge sul dire che la Vita è il valore più prezioso e non v’è nulla al di sopra di essa.

 

Contiamoci… vota anche tu!

https://www.surveylegend.com/s/43io

 

da qui

 

 

 

 

 

 

La via del melo – Toni Capuozzo

 

Di Maio. “Chi nega Bucha alimenta la propaganda russa che provoca morte” . Nel suo italiano stentato il ministro degli Esteri vuole essere definitivo. Avrei qualche domanda per lui, come per Giletti, per la veterinaria di Open e tanti altri.

Cosa vuol dire negare ? Non c’è dubbio alcuno che i russi abbiano commesso crimini durante l’occupazione di Bucha. A testimoniarlo ci sono le fosse comuni scavate dietro alla chiesa. I 350 corpi che contengono raccontano quello che è successo. Le mie perplessità riguardano i morti che dal 3 aprile vengono ritrovati per strada, in quella ormai tristemente famosa via Jablonskaja, la via del Melo. Il mio dubbio è che quei cadaveri non appartenessero all’orrendo capitolo precedente (i russi se n’erano andati il 30 marzo) ma fossero il risultato di un’operazione di un corpo speciale della polizia ucraina (ho riportato l’articolo della stampa ucraina che annunciava la caccia a Bucha di sabotatori e collaborazionisti). Oppure che fossero vittime dei russi recuperati dalle cantine e dai cortili e disposte sulla strada a beneficio delle televisioni. Come ricorderete, a smentire questa ipotesi apparvero subito foto da satellitari e da droni che retrodatavano la presenza di quegli stessi corpi almeno al 19 marzo.

-come si sono conservati i corpi nelle strade per due settimane, in un clima freddo ma umido, con animali randagi e selvatici ?

-come mai alcune vittime avevano i fazzoletti bianchi al braccio ?

-come mai alcune vittime avevano accanto a sé razioni dell’esercito russo ?

-come mai non c’è quasi mai sangue e mai un solo bossolo accanto ai corpi ?

-come mai ci sono immagini che ritraggono militari ucraini che trascinano i corpi con cavi, andando oltre la semplice precauzione di spostarli di mezzo metro, rivoltandoli, così da appurare che non siano minati ?

-Come mai un video apparso su Telegram di un certo Boatman, il 1 aprile da Bucha, non dice nulla sui morti per strada. Unico fatto di rilievo l’incontro con un parlamentare del partito di Zelensky (Boatman lo descrive come “scuro di pelle”, nota inevitabile per un suprematista bianco come lui. Russo, Boatman è al secolo Sergey Korotkikh, ricercato per l’omicidio di due immigrati davanti a una bandiera nazista. Ripara in Ucraina e nel ’14 partecipa alla guerra civile antirussa, ricevendo il passaporto ucraino, e la nomina a capo di una squadra speciale della polizia).

-come mai in un altro video si vede la squadra di Boatman apprestarsi a operare e uno di loro chiede cosa si debba fare di persone incontrate senza il bracciale blu degli ucraini. “Sparagli, cazzo” è la risposta di Boatman.

-come mai si continua caparbiamente a ignorare l’operazione dei corpi speciali della polizia, iniziata il 1 aprile – i russi si sono ritirati il 30 marzo – di bonifica da esplosivi, sabotatori e collaborazionisti ? Ne dà notizia, quel giorno, la stampa ucraina. E poi non si sa come si a andata, se abbiano trovato collaborazionisti o meno.

– come mai sono apparse su Telegram conversazioni che maledicono Boatman per aver rovinato tutto con i suoi video ? “ eravamo d’accordo – lo era, non lo era – gonfiamo per il bene di un pubblico europeo impressionabile, finalmente ci passano armi pesanti e difesa aerea. Cioè, i nostri “alleati” sono tali che non gli bastano gli attacchi missilistici sulle città, per loro. Ok, stiamo lavorando. L’informazione principale è andata, lo straniero l’ha raccolta .. e poi la Guardia Nazionale e il Nostromo sono usciti dalla tabacchiera come un coglione con i loro video divertenti sulla pulizia di Bucha….”

Perchè, intervistato dalla stampa italiana, al becchino di Bucha non viene fatta la più semplice delle domande: come mai ha rischiato la vita per inumare i morti nella Bucha occupata dai russi e , quando i russi se ne sono andati, li ha lasciati invece per strada ?

-come mai quelle vittime sono state lasciate per settimane, secondo la foto satellitare, senz aun solo gesto di pietà, come se fossero morti altrui, da schivare e basta ?

-come mai la Croce Rossa Internazionale non è stata convocata subito sul luogo del massacro ?

Non devo ripetere a ogni passo che non sono filoputin, né filorusso. Sono solo convinto per esperienza che purtroppo la guerra è il regno dell’odio, delle vendette, delle manipolazioni. . In guerra puoi essere disciplinato, se la combatti o te ne fai travolgere. Se sei giornalista, anche quando hai chiaro dove risieda la ragione e dove il torto, dove l’aggressore e dove l’aggredito, sai che le linee nette del Bene e del Male vengono scavalcate con facilità, e resta il dovere di ragionare sui fatti, anche quando non coincidono con la tua visione delle cose, e specie quando fanno fare alla guerra un salto di qualità, come una chiamata alle armi.

da qui

 

 

I GIORNI DELL’ORCO – Peppe Sini

“Quando la guerra comincia
forse i vostri fratelli si trasformeranno
e i loro volti saranno irriconoscibili.
Ma voi dovete rimanere eguali.

Andranno in guerra, non
come ad un massacro, ma
ad un serio lavoro. Tutto
avranno dimenticato.
Ma voi nulla dovete dimenticare.

Vi verseranno grappa nella gola
come a tutti gli altri.
Ma voi dovete rimanere lucidi”
(Bertolt Brecht)

1. Il dottor Kurtz, suppongo
Non sembrano affatto interessati a far cessare le stragi i governi coinvolti nella guerra scatenata dal folle e criminale governo russo contro la popolazione ucraina.
Non c’e’ stato un solo governo che abbia raccolto e sostenuto la proposta della tregua pasquale che poteva fermare la guerra: ne’ quello aggressore russo, ne’ quello ucraino, ne’ quello americano, quello inglese e quelli dell’Unione Europea (e figurarsi i vertici razzisti e bellicisti dell’UE, ormai oscenamente indistinguibili dai vertici dell’organizzazione terrorista e stragista della Nato) che tutti cooperano allo sterminio della popolazione ucraina e alla distruzione delle citta’ ucraine.
Si’: cooperano allo sterminio della popolazione ucraina tutti i governi che invece di operare per la pace favoreggiano la guerra e le stragi di cui la guerra consiste. E l’autocrate Putin ne e’ maestro e donno.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
*
2. Sull’orlo dell’abisso
Cosa vogliono tutti questi governi? Vogliono cose diverse, e’ chiaro, ma per ottenerle cooperano tutti alla stessa cosa: lo sterminio della popolazione ucraina.
Cosa sono questi governi, tutti questi governi? Sono i massacratori della popolazione ucraina.
E non solo.
E’ nell’ovvia dinamica escalativa della guerra che se non ci si impegna per la sua cessazione essa si espande. Da guerra locale si fa regionale, da regionale si fa continentale, da continentale mondiale. E mondiale significa nucleare. E nucleare significa che puo’ distruggere l’umanita’ intera.
Questo e’ cio’ che abbiamo di fronte: lo sterminio della popolazione ucraina, il crescente pericolo dell’annientamento atomico dell’umanita’.
C’e’ solo un modo per salvare la popolazione ucraina dallo sterminio: la pace subito.
C’e’ solo un modo per salvare l’umanita’ intera: la pace subito.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
*
3. Ercole al bivio
Ci sono solo due modi in cui una guerra puo’ concludersi: o facendo un deserto, o con un negoziato che porti alla pace.
I governi impazziti sembrano volere il diluvio di sangue e il deserto.
L’umanita’ intera chiede il negoziato che porti alla pace.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
*
4. Dinanzi all’orgia dell’orco
All’orgia di violenza che sta massacrando la popolazione ucraina e sta minacciando l’apocalisse atomica occorre opporre la forza della verita’: satyagraha; occorre opporre la nonviolenza: ahimsa.
All’uccisione degli esseri umani occorre opporre l’impegno a salvare la vita di tutti gli esseri umani.
Al male occorre opporre il bene.
Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’ dalla catastrofe.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
*
5. Noi senza potere
Cosa dobbiamo fare noi senza potere?
Dobbiamo esercitare il nostro potere, il potere dei senza potere.
Dobbiamo soccorrere, accogliere, assistere tutte le persone in fuga dalla guerra: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo inviare aiuti umanitari alla popolazione ucraina, tutti gli aiuti umanitari possibili: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo far giungere in Ucraina da tutto il mondo migliaia, milioni di persone disarmate a fare interposizione nonviolenta e soccorso umanitario, con il patrocinio e la guida dell’Onu: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo sostenere la resistenza nonviolenta della popolazione ucraina: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo sostenere l’opposizione nonviolenta della popolazione russa contraria alla guerra e al regime; l’opposizione nonviolenta che chiede giustizia e liberta’, democrazia e diritti umani, legalita’ e pace: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo insorgere nonviolentemente contro la guerra e contro le armi: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo insorgere nonviolentemente per imporre ai governi assassini – il governo russo aggressore, ma anche tutti gli altri governi coinvolti nella guerra e nelle stragi di cui la guerra consiste – il cessate il fuoco e i negoziati di pace: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo insorgere nonviolentemente per far cessare l’invio di armi che alimenta la guerra e le stragi: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo insorgere nonviolentemente per fermare il riarmo che minaccia l’umanita’ intera: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo insorgere nonviolentemente per far cessare le cosiddette “sanzioni” che invece di contrastare la guerra la favoreggiano, che invece di colpire gli sfruttatori e i massacratori colpiscono innanzitutto le classi sociali sfruttate ed oppresse impoverendole ancora di piu’ ed esponendole a piu’ gravi sofferenze e pericoli: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo insorgere nonviolentemente per lo scioglimento della Nato, un’organizzazione terrorista e stragista i cui vertici vanno processati e condannati per i crimini di guerra ed i crimini contro l’umanita’ commessi negli ultimi decenni: salvare le vite e’ il primo dovere.
Dobbiamo insorgere nonviolentemente per imporre al governo italiano il rispetto della Costituzione italiana che ripudia la guerra: salvare le vite e’ il primo dovere.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
*
6. Da quale pulpito
Capita anche a chi scrive queste righe di ricevere ogni giorno la sua razione di insulti dagli ultras della guerra sia sedicenti filorussi che sedicenti filoamericani, uniti nella convinzione marinettiana che la guerra sia la sola igiene del mondo (e quanto agli esseri umani che essa schiaccia e divora: “avanti, alo’, chi more more”).
Vecchio come sono non mi curo delle vociferazioni, vorrei solo che ci si concentrasse su cio’ che veramente conta: fermare la guerra e le stragi; soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto; salvare tutte le vite.
Sono solo una persona amica della nonviolenza, che condivide l’appello per la pace, il disarmo e la salvezza dell’umanita’ che promossero Albert Einstein e Bertrand Russell che recava queste indimenticabili parole: ricordatevi della vostra umanita’.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.

 

 

 

Cosa si nasconde nei sotterranei di Mariupol? PIT 404, il biolab che può dare scacco matto – Martina Giuntoli

 

Avreste mai pensato potesse esistere una matrix nella matrix?  Beh, se la risposta è no, potrebbe essere arrivato invece il momento di ricredervi.  E’ il celeberrimo giornalista geopolitico Pepe Escobar a raccontarci una storia davvero pazzesca.

Per capire la  portata devastante della ricostruzione proposta da Escobar, basti sapere che in seguito ai suoi tweet, il giornalista ha avuto il suo seguitissimo account social sospeso, magari un segno nemmeno troppo velato che le sue parole non solo  davano fastidio a qualcuno, ma che stavano letteralmente scoperchiando un potenziale gigantesco vaso di Pandora.

Escobar parla di una struttura super segreta,  un laboratorio concepito esclusivamente per lo sviluppo di armi biologiche letali dal nome PIT-404 gestito dalla Nato, che sarebbe collocato a Mariupol, Ucraina, sotto le acciaierie dell’Azovstal. Secondo quanto si apprende da altre pagine social, il laboratorio si troverebbe precisamente a 30 metri di profondità, e sarebbe suddiviso in un dedalo di tunnel per un totale di 24 km di estensione,  ospitando all’incirca una popolazione di 3250 persone di cui 3000 militari o guardie e i rimanenti, invece,  personale NATO, ufficiali, diplomatici e scienziati tra cui  italiani, canadesi, tedeschi, turchi, svedesi, polacchi, francesi (anche della legione straniera).

Il nome dell’ipotetico laboratorio ha tra l’altro una bizzarra assonanza con il messaggio  informatico “404, page not found”, in questo caso potremmo dire “404, lab not found”, che quindi ne rivendicherebbe la segretezza più assoluta. Il PIT-404 sarebbe l’area 51 dei laboratori. E così è stato finché, sempre secondo la ricostruzione operata da Escobar, i russi hanno localizzato il luogo proibito.

Ingabbiati e con i russi alle calcagna, alcuni dei residenti del sotterraneo, che pare fosse chiamato amorevolmente dal battaglione Azov “la Fossa”, avrebbero quindi tentato  disperatamente la fuga. Chi non ricorda gli appelli di Macron per attivare corridoi umanitari nei giorni scorsi? Sempre secondo le stesse fonti, Macron avrebbe chiesto l’attivazione dello strumento umanitario non per permettere ai civili di lasciare il paese, ma per consentire la fuga del personale francese dal laboratorio, fuga a tutti gli effetti fallita.

Di fronte al PIT-404, Putin avrebbe potuto facilmente far saltare il laboratorio in aria insieme a coloro che vi erano dentro. Se così ha preferito non agire, c’è un motivo che è a questo punto facilmente comprensibile. Quello che si trova nel sottosuolo sarebbe troppo prezioso per spazzarlo via, meglio quindi salvare quanti più documenti  e testimoni possibili da utilizzare in quello che Escobar chiama “una vera Norimberga-2“, un processo per il quale la Commissione Investigativa Russa starebbe mettendo insieme prove di ogni genere e che starebbe preparando per mostrare al mondo i crimini dell’Occidente.

La resa dei conti quindi sarebbe assolutamente vicina e gli atlantisti sembrerebbero ormai non avere scampo secondo Escobar. Egli  infatti racconta anche di chi e come sarebbero stati trovati i finanziamenti per il laboratorio. Secondo la sua ricostruzione, gli esperimenti sarebbero stati condotti con l’aiuto della compagnia chiamata Metabiota, la stessa compagnia che il figlio di Joe Biden, Hunter Biden, avrebbe aiutato a finanziare per anni con denaro dei pubblici contribuenti statunitensi, informazione recentemente fuoriuscita dalle mail contenute nel suo laptop.

E mentre il mainstream racconta soltanto della (strana) lunga permanenza dei russi a Mariupol nella zona delle acciaierie, permanenza che troverebbe apparente spiegazione nell’obiettivo russo di affrontare il battaglione Azov,  la ricostruzione di Escobar permetterebbe di comprendere la partita in gioco: in un colpo solo, Putin potrebbe dare scacco matto alle forze NATO e agli USA in primis.

da qui

 

 

 

Base segreta della Nato a Mariupol: un giallo internazionale – Francesco Tallarico

 

…La faccenda è talmente imbarazzante che il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, si è precipitato a Mosca lunedì scorso per conferire con Putin. Il bilaterale assai riservato si è svolto nella residenza di Putin a Novo-Ogaryovo. Dopo l’incontro il cancelliere austriaco ha riferito che i colloqui con Putin sono stati “aperti e duri”. Ha, poi, affermato Nehammer “questa non è una visita amichevole. Sono appena arrivato dall’Ucraina e ho visto con i miei occhi le incommensurabili sofferenze causate dalla guerra di aggressione russa”.

Queste le dichiarazioni ufficiali. Ma, in realtà, il cancelliere austriaco avrebbe implorato il presidente della Federazione Russa di consentire l’apertura di un corridoio a Mariupol, per fare evacuare i 240 ufficiali della Nato intrappolati nella base segreta Pit-404. A questo punto è anche facile intuire chi abbia inviato il cancelliere austriaco a Mosca. Sembra che la risposta di Putin sia stata del tutto negativa. Si attendono ulteriori sviluppi.

da qui

 

 

50 GIORNI PIU’ UNO – Toni Capuozzo

 

La pace è un’illusione, ormai. C’è solo da capire fino a quando e se resterà una guerra confinata lì, anche se ormai è combattuta molto al di fuori del campo di battaglia vero e proprio. L’Ucraina ha dimostrato di saper resistere, e dunque appare un po’ più forte (coraggio, ma anche l’appoggio di intelligence e di armamenti Nato). La Russia appare più debole, o meno forte di quanto apparisse 50 giorni fa. La Nato va forte: c’è la coda per entrare a farvi parte. Gli Stati Uniti vanno alla grande: hanno l’Europa raccolta attorno alla Nato, stanno cercando di trasformare l’Ucraina in una trappola per l’incauto Putin. I negoziati stanno a zero, virgola. Il pacifismo anche. L’opinione pubblica – e l’informazione – europea appaiono pronte a una possibile escalation. “Vincere”, è la parola d’ordine, ormai, dell’Unione Europea, che non si accontenta di respingere l’invasione, ma cosa vuol dire ? Riprendere Crimea e repubblichette del Donbass ? Per bene che vada ci siamo infilati in una guerra civile di confine, senza sapere come e dove uscirne. Per male che vada, meglio non pensarci. Quanto a certezze, restano i numeri, al cinquantesimo giorno:

MILITARI RUSSI UCCISI 19.900, fonte Esercito ucraino

CIVILI UCCISI 1932, fonte Nazioni Unite

CRIMINI DI GUERRA RUSSI sotto investigazione 6482, fonte Procura di Kiev

PROFUGHI IN ITALIA 92716 di cui 34223 minori e 10566 uomini…

continua qui

 

 

 

Anche il pensiero si militarizza ma io resto un pacifista armato – Maurizio Maggiani

Diamo tutto alla guerra, dai soldi alle armi e al tempo, tranne i nostri corpi. In questo momento gli intellettuali si sono trasformati in grandi semplificatori.

 

(La Stampa, 15/04/22)

 

Siamo in guerra, dico noi, dico questo Paese. È un fatto; ed è proprio guerra, visto che dai nostri più alti rappresentanti ci è stato detto, e più correttamente intimato, di non poterci ritirare nella neutralità e consentirci la viltà del né né, visto che abbiamo chiaro e tondo un nemico, visto che alimentiamo di flusso continuo di risorse la resistenza del paese amico. Il nemico è alle porte, alle porte d’Europa, alle porte di casa, nutrito di insensata ferocia non chiede e non dà pace, e così guerra è la parola nelle nostre menti e sulle nostre labbra, e non ci sono altre parole se non vittoria o sconfitta, la parola pace si è fatta lenitiva bugia. Al momento solo una cosa rifiutiamo alla guerra, ciò a cui la guerra più anela, i nostri corpi, poi si vedrà; ma per il resto le diamo con generosità ciò che chiede, i nostri soldi, le nostre armi, le nostre leggi, i nostri discorsi, il nostro tempo. Già, la guerra, e la vittoria, impongono la militarizzazione di tutte le risorse del Paese, l’economia, la finanza, la politica, e naturalmente la cultura. La militarizzazione del pensiero, la brigata degli intellettuali combattenti. Così poco avvezzi alla nuova condizione di risorse essenziali, sono presi da un ardore, persino un furore, ignoto non di rado agli stessi militari di consolidata professione. Certo, è loro facoltà di guerreggiare con la pelle degli altri, ma non per questo è un disonore.

Quando il più limpido e generoso tra gli intellettuali della Rivoluzione Italiana, Giuseppe Mazzini, pretese di impugnare il fucile per la difesa della sua Repubblica Romana, il generale Garibaldi ordinò che gli fosse tolto di mano prima che potesse fare danni a sé e ai pochi difensori ancora in armi; diversamente Carlo Pisacane, altrettanto intellettuale, fu un valoroso combattente in corpore vili, ma data la disgraziatissima conclusione del suo fisico impegno, non è onesto pretendere che abbia degli emuli, oggi la vita ha un prezzo diverso. La vocazione degli intellettuali della contemporaneità è piuttosto un posto di rilievo nello stato maggiore. Siccome sono quelli che la sanno più lunga di tutti, la loro attitudine elettiva è il delicatissimo lavoro di intelligence, dove svolgono un servizio prezioso di cui si caricano volentieri. In particolare nell’immediato, lo smascheramento dei nemici interni, i traditori dei valori, i trasgressori della consegna morale del patriottismo, gli utili idioti del nemico, consapevoli o meno che siano. Ma il grosso del lavoro è un altro, agli intellettuali è affidato il ruolo strategico di semplificatori del pensiero. La guerra è la semplificazione assoluta, per militarizzare il pensiero occorre semplificarlo; in tempo di guerra non si può stare lì a discutere, a spaccare il capello in quattro, non c’è tempo per troppe domande perché non c’è tempo per le risposte, il tempo di guerra è prezioso. No, non è tempo per esercizi spirituali, per esami di coscienza, per interiori interrogativi, non è il tempo di sant’Agostino e nemmeno di Edgard Morin, la complessità infiacchisce, demoralizza, distoglie, offusca. E men che meno è tempo di oziare sul pregresso, sulle cause, c’era tempo prima per questo, ce ne sarà dopo, questi ora sono materiali per i volantini di propaganda del nemico. Ora è il momento della semplicità perché semplice è la questione, o con noi o contro di noi, o per la vittoria o avverso alla vittoria. E la semplicità si nutre di ciò che ha più potere sugli uomini, che non è né la ragione né la coscienza, ma i sentimenti crudi e definitivi, le emozioni intestine, la paura, l’orrore, la vendetta.

Dico questo e sono, seppur per ben modesta parte, un intellettuale, un cosiddetto lavoratore della mente; e vabbè, come se mio padre non lavorasse con la mente mentre con le mani scalpellava. Sono questo e rifiuto il mio posto nello stato maggiore, ma pretendo il diritto di continuare ad essere anche in tempo di guerra quello che ero ieri; al pari del mio pensiero, il mio lavoro non è ora diverso. Posso? Posso pensare di vivere in un momento della storia di enorme complessità, e nel dirlo posso pensare di essere di una qualche utilità? Non per la vittoria, nell’umanità in cui credo e spero la guerra non ha vincitori; ma perché ora, in questo momento, mentre si decide per l’oggi lo si fa anche per il domani, per tutto quello che sarà a venire per l’Ucraina, per il mondo, per qui, per quello che chiameremo pace. Eh, sì, sono un pacifista, lo sono al modo meno simpatico, perché sono un pacifista armato, e fermamente credo alla pace tra gli oppressi e la guerra agli oppressori. Che vedo bene quali sono e dove sono, con la complicazione che non so distinguere tra umano e umano, e dunque il mio orizzonte è tragicamente più vasto persino degli sconfinati orizzonti della steppa. Posso pensare e dire che insorgo con il popolo ucraino, ma non intendo farlo a nome e per conto del suo e nemmeno del mio governo? Posso pensare che anche il popolo delle Russie è oppresso dal suo stesso governo, e se insorgerà sarà per me la stessa urgenza e lo stesso impegno? E altrettanto per ogni altro popolo, per ogni altro umano? Posso, intanto che un popolo ne subisce le mortali conseguenze, interrogare chi di dovere sulle cause e sulle responsabilità intorno alle cause? Ora, perché ogni volta che si è detto non è questo il momento, quel momento non è arrivato mai? Eccetera, eccetera, eccetera. Pacifista armato ho per armi il mio pensiero e il mio corpo, solo queste. Del mio corpo mi è stato detto che ora ridotto com’è non saprebbero di che farsene, ma il mio pensiero così complicato, e i complicati pensieri di altre coscienze non conformi allo stato di guerra, possono essere di una qualche utilità per la libertà nella pace e nella giustizia del popolo ucraino, e anche del mio? È morto pochi giorni fa un vecchissimo contadino che incontrandomi per i campi mi salutava così, pace e libertà. È bene per la vittoria che con lui sparisca dal teatro bellico anch’io?

 

 

 

 

Come l’Isis: un video dell’Ucraina incoraggia a sgozzare i russi. Che subito rispondono – Giulia Burgazzi

 

L’Ucraina deve essere diventata un posto ben triste, se i suoi messaggi motivazionali sono di questo genere. Il video di propaganda bellica pubblicato in alto non è un fake: l’ha, diciamo, recensito perfino RaiNews, pur oscurandone una parte “per ragioni di opportunità e sensibilità”. Una bella fanciulla incoraggia infatti a sgozzare i russi, mostrando esplicitamente sia l’atto sia il risultato.

I russi hanno risposto con il video qui sotto. Non è un pugno nello stomaco come l’altro. Gli omaccioni in mimetica e col fucile in mano non danno la risposta più scontata, cioè qualcosa tipo la promessa di impiccare con le sue stesse budella la protagonista del video ucraino, l’attrice Adrianna Kurilets. Scelgono piuttosto l’ironia. Dicono che in Ucraina gli uomini devono vergognarsi perché costringono una ragazza a difenderli fingendo di uccidere. Scorre in sovrimpressione sulle immagini la traduzione in inglese.

Il video di propaganda ucraina costituisce qualcosa di totalmente inedito in Europa. La protagonista indossa un abito e un copricapo tradizionali. Ha in mano una una falce tipo personificazione della Morte. Taglia letteralmente la gola ad un russo, con altrettanto letterale spargimento di sangue:  non si fa così neanche ad un cane o a un maiale…

L’uomo indossa una maglia a righe che, agli occhi italiani, sembra una replica malriuscita di quelle usate dai gondolieri veneziani. In realtà è la telnyashka, la caratteristica t-shirt indossata dai marinai russi. E’  un prigioniero disarmato e inerme. Giace inginocchiato accanto alla ragazza col la falce.

Alla faccia di qualsiasi Convenzione di Ginevra, lei lo ammazza. Compie l’operazione rimanendo perfettamente impassibile: come se mettesse un timbro su una pratica burocratica.  Ha un labbro tumefatto, per suggerire che le hanno appena mollato un poderoso cazzotto. Ma se anche è stato il russo, qualcuno l’ha già reso inoffensivo: la vita della ragazza non era in pericolo, né corrono ulteriore pericolo i suoi connotati. Eppure lei ammazza l’uomo come neanche si fa con un cane o un maiale.

Onde giustificare l’operazione, snocciola con voce piatta i veri o presunti peccati commessi dai russi nei confronti dell’Ucraina fin dai tempi di Adamo ed Eva, o giù di lì. Anche in questo caso scorre sulle immagini la traduzione in inglese.

Il video sdogana l’uccisione di una persona anche quando non ce n’è bisogno per difendersi o per salvarsi la vita. Contemporaneamente presenta un omicidio come un fatto che non turba né l’animo né la coscienza. Equipara appunto lo sgozzamento all’apposizione di un timbro su una pratica burocratica. Anche il russo non si dibatte, non cerca di fuggire, non urla. Si comporta come se fosse un foglio al momento della timbratura. Privato di qualsiasi sentimento anche lui, come la ragazza: che se vedi dipinto sul volto di qualcuno un sentimento, fosse pure la paura, ti si muove l’anima e non lo uccidi, o se lo fai ti porti dietro qualcosa comunemente definito rimorso.

Qui no. La cancellazione delle emozioni dell’assassina e della sua vittima è pari a quella che si coglieva nelle immagini delle esecuzioni dei prigionieri ad opera dell’ISIS. Foto come questa: ricordate?

 

All’epoca ci indignavamo, noi europei, noi occidentali. Dicevamo: ma com’è possibile, avranno drogato sia i tagliagole sia i prigionieri. Dicevamo che era semplicemente disumano: o forse, appunto, un video motivazionale con attori.

Ora ce l’abbiamo in mezzo a noi, il disumano. Lo ha portato l’Ucraina, il cavallo di Troia inserito nei tanto sbandierati valori europei. Certo: c’è la guerra. Ma anche se c’è la guerra noi, almeno noi, cerchiamo di restare umani.

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Giornata nazionale “per il sacrificio degli Alpini” e l’odio antirusso che si diffonde ad arte – Francesco Santoianni

 

Segno dei tempi la sorprendente istituzione della “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini” definitivamente approvata dal Senato (qui l’elenco dei votanti e degli assenti). Una ennesima “Giornata celebrativa nazionale” che, questa volta “riconosce il giorno 26 gennaio di ciascun anno quale Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, al fine di conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la seconda guerra mondiale, nonché di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano”.

Ma davvero c’era bisogno di commemorare questa battaglia senza dire che il 15 gennaio del 1943, undici giorni prima della battaglia di Nikolajewka, a Rossos, il Comando del Corpo d’armata alpino (non i tedeschi) aveva ordinato l’esecuzione di circa trenta prigionieri russi? Che la “crociata antibolscevica” voluta da Mussolini, è una delle pagine più ignominiose della storia italiana con innumerevoli russi uccisi solo perché difendevano la loro terra e circa 75.000 soldati italiani morti e 32.000 gravemente feriti e congelati? Ma poi, se si voleva davvero celebrare l’”eroismo dei soldati italiani”, non sarebbe stato più logico commemorare l’eccidio di Cefalonia dove, nel settembre del 1943, circa 5.000 soldati italiani furono passati per le armi per essersi rifiutati di continuare a combattere insieme ai tedeschi?

In questi giorni di odio antirusso, si direbbe non se lo domandi nessuno.

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La guerra totale per cancellare la Russia – Pepe Escobar

Strategic Culture

[Tradotto dall’inglese da Nora Hoppe]

Vaste fasce di NATOstan sono state addestrate ad un linciaggio russofobico. Il dissenso non è tollerato.

Ormai è più che chiaro che la campagna russofoba neo-orwelliana “Due minuti di odio” lanciata dall’Impero delle Menzogne dopo l’inizio dell’Operazione Z è in fondo “Odio 24/7″.

Vaste fasce di NATOstan sono state addestrate a comportarsi con un linciaggio russofobico. Il dissenso non è tollerato. La psyop completa ha de facto aggiornato l’Impero delle Menzogne allo status di Impero dell’Odio in una guerra totale – ibrida e non – per cancellare la Russia.

L’odio, dopotutto, colpisce più forte delle semplici bugie, che ora stanno virando verso un ridicolo abietto, come nel caso dell'”intelligence” statunitense che ricorre a – cos’altro – menzogne per combattere la guerra dell’informatione contro la Russia.

Se l’overdrive propagandistico è stato letalmente efficace tra le masse occidentali zombificate – chiamatela una “vittoria” nella guerra delle pubbliche relazioni… è invece sul fronte dove conta davvero – all’interno della Russia – un bel fiasco.

Il sostegno dell’opinione pubblica sia all’Operazione Z che al presidente Putin è senza precedenti. Dopo i video di tortura dei prigionieri di guerra russi che hanno provocato una diffusa repulsione, la società civile russa si sta addirittura preparando per una “Lunga Guerra” che durerà mesi, non settimane, finché gli obiettivi dell’Alto Comando russo – in realtà un segreto militare – saranno raggiunti.

Gli obiettivi dichiarati sono la “smilitarizzazione” e la “denazificazione” di una futura Ucraina neutrale – ma, dal punto di vista geopolitico, vanno ben oltre: l’obiettivo è quello di capovolgere l’accordo di sicurezza collettiva europea post-1945, costringendo la NATO a capire e venire a patti con il concetto di “sicurezza indivisibile”. Questo è un processo estremamente complesso che si estenderà nel prossimo decennio.

La sfera NATOstan non può proprio ammettere in pubblico una serie di fatti che un analista militare del calibro di Andrei Martyanov sta spiegando da anni – cosa si aggiunge al loro dolore collettivo.

La Russia può affrontare la NATO e farla a pezzi in 48 ore. Può impiegare sistemi avanzati di deterrenza strategica senza eguali in tutto l’Occidente. Il suo asse meridionale – dal Caucaso e dall’Asia occidentale all’Asia centrale – è completamente stabilizzato. E se il gioco si fa veramente duro, il signor Zircon può consegnare il suo biglietto da visita nucleare ipersonico senza che l’altra parte sappia nemmeno cosa l’ha colpita.

“L’Europa ha scelto il suo destino”

Può essere illuminante vedere come questi processi complessi vengono interpretati dai russi – i cui punti di vista sono ora completamente bloccati attraverso il NATOstan.

Prendiamo due esempi. Il primo è il generale L.P. Reshetnikov, in una nota analitica che esamina i fatti della guerra di terra.

Alcuni passaggi chiave:

– “Sopra la Romania e la Polonia ci sono aerei della NATO con equipaggi esperti, ci sono satelliti di intelligence statunitensi nel cielo tutto il tempo. Vi ricordo che solo in termini di budget per il nostro Roscosmos abbiamo stanziato 2,5 miliardi di dollari all’anno, il budget civile della NASA è di 25 miliardi di dollari, il budget civile di SpaceX da solo è uguale a quello di Roscosmos – e questo senza contare le decine di miliardi di dollari all’anno per tutti gli Stati Uniti che stanno febbrilmente svolgendo il sistema di controllo dell’intero pianeta.”

– La guerra si sta svolgendo secondo “gli occhi e il cervello della NATO”. Gli ucraini non sono altro che zombie controllati gratuitamente. E l’esercito ucraino è un organismo zombie controllato a distanza”.

– “Le tattiche e la strategia di questa guerra saranno oggetto di libri di testo per le accademie militari di tutto il mondo. Ancora una volta: l’esercito russo sta distruggendo un organismo zombie nazista, completamente integrato con gli occhi e il cervello della NATO”.

Ora passiamo a Oleg Makarenko, che si concentra sul Big Picture.

– “L’Occidente si considera ‘il mondo intero’ solo perché non ha ancora ricevuto un pugno sul naso sufficientemente palpabile. Si dà il caso che la Russia glielo stia dando ora: con il sostegno posteriore di Asia, Africa e America Latina. E l’Occidente non può fare assolutamente nulla a noi, visto che è indietro anche per quanto riguarda il numero di testate nucleari”.

– “L’Europa ha scelto il suo destino. E ha scelto il destino per la Russia. Quello che state vedendo ora è la morte dell’Europa. Anche se non si arriva agli attacchi nucleari sui centri industriali, l’Europa è condannata. In una situazione in cui l’industria europea rimane senza fonti di energia e materie prime russe a buon mercato – e la Cina comincerà a ricevere questi stessi vettori energetici e materie prime con uno sconto, non si può parlare di una vera concorrenza con la Cina da parte dell’Europa. Come risultato, tutto crollerà lì letteralmente – dopo l’industria, l’agricoltura crollerà, il welfare e la sicurezza sociale crolleranno, inizieranno la fame, il banditismo e il caos”.

È giusto considerare Reshetnikov e Makarenko come rappresentanti fedeli del sentimento generale russo, che interpreta il rozzo false flag di Bu?a come una copertura per oscurare le torture dell’esercito ucraino ai prigionieri di guerra russi.

E, ancora più in profondità, Bucha ha permesso la scomparsa dei laboratori di armi biologiche del Pentagono dalla mediasfera occidentale, con tutte le sue ramificazioni: la prova di una spinta americana concertata per impiegare alla fine vere armi di distruzione di massa contro la Russia.

L’imbroglio multistrato di Bucha ha dovuto includere la presidenza britannica del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha effettivamente bloccato una discussione seria, un giorno prima che il Ministero della Difesa russo lottasse per presentare all’ONU – prevedibilmente senza gli Stati Uniti e il Regno Unito – tutti i fatti sulle armi biologiche che hanno portato alla luce in Ucraina. I cinesi erano inorriditi dalle scoperte.

Il Comitato Investigativo Russo almeno persiste nel suo lavoro, con 100 ricercatori che portano alla luce prove di crimini di guerra in tutto il Donbass da presentare in un tribunale nel prossimo futuro, molto probabilmente istituito a Donetsk.

E questo ci riporta ai fatti sul terreno. Ci sono molte discussioni analitiche sulla possibile fase finale dell’Operazione Z. Una valutazione corretta includerebbe la liberazione di tutta la Novorossiya e il controllo totale della costa del Mar Nero che attualmente fa parte dell’Ucraina.

L'”Ucraina” in realtà non è mai stata uno Stato; è sempre stata un’annessione ad un altro stato o impero come la Polonia, l’Austria-Ungheria, la Turchia e, primariamente, la Russia.

Lo stato russo storico era la Rus’ di Kiev. “Ucraina”, in russo antico, significa “regione di confine”. In passato, si riferiva alle regioni più occidentali dell’Impero russo. Quando l’Impero iniziò ad espandersi verso sud, le nuove regioni annesse per lo più dal dominio turco furono chiamate Novorossiya (“Nuova Russia”) e le regioni del nord-est, Malorossiya (“Piccola Russia”).

Toccò all’URSS all’inizio degli anni ’20 buttare tutto insieme e chiamarlo “Ucraina” – aggiungendo la Galizia a ovest, che storicamente non era russa.

Ma lo sviluppo chiave è quando l’URSS si è sciolta nel 1991. Poiché l’Impero delle Menzogne controllava de facto la Russia post-sovietica, non avrebbero mai potuto permettere che le vere regioni russe dell’URSS – cioè Novorossiya e Malorossiya – fossero nuovamente incorporate alla Federazione Russa.

La Russia le sta ora reincorporando – in un modo “I Did It, My Way”.

Vamos a bailar in Puerto Rico europeo

Ormai è anche abbastanza chiaro ad ogni analisi geopolitica seria che l’operazione Z ha aperto un vaso di Pandora. E la vittima storica suprema di tutta la tossicità finalmente liberata è destinata ad essere l’Europa.

L’indispensabile Michael Hudson, in un nuovo saggio sul dollaro americano che divora l’euro, sostiene, quasi per scherzo, che l’Europa potrebbe anche cedere la sua moneta e cavarsela come “una versione un po’ più grande di Porto Rico”.

Insomma, l’Europa “ha praticamente cessato di essere uno stato politicamente indipendente, sta cominciando ad assomigliare più a Panama e alla Liberia – centri bancari offshore con ‘bandiera di comodo” che non sono veri e propri ‘stati’ perché non emettono la propria moneta, ma usano il dollaro americano”.

In sincronia con un bel po’ di analisti russi, cinesi e iraniani, Hudson avanza che è probabile che la guerra in Ucraina – in realtà nella sua “versione completa come la Nuova Guerra Fredda” – duri “almeno un decennio, forse due mentre gli Stati Uniti estendono la lotta tra neoliberismo e socialismo [intendendo il sistema cinese] fino a comprendere un conflitto mondiale”.

Ciò che è contestato, tuttavia, è se gli Stati Uniti, dopo “la conquista economica dell’Europa”, saranno in grado di “bloccare i paesi africani, sudamericani e asiatici”. Il processo d’integrazione dell’Eurasia, in corso ormai da 10 anni, condotto dalla partnership strategica Russia-Cina e che si sta espandendo alla maggior parte del Sud globale, farà del tutto senza esclusione di colpi prighter impedirlo.

Non c’è dubbio, come afferma Hudson, che “l’economia mondiale si sta infiammando” – con gli Stati Uniti che trasformano il commercio in arma. Eppure, sulla parte giusta della storia abbiamo i Rublegas, il petroyuan, il nuovo sistema monetario/finanziario in fase di progettazione in una partnership tra l’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) e la Cina.

E queste sono cose che nessuna misera Guerra di Cancel Culture può cancellare.

da qui

 

 

 

Pace – Gianni Minà

 

Sento da troppi giorni i tamburi della guerra che, in maniera opprimente, si stanno avvicinando sempre di più nelle nostre vite, appesantite dagli affanni, chi più chi meno, della quotidianità, ma non certo lacerate dai drammi che la guerra porta.

Ho 84 anni, ero un bambino durante la seconda guerra mondiale, ma mi ricordo molto bene il tragico bagaglio che aveva portato: mio nonno ferroviere fu ucciso in un bombardamento degli alleati mentre stava lavorando insieme ai suoi colleghi, la disperazione dei miei, la fatica e la paura di essere sfollati, la mancanza del cibo, il freddo, il terrore di chi rischia la morte per un tozzo di pane, le file interminabili per l’acqua. E poi, i grandi egoismi di molti, i gesti eroici di pochi, la generosità e l’altruismo esercitati in silenzio di altri.

Oggi la mia mente ripercorre quei ricordi dolorosi e vedo che nulla è cambiato: c’è chi inneggia alla guerra, anche nucleare, incurante dei dolori che porta, chi si fa alfiere di vari interessi, chi randella quotidianamente chi la pensa in maniera critica, azzerando il confronto e trasformando il dialogo in una assurda polarizzazione: amico di Putin se sei per la pace o difensore della democrazia se aderisci all’invio di armi per l’Ucraina. Perfino il Papa è stato dichiarato “pacifista estremista”, come se invocare la pace fosse da vigliacchi o peggio, da inetti, incapaci di “prendere una posizione”.

Roba da matti, o da incoscienti. O roba da falchi…

Anche Raniero La Valle, un giornalista e mio antico collega della Rai, che ha prodotto storici documentari sulla Palestina, la Cambogia e il Vietnam, nel suo editoriale su Facebook, sostiene di aver paura della guerra, perché: “anche a noi fu detto “Vincere! E vinceremo”, come infatti accadde con armate straniere che si combatterono sul nostro suolo e dal cielo distrussero le nostre città. (…) Ma noi abbiamo paura che le ultime notizie, magari come allora nascoste nelle “brevi” e poi a lungo secretate, ci informino di un’azione altamente meritoria e densa di valori imperituri come quelle compiute a Hiroshima e Nagasaki; abbiamo paura di perdere non la vita, ma ciò per cui abbiamo combattuto per tutta la vita: per la pace, la libertà, l’onore, la difesa dei popoli martoriati ed oppressi dalle colonie, dagli Imperi, dalla Trilaterale, dagli Esodi, dalle guerre bipartisan, dalla fame, dalla “giustizia infinita” inalberata per gratificare il mondo intero della democrazia, dei respingimenti, dei porti chiusi e delle estradizioni; così come abbiamo combattuto contro le operazioni alla “Desert Storm” per annientare Stati canaglia e terrorismi, o contro i missili stranieri da Comiso puntati contro l’Ungheria.”

Gino Strada, come lo hanno ricordato a un incontro a Sesto S. Giovanni, prendendo in prestito le parole di  Albert Einstein all’indomani della fallimentare conferenza sul disarmo del 1932 a Ginevra, diceva sempre che la guerra non si può umanizzare, ma solo abolire, perché è impossibile e illusorio imporre regole di comportamento.

La pace non va contrattata, non è un’opzione tra tante, la pace si abbraccia senza se e senza ma, anche a costo di essere perdenti.

Apro  un sito: atlanteguerre.it, molto interessante. Nella cartina interattiva, si clicca nei paesi colorati e si legge il conflitto: il mondo è come se avesse una cintura fatta di paesi in guerra.  Troppi, ancora. La lista dei paesi si allunga quotidianamente.

In America Latina, ad esempio,  lo sanno bene cosa hanno portato le guerre e le dittature. Popoli assoggettati, sterminati, come ad esempio i paesi del Centro America, il Salvador o il Guatemala, chiamati, per le continue stragi delle loro popolazioni “il mattatoio d’America” e che hanno avuto dalla storia solo un flebile “scusa” di Barak Obama in una conferenza stampa nel 2010. Ma si sa, non tutte le vittime di guerra hanno la stessa considerazione. Eppure quel continente, senza voce da sempre, al contrario di noi occidentali, ormai ridotti a consumatori alienati anche di guerre, esportatori di una democrazia svuotata, di cui non sappiamo più neanche il senso, è sempre alla ricerca del “buen vivir”, in una dimensione circolare, che produce benessere per tutti, spirituale e materiale, senza escludere nessuno.

Spesso, da quando conosco quel continente, mi sono domandato: ma chi vive meglio, noi o loro?

I media certo non aiutano a capire: se prima eravamo ossessionati 24 h da notizie, informazioni, appelli quotidiani sul Covid, oggi la nuova ossessione sono le immagini di guerra, la cui quantità e tipo di messaggi ormai è fuori controllo; questo sistema, ormai, in una sorta di news war, ha spento tutte le voci del resto del mondo e non mi soffermo più sulle fake, che si rincorrono ad arte, nella impossibilità di essere smascherate. Approfitto, però, per ospitare tra le mie righe un appello dei nostri  più importanti inviati di guerra che mi ha segnalato Livio Senigalliesi, uno dei fotografi che ho ospitato nelle pagine della mia rivista “Latinoamerica”: https://bit.ly/3uSa56J.

Oggi sono costretto a casa e osservo distrattamente i telegiornali e i programmi, spalmati tutti sulla guerra Russia-Ucraina, tanto da farmi avere un leggero senso di nausea, un overload di notizie, come mi era capitato con la pandemia, ora scomparsa dai radar, anche se la curva, pare, si stia rialzando. Telegiornali di 30 minuti, dove 24 spesi nel conflitto che ci invade e 6 miseri minuti su politica estera e italiana e ovviamente, per “politica italiana” intendo la cronaca nera, lasciandoci però appesi su questioni che erano primarie nell’agenda fino a qualche tempo fa: ad esempio i migranti portati in Bielorussia dal Medioriente e bloccati ai confini della Polonia da un muro di filo spinato di più di 180 km, che fino hanno fatto?

Ma come si può andare avanti così?

Per sapere qualcosa di serio e vero sui conflitti e sul mondo, ormai ascolto quasi solamente Radio Vaticana.

Sulla rivista Missioni Consolata  il suo direttore Gigi Anataloni, nel suo editoriale nomina monsignor Tonino Bello, che sosteneva qualche tempo fa: “Il mio desiderio è quello del cessate il fuoco, perché non è possibile, non è accettabile, non è pensabile che ancora oggi, con tutto il progresso che abbiamo fatto, con tutta la cultura che abbiamo alle spalle, della gente debba essere massacrata a questo modo. E’ osceno. Io credo che ci vergogneremo domani per la nostra mancanza di insurrezione di coscienza (…) La guerra tutto può partorire, fuorchè la pace e la giustizia. La pace non arriverà, finchè non si farà giustizia.”

Non ci rendiamo neanche conto che questi tamburi di guerra non porteranno certo alla prosperità economica, anzi: l’inflazione sta crescendo e crescerà ancora indebolendo il valore dei già magri stipendi delle classi più fragili, aumenteranno i precari, i prezzi si gonfieranno sempre di più e le conseguenze sociali saranno devastanti, non soltanto per l’Europa, ma anche per altre regioni del mondo: la globalizzazione non dà scampo a nessuno, e la pandemia ci ha già insegnato che i confini non esistono più.

Vorrei concludere questo mio breve articolo sulla pace, con una notizia di speranza, che tanto ci fa bene, e che viene proprio dal popolo cubano che ho apprezzato per i tratti che lo caratterizzano: la dignità, l’umanità, ma soprattutto la loro solidarietà nelle piccole e grandi cose, nonostante siano strozzati da un blocco economico che dura da più di 60 anni, nonostante siano stati messi a forza nella vergognosa lista di “stati canaglia”.

da qui

 

 

 

Quale idea di Occidente? Un’analisi filosofica del conflitto – Vincenzo Costa

In questa guerra non si fronteggiano soltanto eserciti. Si fronteggiano due idee di Occidente. Si fronteggiano due possibilità su come pensare il mondo a venire: da un lato l’idea di un mondo unipolare, accentrato e diretto dall’Occidente, dall’altro l’idea di un mondo multipolare, variegato, fatto di molte culture, stili di vita, forme di organizzazione economica.

La guerra in Ucraina sta pertanto sollevando un problema di ordine generale, relativo a come pensare, in quanto occidentali, il nostro posto nel mondo e il nostro rapporto con l’altro dall’Occidente. Negli ultimi trent’anni questo “altro” ha assunto nomi continuamente diversi (l’Islam, la Cina, la Russia, forse l’India), ma una cosa è rimasta costante: lo abbiamo sempre rappresentato con le sembianze del “mostruoso”, dell’irrazionale, del patologico, dell’anormale, dell’arretrato. Rispetto a questo altro, su cui abbiamo proiettato tutte le caratteristiche del male assoluto, della malvagità e della mostruosità, emerge la nostra identità: noi siamo i buoni, il progresso, i diritti umani universali.

Alla base di questa rappresentazione di noi stessi stanno – se mettiamo da parte tutte le questioni di geopolitica, di politica di potenza, di interessi economici e ci limitiamo alla questione culturale – due presupposti. La prima è quella secondo cui i nostri valori sono quelli universali, anche se all’interno dello stesso Occidente hanno una data di nascita estremamente recente. La seconda è quella secondo cui nella storia dell’Occidente, e solo in essa, si dispiega la ragione. Siamo così indotti a pensare che noi siamo più vicini alla verità, mentre gli altri sarebbero arretrati, dunque nell’errore, da cui possono emendarsi solo assimilandosi a noi, sciogliendo la loro storia nella nostra.

Il progresso consisterebbe allora – nella nostra autorappresentazione – in un enorme processo di occidentalizzazione: tutti gli uomini della terra devono assumere i nostri costumi, adottare il mercato come motore dello sviluppo economico, istituire un modello democratico come il nostro, che diventa l’unico modello di democrazia possibile. Soprattutto, davanti ai valori universali occidentali non si può transigere, sicché i conflitti, che esigerebbero dialogo e riconoscimento reciproco per essere risolti, diventano immediatamente conflitti di civiltà, tra il bene e il male.

Una volta assunto questo atteggiamento la possibilità del dialogo (che è anche negoziato, diplomazia e ricerca del compromesso possibile) diventa impossibile: gli altri si devono piegare. Non davanti a noi, ma ai valori, e noi non dobbiamo esitare a difenderli e se necessario ad imporli con le armi, perché tollerare la differenza sarebbe un atto di viltà verso i valori e la verità. In questo modo è la nozione di politica come capacità di pensare secondo la storia e il tempo ad essere sacrificata. I valori non ammettono infatti dilazione, e se la lotta è tra valori e disvalori la guerra è inevitabile.

Abbarbicato ai valori non negoziabili questo universalismo astratto deve tuttavia necessariamente negare altri valori fondamentali dello stesso Occidente: il pluralismo, la tolleranza, il rispetto. Tende alla riduzione all’uno, a ciò che, di volta in volta, l’Occidente determina come il vero, il bene, il giusto: come l’apice della civiltà, che ovviamente è sempre il suo modo di pensare, talvolta effimero e destinato ad essere abbandonato dallo stesso Occidente di lì a poco.

Su questa base abbiamo inanellato un bombardamento dietro l’altro, un’invasione dietro l’altra: il bombardamento della Serbia, l’invasione dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Siria, della Libia, solo per citarne alcuni. E ora siamo in un conflitto aperto non solo con la Russia, ma anche con la Cina, mentre resta irrisolto quello con il mondo Islamico. Ma poiché questo rischia di portarci a una catastrofe planetaria, a una guerra che rischia di cancellare la stessa storia umana, forse è il caso di iniziare a chiederci: è con questo atteggiamento che intendiamo rapportarci al resto del pianeta? O abbiamo bisogno di cambiare il nostro atteggiamento fondamentale verso gli altri e il nostro modo di considerare il nostro posto e il nostro ruolo nella storia?

Quell’approccio non può che portarci ad uno scontro frontale, a una guerra che potrebbe essere devastante, o ad anni di incertezza, di conflitto latente, che produrrà disastri anche qualora non dovesse deflagrare in guerra aperta e senza ritorno. Produrrà miglia di morti in Africa per fame, aumento delle tensioni nelle nostre società, come certamente anche in quelle dei “nemici”. Produrrà ingiustizie crescenti e, da un punto di vista sistemico, lo sviluppo di forze potenzialmente devastatrici.

Bisogna allora iniziare a liberarsi di questa autorappresentazione celebrativa ed eurocentrica che l’Occidente ha di se stesso.

Questa, peraltro, non è affatto la verità dell’Europa, ma solo la ricaduta dell’Occidente nel mito, poiché rimuove la sua coscienza più autentica: la coscienza della differenza tra sapere e verità. Lo spirito europeo non consiste nel pensare che siamo la verità, ma che siamo ospitati nel movimento della verità: è coscienza della distanza che ci separa dalla verità. L’Occidente inizia con un Socrate che fa del “sapere di non sapere” la sua regola di vita. Dobbiamo allora fare un passaggio, che è un ritorno all’Europa autentica: pensare la storia come una molteplicità o pluralità di storie.

Gli altri non sono indietro rispetto a noi. In questo consiste l’eurocentrismo, nel pensare che esista “la” storia, e non le storie. Semplicemente, gli altri sono un’altra storia, hanno un differente dinamismo di sviluppo, che solo dalla nostra prospettiva appare come arretrato, solo se lo misuriamo con il metro della storia e dello sviluppo delle nostre società.

Pensare di innestare i nostri modi di organizzare la vita in contesti diversi può funzionare a volte (ha funzionato in Giappone), ma non in altri. Un contadino, quando decide di coltivare un campo valuta se il suolo è adatto, se supporta quel tipo di pianta, si chiede quali piante possano crescere in quella terra: sa che ogni suolo permette lo sviluppo della vita secondo certe forme e non secondo altre. Al contrario, l’universalismo astratto è caratterizzato dalla rimozione della peculiarità dei terreni, e questo lo abbiamo visto con le primavere arabe, con i tentativi di esportare la nostra democrazia in contesti in cui non poteva essere innestata, perché strutturati da altre strutture di interazione e da altre concezioni del mondo.

L’universalismo astratto è diventato pericoloso, per noi e per il pianeta, perché emargina la storia e i contesti di verità. Noi non ci siamo ancora liberati dall’idea ottocentesca che pensava la storia universale come il confluire di tutte le culture nella nostra, come un processo di europeizzazione di tutta l’umanità, dunque come un processo che abolisce tutte le differenze e riassorbe ogni alterità e ogni pluralismo. Ed è questo blocco mentale che dobbiamo iniziare a mettere in discussione. È necessario pensare la storia universale, che sta iniziando proprio ora, a partire da un mondo multipolare, in cui si sviluppano più storie, con differenti linee di sviluppo, e che a legarle insieme non è l’idea di espansione del nostro modo di vita, ma la contaminazione tra differenti.

Non la riduzione all’uno, ma il proliferare delle differenze.

E per questo serve la capacità di decentrarsi, di assumere il punto di vista dell’altro, senza la quale l’Occidente perde la sua vocazione universalistica e diventa soltanto una cultura tra le tante: una particolarità che pretende di dovere abolire tutte le altre.

da qui

 

 

Il sondaggio Ipsos che inchioda la propaganda filo Nato

 

Il 62% degli italiani vuole il dialogo con la Russia. Sarebbe una cosa normale, ma la propaganda bellicista è martellante, sospinta dal forte vento guerrafondaio che spira da Washington ed è imposta in tutta Europa dalla NATO. In questa fase di scontro contro la Russia non è ammessa nessuna titubanza: bisogna armare Kiev, milizie neonaziste comprese, per andare allo scontro contro la Russia. Questo è l’obiettivo reale di Washington.

Un obiettivo a cui l’Italia si è subito adeguata attaccando la Russia, anche in maniera scomposta come il ministro degli Esteri Luigi Di Maio arrivato a paragonare Putin a un animale feroce. In prima fila nella campagna contro la Russia abbiamo anche il nostro presidente del Consiglio Draghi che non perde occasione per scagliarsi contro la Russia.

Inoltre il governo italiano ha votato per l’invio di armi a Kiev, decidendo di assumere una posizione co-belligerante. Quando invece Roma avrebbe potuto giocare il ruolo di ponte, mediare tra le parti, provare a farle sedere al tavolo delle trattative come ha fatto la Turchia con i colloqui di Istanbul.

A tal proposito la propaganda di guerra non ammette defezioni: chiunque provi solo a paventare i pericoli di una posizione guerrafondaia completamente schiacciata sulle posizioni oltranziste della NATO viene criminalizzato, bollato come filo-Putin e criminalizzato.

In questo quadro abbastanza desolante emerge il dato incoraggiante: secondo un sondaggio condotto dalla società Ipsos per la trasmissione ‘di Martedì’, il 62% degli italiani crede che bisogna “alleggerire il sostegno all’Ucraina e trovare un modo per dialogare con la Russia di Putin”.

Visto il livello di propaganda martellante questo risultato ha quasi dello strabiliante. Ma mostra la capacità del popolo italiano di riconoscere la bieca propaganda atlantista. Sempre riguardo al ruolo della NATO, interessante è notare il 39% degli intervistati ritiene che “l’Italia è troppo filo-NATO ed è condizionata dagli americani, contro il proprio interesse”.

Insomma, abbiamo una buona fetta di italiani coscienti che non abbocca alla propaganda atlantista di Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, Rai e tutto il circuito mediatico mainstream.

da qui

 

 

Quel sondaggio su Bucha che spaventa il governo dei “migliori

 

Sorpresa! Secondo un sondaggio commissionato da Termometro Politico, imperniato sulla domanda: “Lei crede che i massacri a Bucha e in altre città ucraine vi siano effettivamente stati e siano responsabilità dei Russi”, meno della metà (40,2) degli intervistati risponde “Sì, si tratta di crimini di guerra di cui Putin dovrà rispondere”; il 19,3% esprime dei dubbi ma conferma la sua vicinanza a Kiev; il 13,3% non capisce lo sdegno per i massacri “in quanto gli americani hanno fatto di peggio”; il 18,1% considera i massacri una messinscena per costringere la comunità internazionale ad essere più dura con la Russia.

Un risultato davvero deludente per i media mainstream impegnati, da più di un mese, 24 ore al giorno a diffondere un fiume di fake news anti-russe. Un risultato davvero preoccupante per il Governo considerato che la propaganda bellica, soprattutto se non sfocia subito in una aggressione militare, stile Libia, è destinata a logorarsi…

continua qui

 

 

Un grazie di cuore de l’AntiDiplomatico a Enrico Mentana e ai suoi “segugi”

 

Se i segugi di Enrico Mentana non avessero deciso di bloccare la nostra pagina Facebook il 2 gennaio e poi metterla in shadowbanning. l’AntiDiplomatico non avrebbe aperto un Canale Telegram.

Se i segugi di Enrico Mentana non avessero deciso di bloccare la nostra pagina Facebook il 2 gennaio e poi metterla in shadowbanning, l’AntiDiplomatico non avrebbe superato (oggi) i 70 mila seguaci sul suo Canale Telegram.

Se i segugi di Enrico Mentana non avessero deciso di bloccare la nostra pagina Facebook il 2 gennaio e poi metterla in shadowbanning, l’AntiDiplomatico non avrebbe mai triplicato le sue visite.

Se i segugi di Enrico Mentana non avessero deciso di bloccare la nostra pagina Facebook e poi metterla in shadowbanning, dal 2 gennaio l’AntiDiplomatico non avrebbe mai superato i 2 milioni e mezzo di utenti unici.

Grazie di cuore.

 

In molti ci continuate a chiedere quando l’AntiDiplomatico tornerà a pubblicare anche su Facebook. Dopo il blocco e l’oscuramento effettivamente potremmo, ma fino a quando? Fino alla prossima assurda e immotivata censura dei segugi di Mentana?

Abbiamo troppo a cuore il nostro lavoro e la nostra Costituzione per accettarlo.

Fino a quando il Parlamento italiano e le istituzioni che dovrebbero tutelare il diritto dell’informazione in Italia (l’ordine dei giornalisti?) non si batteranno contro l’assurdità che una multinazionale Usa possa dare a testate concorrenti il diritto di annullare il nostro lavoro a loro piacimento, noi semplicemente continueremo con la nostra autocensura. Con la nostra “lunga marcia”.

La vostra vicinanza e affetto ci commuove. Ci trovate su Telegram e passate parola: https://t.me/lantidiplomatico

P.s. Mentre scriviamo Pepe Escobar, uno dei giornalisti più qualificati sulle vicende geopolitiche dell’Eurasia, è stato bannato da Twitter.

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Resistenza, responsabilità e pacifismo. Idee per un dibattito costruttivo sulla guerra in Ucraina – Alberto Castelli

La guerra in corso in Ucraina ha provocato una forte polarizzazione e radicalizzazione del discorso politico. Come accade sempre in questi casi, l’opinione pubblica tende a dividersi in due blocchi contrapposti che si accusano reciprocamente. Si tratta di una situazione che non facilita non la comprensione della situazione e che tende a schiacciare la discussione su idee semplicistiche e sclerotizzate. Per questo mi sembra opportuno chiarire in modo sintetico alcune idee non direttamente collegate con la guerra in Ucraina. Idee che possono aiutare a orientarci nelle scelte che abbiamo di fronte: resistenza, responsabilità e pacifismo.

Resistenza

Non è vero che la lotta armata sia l’unica forma di resistenza. Non si può negare che, in determinate situazioni, la scelta di resistere con le armi sia obbligata; ma non è sempre così. La storia è piena di esempi di resistenza all’oppressione senza armi. Si pensi alla resistenza con cui i cittadini di Praga hanno saputo tenere in scacco l’esercito sovietico nel 1968, prima di soccombere per mancanza di aiuti dall’esterno; e si pensi a come gli indiani hanno messo fine alla dominazione britannica e al ruolo della nonviolenza nell’emancipazione dei neri negli Stati Uniti; si pensi a come i sudafricani hanno potuto rovesciare un sistema politico razzista e instaurare la democrazia.

Perfino nella Resistenza al nazifascismo in Italia – spesso considerata l’esempio della moralità della rivolta armata – ci sono stati esempi di resistenza nonviolenta. Ma forse, l’esempio più significativo di rivolta senza armi è quello con cui i danesi sono riusciti a impedire la deportazione degli ebrei da parte dei nazisti. Una storia di cui parla Hannah Arendt e sulla quale, scrive

«si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le università ove vi sia una facoltà di scienze politiche, per dare un’idea della potenza enorme della non violenza e della resistenza passiva, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori».

La storia, nella sintesi fatta da Arendt, è questa:

«Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi».

Violenza e liberazione

Non è vero che se l’occupazione straniera è un male, la resistenza armata prefiguri necessariamente il suo contrario. Resistere con le armi significa provocare morti, sofferenza, disastri economici, ecologici e sociali che rischiano di rendere vana o troppo costosa la fine dell’occupazione. Non intendo sostenere che sia sempre così, ma che questa sia una possibilità concreta, specie quando si combatte una guerra con le armi estremamente distruttive che abbiamo a disposizione.

Sia chiaro, non sto dicendo niente di nuovo. Basta pensare che Andrea Caffi, nel 1946, ragionando sulle possibilità di portare avanti una rivoluzione con mezzi violenti scriveva:

«le risorse meccaniche e i sistemi d’organizzazione massiccia (eserciti e polizia, Ceka e Gestapo, campi di concentramento, regime russo nei paesi satelliti) che vengono attualmente impiegati nella lotta fra gruppi umani hanno raggiunto un tale grado d’atroce efficienza che la distruzione completa della società civile, se non del genere umano, è diventata una possibilità effettiva. Non è affar nostro provocare l’Armageddon».

Da quando Caffi scriveva queste cose, non sono bastate le parole di Aldo Capitini e di tanti altri. E, soprattutto, non sono bastati oltre settant’anni di guerre devastatrici per insegnarci la lezione.

Responsabilità

È grossolanamente falso affermare che la colpa dell’esplosione della violenza sia solo del governo russo. Sia chiaro: il governo russo è il primo responsabile dell’ingiustificabile aggressione all’Ucraina. Allo stesso tempo, però, non si può non riconoscere che nessuna pace futura potrà essere costruita sul mancato riconoscimento delle responsabilità dei governi europei e americano nell’aver creato una situazione di tensione e diffidenza.

Lasciando agli storici il compito di mettere a fuoco le responsabilità di ogni soggetto, si possono almeno fare due considerazioni:

1) dopo il crollo del muro di Berlino, non si è fatto abbastanza per integrare la Russia in un sistema europeo allargato. La conseguenza è stata un drammatico approfondirsi delle diffidenze reciproche.

2) A guerra scoppiata, è almeno dubbio che le azioni messe in atto per trovare una soluzione negoziale siano state adeguate. La definizione di “macellaio” attribuita dal presidente statunitense a quello russo non può essere interpretata in altro modo che come il rifiuto di un dialogo costruttivo; come la scelta che, per il momento, si può lasciar morire il popolo ucraino e i soldati russi, poi si vedrà.

Pacifismo

Non è vero che i pacifisti siano necessariamente esseri ingenui e ignari del fatto che la violenza è parte delle relazioni politiche. Molti pacifisti non sono affatto dei sognatori, ma persone che hanno chiaro che la violenza organizzata e usata attraverso le armi moderne è un male enorme. Sono persone convinte che, troppo spesso i governanti ricorrano alla guerra a cuor leggero.

Una leggerezza dovuta al fatto che lo sguardo di chi maneggia il potere è spesso fondato su categorie astratte e rigide, in base alle quali la vita (o la morte) degli inermi ha peso solo in funzione del rafforzamento del potere o del raggiungimento dei determinati obiettivi politici (ogni volta definiti come assolutamente irrinunciabili).

I pacifisti rifiutano di assumere un simile sguardo perché sanno che la guerra, per qualunque motivo e in qualunque modo la si faccia, viene pagata dagli inermi e dagli innocenti ai quali non viene neppure data la possibilità di obiettare. Convinti che per fare una frittata si debbano rompere le uova, i potenti della terra si pongono spontaneamente nelle vesti del cuoco; i pacifisti vogliono mettersi invece nella prospettiva delle uova.

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Perché i leader africani non sosterranno l’Occidente in Ucraina – Al Mayadeen

Quando giovedì scorso le Nazioni Unite hanno votato per sospendere la Russia dal Consiglio per i diritti umani, i paesi africani si sono ampiamente astenuti. Washington ha cercato di esercitare pressioni diplomatiche sui governi africani affinché appoggino le sanzioni contro la brutale invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, un messaggio sempre più ignorato nel continente.

Per il Sudafrica, membro dei BRICS, è stata la terza astensione dalle azioni della Russia, una posizione che gli analisti hanno attribuito al corteggiamento dei leader africani da parte del presidente russo Vladimir Putin. Durante una telefonata con il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden “ha sottolineato la necessità di una risposta internazionale chiara e unificata all’aggressione russa in Ucraina”.

Mentre l’Unione Africana ha chiaramente condannato l’aggressione russa, la mancanza di un consenso generale tra i leader africani ha ostacolato l’offensiva diplomatica di Washington.

Il Senegal è un fedele alleato dell’Occidente e il suo rifiuto non può essere attribuito all’influenza russa. Invece di sostenere una posizione statunitense, il presidente senegalese Macky Sall ha ribadito “la necessità di favorire il dialogo per un esito negoziato del conflitto” durante una telefonata di lunedì con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha chiesto di rivolgersi all’UA. La posizione di Sall segue il principio del non allineamento del continente, che risale agli anni ’60, quando i nuovi stati africani indipendenti cercarono di rifiutare l’egemonia occidentale.

L’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha dichiarato il mese scorso in un’intervista alla BBC che “non puoi restare a guardare l’aggressione che vediamo in Ucraina e dire che sarai neutrale nei confronti del considerare”. Samuel Ramani, un collaboratore occasionale di  Foreign Policy, ha commentato che “la guerra della Russia con l’Ucraina farà morire di fame più africani che ucraini sui campi di battaglia. L’Africa dovrebbe uscire dal recinto e condannare l’aggressione russa”.

La reazione e il tono del dibattito, dicono gli analisti, segna una svolta nel modo in cui diplomatici e osservatori di politica estera continuano a considerare l’Africa come omogenea, priva della sfumatura di 54 nazioni sovrane, ciascuna che agisce sulla base di complessi interessi diplomatici ed economici.

“I leader africani sono diventati sempre più allergici a quel tono, qualcosa che la Cina ha scoperto”, ha affermato Kholood Khair, analista politico sudanese e managing partner di Insight Strategy Partners. “E sembra che i messaggi provenienti dalla Cina stiano prendendo più forza. È più attraente per i paesi africani che cercano di affermare la propria forza politica”.

La posizione della Cina nei confronti della Russia ha fortemente influenzato le posizioni di quei paesi africani per i quali la Cina è il partner commerciale più vicino e più grande. Per alcuni paesi, l’astensione potrebbe non tradursi necessariamente in una posizione filorussa, ma piuttosto in una posizione allineata con la Cina.

Gli osservatori africani che difendono le astensioni sottolineano anche l’attenzione sproporzionata dei media sull’Ucraina rispetto ad altri conflitti e il doppio standard delle invasioni occidentali della Libia e dell’Iraq. Si parla anche di “ipocrisia” nell’imporre sanzioni che colpiscono i Paesi africani, mentre l’Europa ha speso 35 miliardi di euro (38 miliardi di dollari) per l’energia russa dall’inizio della guerra.

Alcuni leader africani che valutano la vulnerabilità dei loro paesi alla volatilità dei mercati economici, la crescita e la frustrazione delle popolazioni giovani e affrontano le proprie sfide alla sicurezza che richiedono una serie di alleati hanno semplicemente concluso che i loro governi non possono permettersi di schierarsi. La brusca partenza degli Stati Uniti dall’Afghanistan e le scene orribili di persone aggrappate agli aerei hanno fatto sì che alcuni politici africani vedessero Washington come un partner inaffidabile che darà anche la priorità alle loro esigenze di sicurezza.

Nel 2021, quando gli Stati Uniti hanno interrotto un accordo sulle armi con la Nigeria per le preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani, Abuja si è rivolta alla Russia, il più grande esportatore di armi in Africa, per ricostituire le sue scorte per la lotta contro Boko Haram. La Russia ha spesso rafforzato i legami con i governi africani durante le tensioni con l’Occidente. Sul Time , Sandun Munasinghe del Tony Blair Institute for Global Change ha osservato che “l’Africa è stata, per qualche tempo, un secondo fronte nel confronto di Putin con l’Occidente”.

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UCRAINA. Italia cobelligerante. Giunto a Sigonella sistema AGS per spiare la Russia – Antonio Mazzeo

 

Escalation USA e NATO nel conflitto Russia-Ucraina mentre a Sigonella diviene pienamente operativo l’AGS – Alliance Ground Surveillance, il sistema avanzato di sorveglianza terrestre dell’Alleanza Atlantica basato su cinque grandi droni d’intelligence. A renderlo noto il colosso aerospaziale statunitense Northrop Grumman, ideatore e main contractor dell’AGS.

“La Nato AGS Management Agency (NAGSMA) ha ricevuto in consegna il sistema completo per la piena operatività dei velivoli a pilotaggio remoto assegnati alla AGS Force”, ha annunciato il 7 aprile 2022 la vice presidente e direttrice generale dell’azienda, Jane Bishop. “Questo sistema è da oggi nella principale base operativa di Sigonella, in Sicilia, e rappresenta una pietra miliare del programma Nato AGSEsso è stato predisposto specificatamente per l’Alliance Ground Surveillance e realizzato unicamente secondo le richieste Nato per assicurare ai 30 paesi membri dell’alleanza la consapevolezza delle situazioni critiche d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento ISR”…

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Il calvario dei non ucraini in fuga – Víctor Honorato

 

“Ci hanno detto che non volevano mescolarsi con i neri. L’amore che avevo per questo Paese è scomparso”. Studenti stranieri e lavoratori migranti denunciano, delusi, discriminazioni, razzismo e maltrattamenti per chi, come tutti gli altri in fuga dalla guerra, non godeva però del “privilegio” della nazionalità ucraina. Sembrava che salire su quel treno per Leopoli fosse come salire sul Titanic, dice un ragazzo originario del Sudan. Un reportage dal valico di frontiera con la Polonia racconta l’odissea di un giorno di marzo delle persone in fuga dall’Ucraina nate lontano dall’Europa

Aspettando il pullman a Medyka. Le foto in pagina sono di Olmo Calvo

Èappena l’alba a Medyka, al confine sud-orientale tra Polonia e Ucraina, quando inizia a nevicare. Accanto al valico di frontiera, in attesa di un autobus che li porti a Przemysl, dove si trova la stazione dei treni, le decine di persone rannicchiate lungo la strada non sanno più cosa fare per scrollarsi di dosso il freddo. Potrebbero andare al supermercato, a 50 metri di distanza, ma rischierebbero di perdere il posto sul pullman. Così resistono, ancora tremando. In questo gruppo di origine eterogenea, dall’Africa all’Asia centrale, ci sono studenti e lavoratori migranti, ma quasi nessun ucraino. Persone che hanno vissuto ai margini delle tensioni politiche fino allo scoppio della guerra. E ci sono coloro per i quali fuggire dal conflitto si sta rivelando particolarmente doloroso.

Il gruppo si è andato formando nel corso delle ore, come uscito goccia a goccia da quell’imbuto che è diventato il valico di frontiera. L’ultima fermata prima della strada recintata per la Polonia è gremita di gente. Così i profughi escono, avanzano, mortificati. Una giovane donna cerca di tornare indietro, perché ha lasciato lì le valigie. “Cammina, non puoi tornare indietro, adesso il bagaglio non è importante”, le dice il militare con cui cerca di ragionare, che oscilla tra comprensione e fastidio.

Una studentessa di 25 anni di Yaoundé, in Camerun, che preferisce non dire il suo nome perché non vuole guai, descrive il clima di razzismo sopraggiunto in Ucraina , dove si trovava da cinque mesi e dove fino a una settimana fa si sentiva la ben accolta. Il viaggio verso il confine è stato un calvario, soprattutto le due notti all’aperto che ha dovuto trascorrere a un posto di blocco prima del confine dove i militari impedivano loro di passare perché gli ucraini avevano la priorità, denuncia. “Non lo capisco. È come se dessero a noi la colpa della la guerra. Sono delusa, sopraffatta, traumatizzata”.

La donna, che sta finalmente per salire su uno dei pullman, racconta episodi duri, come entrare in un ristorante per riscaldarsi ed essere subito cacciata. “Ve lo assicuro […] Ci hanno detto che non volevano mescolarsi con neri”…

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“Sarà un 25 aprile di memoria della Liberazione e di impegno per la pace” – Gianfranco Pagliarulo

 

Una sintesi dell’intervento introduttivo del Presidente nazionale ANPI alla conferenza stampa di oggi 15 aprile alla sede nazionale dell’Associazione a Roma

Un 25 aprile di memoria della Liberazione e di impegno per la pace. Non solo una celebrazione e un giorno di festa, per quanto si possa festeggiare in questa drammatica situazione, ma uno stimolo verso tutti per il ritorno della politica come capacità di composizione dei conflitti. Non siamo mai stati equidistanti. Siamo dalla parte degli aggrediti contro gli aggressori, come abbiamo detto alle 9 di mattina del 24 febbraio, poche ore dopo l’invasione.

Siamo oggi in una nuova fase dell’invasione che ha assunto un carattere ancora più tragico con violenze, vittime civili, distruzioni crescenti e con l’aumento della tensione internazionale a livelli mai avvenuti dal dopoguerra. Tutto ciò rende ancora più urgente la ricerca di un tavolo di trattative quanto meno a partire, come ha proposto Papa Bergoglio, da una tregua nelle festività pasquali.

Vediamo con allarme che sta avvenendo il contrario, con scelte e comportamenti che spingono al prolungarsi delle ostilità e a un continuo e accelerato riarmo. Una di queste scelte è il crescente rifornimento di armi sempre più letali all’Ucraina, cosa che a nostra avviso (e non solo nostro) rende sempre più difficile un ruolo di mediazione dell’UE ed aumenta di giorno in giorno i rischi di espansione della guerra.

Assistiamo a un crescente scontro di dichiarazioni fra rappresentanti russi, americani, della Nato e persino della UE, un inseguimento di dichiarazioni che aumentano la tensione mondiale e che coinvolgono persino la Cina.

La Finlandia annuncia di voler entrare nella Nato e sembra che la Svezia sia prossima a farlo. La Russia risponde minacciando un arsenale nucleare nel Baltico.

Assistiamo a un inquietante riarmo generalizzato spinto dai vertici dell’Unione Europea, come avvenne prima della Prima e della Seconda guerra mondiale.

Tutto ciò inasprisce le tensioni e le estende su scala continentale e mondiale. Come si fa a non vedere o a sottovalutare che si sta creando una apocalittica reazione a catena di cui nessuno può prevedere la conclusione?

Noi ci siamo dichiarati prima contrari all’invio delle armi in Ucraina poi contrari all’aumento del budget militare del nostro Paese fino al 2% essenzialmente perché ci sembra che questi atti abbiano contribuito e contribuiscano alla rapidissima escalation a cui stiamo assistendo.

È possibile un nuovo Afghanistan nel cuore dell’Europa. Cioè lo scontro militare fino allo sfinimento delle parti con un incalcolabile numero di vittime. La annunciata prossima offensiva russa lo conferma.

Da ciò l’urgenza di un rafforzamento dell’unità di tutte le forze di pace del nostro Paese e del dialogo fra tutte le forze antifasciste per abbassare la tensione e ricercare la via del negoziato…

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Lo zar della geoeconomia russo Sergey Glazyev introduce il nuovo sistema finanziario globale – Pepe Escobar

The Cradle

Il nuovo sistema monetario mondiale, sostenuto da una valuta digitale, sarà sostenuto da un paniere di nuove valute estere e risorse naturali. E libererà il Sud del mondo sia dal debito occidentale che dall’austerità indotta dal FMI.

Sergey Glazyev è un uomo che vive proprio nell’occhio del nostro attuale uragano geopolitico e geoeconomico. Uno degli economisti più influenti al mondo, membro dell’Accademia delle scienze russa ed ex consigliere del Cremlino dal 2012 al 2019, negli ultimi tre anni ha guidato il portafoglio super strategico di Mosca come ministro incaricato dell’integrazione e Macroeconomia dell’Unione economica dell’Eurasia (EAEU).

La recente produzione intellettuale di Glazyev è stata a dir poco trasformativa, sintetizzata dal suo saggio Sanzioni e sovranità e da un’ampia discussione sul nuovo paradigma geoeconomico emergente in un’intervista a una rivista economica russa.

In un altro dei suoi recenti saggi, Glazyev commenta come “sono cresciuto a Zaporozhye, vicino al quale sono in corso pesanti combattimenti per distruggere i nazisti ucraini, che non sono mai esistiti nella mia piccola Patria. Ho studiato in una scuola ucraina e conosco bene la letteratura e la lingua ucraina, che da un punto di vista scientifico è un dialetto russo. Non ho notato nulla di russofobo nella cultura ucraina. Nei 17 anni della mia vita a Zaporozhye, non ho mai incontrato un solo Banderista.

Glazyev è stato gentile a prendersi del tempo dal suo fitto programma per fornire risposte dettagliate a una prima serie di domande in quella che ci aspettiamo diventi una conversazione in corso, incentrata soprattutto sul Sud del mondo. Questa è la sua prima intervista con una pubblicazione straniera dall’inizio dell’Operazione Z. Mille grazie ad Alexey Subottin per la traduzione russo-inglese.

The Cradle: Sei in prima linea in uno sviluppo geoeconomico rivoluzionario: la progettazione di un nuovo sistema monetario/finanziario attraverso un’associazione tra EAEU e Cina, bypassando il dollaro USA, con una bozza che sarà presto conclusa. Potresti forse anticipare alcune delle caratteristiche di questo sistema – che non è certo un Bretton Woods III – ma sembra essere una chiara alternativa al consenso di Washington e molto vicino alle necessità del Sud del mondo?

Glazyev: In un attacco di isteria russofobica, l’élite dominante degli Stati Uniti ha giocato il suo ultimo “asso della briscola” nella guerra ibrida contro la Russia. L’aver “congelato” le riserve valutarie russe nei conti di deposito delle banche centrali occidentali, i regolatori finanziari degli Stati Uniti, dell’UE e del Regno Unito ha minato lo status del dollaro, dell’euro e della sterlina come valute di riserva globali. Questo passo ha fortemente accelerato il continuo smantellamento dell’ordine economico mondiale basato sul dollaro.

Oltre un decennio fa, i miei colleghi dell’Astana Economic Forum ed io abbiamo proposto di passare a un nuovo sistema economico globale basato su una nuova valuta commerciale sintetica basata su un indice delle valute dei paesi partecipanti. Successivamente, abbiamo proposto di espandere il paniere valutario sottostante aggiungendo una ventina di materie prime negoziate in borsa. Un’unità monetaria basata su un paniere così esteso è stata modellata matematicamente e ha dimostrato un elevato grado di resilienza e stabilità.

Più o meno nello stesso periodo, abbiamo proposto di creare un’ampia coalizione internazionale di resistenza nella guerra ibrida per il dominio globale che l’élite finanziaria e di potere degli Stati Uniti ha scatenato sui paesi che sono rimasti fuori dal suo controllo. Il mio libro The Last World War: the USA to Move and Lose , pubblicato nel 2016, ha spiegato scientificamente la natura di questa guerra in arrivo e ne ha sostenuto l’inevitabilità, una conclusione basata su leggi oggettive dello sviluppo economico a lungo termine. Basandosi sulle stesse leggi oggettive, il libro sosteneva l’inevitabilità della sconfitta del vecchio potere dominante.

Attualmente, gli Stati Uniti stanno lottando per mantenere il loro dominio, ma proprio come in precedenza la Gran Bretagna, che ha provocato due guerre mondiali ma non è stata in grado di mantenere il suo impero e la sua posizione centrale nel mondo a causa dell’obsolescenza del suo sistema economico coloniale, è destinata a fallire. Il sistema economico coloniale britannico basato sul lavoro degli schiavi è stato superato dai sistemi economici strutturalmente più efficienti degli Stati Uniti e dell’URSS. Sia gli Stati Uniti che l’URSS erano più efficienti nella gestione del capitale umano in sistemi integrati verticalmente, che dividevano il mondo nelle loro zone di influenza. Dopo la disintegrazione dell’URSS è iniziata una transizione verso un nuovo ordine economico mondiale. Questa transizione sta ora raggiungendo la sua conclusione con l’imminente disintegrazione del sistema economico globale basato sul dollaro, che ha fornito le basi del dominio globale degli Stati Uniti.

Il nuovo sistema economico convergente emerso nella RPC (Repubblica Popolare Cinese) e in India è la prossima inevitabile fase di sviluppo, combinando i vantaggi sia della pianificazione strategica centralizzata e dell’economia di mercato, sia del controllo statale dell’infrastruttura monetaria e fisica e imprenditoria. Il nuovo sistema economico ha unito vari strati delle loro società attorno all’obiettivo di aumentare il benessere comune in un modo sostanzialmente più forte delle alternative anglosassoni ed europee. Questo è il motivo principale per cui Washington non sarà in grado di vincere la guerra ibrida globale che ha iniziato. Questo è anche il motivo principale per cui l’attuale sistema finanziario globale incentrato sul dollaro sarà sostituito da uno nuovo, basato sul consenso dei paesi che aderiscono al nuovo ordine economico mondiale.

Nella prima fase della transizione, questi paesi ricorrono all’utilizzo delle loro valute nazionali e ai meccanismi di compensazione, supportati da swap bilaterali in valuta. A questo punto, la formazione dei prezzi è ancora principalmente guidata dai prezzi in varie borse, denominati in dollari. Questa fase è quasi finita: dopo che le riserve russe in dollari, euro, sterlina e yen sono state “congelate”, è improbabile che un paese sovrano continui ad accumulare riserve in queste valute. La loro sostituzione immediata sono le valute nazionali e l’oro.

La seconda fase della transizione coinvolgerà nuovi meccanismi di tariffazione che non fanno riferimento al dollaro. La formazione dei prezzi nelle valute nazionali comporta sostanziali spese generali, tuttavia, sarà ancora più interessante rispetto alla determinazione dei prezzi in valute “non ancorate” e traditrici come dollari, sterline, euro e yen. L’unico candidato valutario globale rimasto, lo yuan, non prenderà il loro posto a causa della sua inconvertibilità e del limitato accesso esterno ai mercati dei capitali cinesi. L’uso dell’oro come riferimento del prezzo è vincolato dall’inconveniente del suo utilizzo per i pagamenti.

La terza e ultima fase della transizione del nuovo ordine economico riguarderà la creazione di una nuova valuta di pagamento digitale fondata attraverso un accordo internazionale basato sui principi di trasparenza, equità, buona volontà ed efficienza. Mi aspetto che il modello di tale unità monetaria che abbiamo sviluppato svolga il suo ruolo in questa fase. Una valuta come questa può essere emessa da un pool di riserve valutarie dei paesi BRICS, a cui tutti i paesi interessati potranno aderire. Il peso di ciascuna valuta nel paniere potrebbe essere proporzionale al PIL di ciascun paese (basato sulla parità del potere d’acquisto, ad esempio), alla sua quota nel commercio internazionale, nonché alle dimensioni della popolazione e del territorio dei paesi partecipanti.

Inoltre, il paniere potrebbe contenere un indice dei prezzi delle principali materie prime negoziate in borsa: oro e altri metalli preziosi, metalli industriali chiave, idrocarburi, cereali, zucchero, nonché acqua e altre risorse naturali. Per fornire sostegno e rendere la valuta più resiliente, a tempo debito possono essere create rilevanti riserve di risorse internazionali. Questa nuova valuta verrebbe utilizzata esclusivamente per pagamenti transfrontalieri ed emessa nei paesi partecipanti sulla base di una formula predefinita. I paesi partecipanti userebbero invece le loro valute nazionali per la creazione di credito, al fine di finanziare gli investimenti nazionali e l’industria, nonché per le riserve di ricchezza sovrana. I flussi transfrontalieri in conto capitale rimarrebbero disciplinati dalle normative valutarie nazionali.

The Cradle: Michael Hudson chiede specificamente che se questo nuovo sistema consente alle nazioni del Sud del mondo di sospendere il debito in dollari e si basa sulla capacità di pagare (in valuta estera), questi prestiti possono essere legati a materie prime o, per la Cina, una partecipazione tangibile nell’infrastruttura di capitale finanziata da crediti esteri non in dollari?

Glazyev: La transizione al nuovo ordine economico mondiale sarà probabilmente accompagnata dal sistematico rifiuto di onorare gli obblighi in dollari, euro, sterline e yen. A questo proposito, non sarà diverso dall’esempio dato dai paesi emittenti queste valute che hanno ritenuto opportuno rubare riserve valutarie di Iraq, Iran, Venezuela, Afghanistan e Russia per un importo di trilioni di dollari. Dal momento che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’UE e il Giappone si sono rifiutati di onorare i loro obblighi e hanno confiscato la ricchezza di altre nazioni che era detenuta nelle loro valute, perché altri paesi dovrebbero essere obbligati a ripagarli e a pagare i loro prestiti?

In ogni caso, la partecipazione al nuovo sistema economico non sarà vincolata dagli obblighi del vecchio. I paesi del Sud del mondo possono partecipare a pieno titolo al nuovo sistema indipendentemente dai loro debiti accumulati in dollari, euro, sterline e yen. Anche se dovessero adempiere ai loro obblighi in quelle valute, ciò non avrebbe alcun effetto sul loro rating creditizio nel nuovo sistema finanziario. Allo stesso modo, la nazionalizzazione dell’industria estrattiva non provocherebbe interruzioni. Inoltre, se questi paesi riservassero una parte delle loro risorse naturali per il sostegno del nuovo sistema economico, il loro rispettivo peso nel paniere valutario della nuova unità monetaria aumenterebbe di conseguenza, fornendo a quella nazione maggiori riserve valutarie e capacità di credito.

The Cradle: In uno dei tuoi ultimi saggi, The Economics of the Russian Victory , chiedi “una formazione accelerata di un nuovo paradigma tecnologico e la formazione di istituzioni di un nuovo ordine economico mondiale”. Tra le raccomandazioni, si propone in particolare la creazione di “un sistema di pagamento e regolamento nelle valute nazionali degli Stati membri dell’EAEU” e lo sviluppo e l’attuazione di “un sistema indipendente di regolamenti internazionali nell’EAEU, SCO e BRICS, che potrebbe eliminare la dipendenza critica della Sistema SWIFT controllato dagli USA”. È possibile prevedere una spinta congiunta concertata da parte dell’EAEU e della Cina per “vendere” il nuovo sistema ai membri della SCO, ad altri membri BRICS, ai membri dell’ASEAN e alle nazioni dell’Asia occidentale, dell’Africa e dell’America Latina? E ciò si tradurrà in una geoeconomia bipolare: l’Occidente contro il resto?

Glazyev: In effetti, questa è la direzione in cui siamo diretti. Purtroppo, le autorità monetarie russe fanno ancora parte del paradigma di Washington e rispettano le regole del sistema basato sul dollaro, anche dopo che le riserve valutarie russe sono state prese dall’Occidente. D’altra parte, le recenti sanzioni hanno spinto a un’estesa ricerca interiore tra il resto dei paesi senza blocco del dollaro. Gli “agenti di influenza” occidentali controllano ancora le banche centrali della maggior parte dei paesi, costringendole ad applicare le politiche suicide prescritte dal FMI. Tuttavia, tali politiche a questo punto sono così ovviamente contrarie agli interessi nazionali di questi paesi non occidentali che le loro autorità stanno giustamente crescendo preoccupate per la sicurezza finanziaria.

Evidenzia correttamente i ruoli potenzialmente centrali di Cina e Russia nella genesi del nuovo ordine economico mondiale. Sfortunatamente, l’attuale leadership della CBR (Banca Centrale di Russia) rimane intrappolata all’interno del cul-de-sac intellettuale del paradigma di Washington e non è in grado di diventare un partner fondatore nella creazione di un nuovo quadro economico e finanziario globale. Allo stesso tempo, la CBR doveva già affrontare la realtà e creare un sistema nazionale per la messaggistica interbancaria che non dipendesse da SWIFT, e lo ha aperto anche alle banche estere. Le linee di scambio di valute incrociate sono già state istituite con le principali nazioni partecipanti. La maggior parte delle transazioni tra gli Stati membri dell’EAEU sono già denominate in valute nazionali e la quota delle loro valute nel commercio interno sta crescendo rapidamente.

Una transizione simile sta avvenendo nel commercio con Cina, Iran e Turchia. L’India ha indicato di essere pronta a passare anche ai pagamenti in valute nazionali. Viene fatto un grande sforzo nello sviluppo di meccanismi di compensazione per i pagamenti in valuta nazionale. Parallelamente, è in corso uno sforzo per sviluppare un sistema di pagamento digitale non bancario, che sarebbe collegato all’oro e ad altre materie prime scambiate in borsa: le “stablecoin”.

Le recenti sanzioni statunitensi ed europee imposte ai canali bancari hanno causato un rapido aumento di questi sforzi. Il gruppo di paesi che lavora al nuovo sistema finanziario deve solo annunciare il completamento del quadro e la disponibilità della nuova valuta commerciale e da lì il processo di formazione del nuovo ordine finanziario mondiale accelererà ulteriormente. Il modo migliore per realizzarlo sarebbe annunciarlo alle riunioni regolari SCO o BRICS. Ci stiamo lavorando…

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La lobbycrazia americana – comidad

Perché il presidente USA non perde mai occasione per “bruciarsi” come interlocutore delle altre grandi potenze? Le dichiarazioni di Joe Biden in Polonia hanno sconcertato molti commentatori, alcuni dei quali hanno parlato di “chiacchiere da bar”.

Collocando però quelle dichiarazioni nel loro contesto, si può forse capire qualcosa di più. Nello stesso periodo in cui Biden era in corsa per l’elezione, nel settembre 2020, una commissione del senato statunitense stilava un rapporto sui conflitti di interesse e sui casi di corruzione legati all’attività del figlio di Biden Hunter in Ucraina, soffermandosi sui suoi rapporti con Burisma, una società privata cipriota, che è anche la principale azienda energetica che opera in Ucraina. Il testo, disponibile in PDF, è impressionante per i dettagli. La relazione della commissione senatoriale non venne ritenuta sufficientemente attendibile e non determinò ostacoli all’elezione di Biden. La quantità di fatti elencati nel rapporto era comunque tale da tenere sulla corda Biden, e infatti in questi giorni i due maggiori quotidiani statunitensi stanno riportando all’attenzione il caso di Hunter Biden.

Sembrerebbe proprio che il fatto che Biden fosse il personaggio più ricattabile sulla piazza, sia stato determinante per spianargli la strada alla presidenza. La ricattabilità è il viatico per assurgere alle maggiori cariche.

Il principale collaboratore di Biden, il segretario di Stato Antony Blinken, aveva già fatto parte dell’amministrazione Obama e, una volta cessato il servizio, ha fondato nel 2017 una società privata di servizi diplomatici in funzione del business, la WestExec Advisors. Si tratta di uno dei tantissimi casi di porta girevole tra pubblico e privato dell’amministrazione Biden, un dato che è stato messo in evidenza da molte testate giornalistiche americane. Ovviamente Blinken è considerato un “falco” ed è anche un esportatore di democrazia e, visto quanto gli rende finanziariamente il business bellico dell’esportazione di democrazia, non c’è da dargli torto.

Mescolare affari e ideali funziona, perché le armi sono il business ideale, dato che a pagare è il contribuente, quindi non c’è rischio d’impresa. Nel loro piccolo anche i piddini si sono trasformati in “falchi” per allestire la loro lobby delle armi in stile Blinken. L’ex ministro Marco Minniti è diventato presidente della Med-Or, una fondazione del gruppo della ex Finmeccanica, che oggi si fa chiamare Leonardo; forse perché il più grande dei pittori era anche il più grande dei bidonisti come ingegnere militare. Ma il modello del lobbying militare sta prendendo piede e, chissà, vedremo anche Luigi Di Maio CEO di Leonardo.

Al ruolo di segretario alla Difesa era candidata la principale collaboratrice di Blinken, Michèle Flournoy, che è anche cofondatrice della WestExec Advisors. Purtroppo la Flournoy non ce l’ha fatta, ed al suo posto è stato nominato Lloyd Austin, il supergenerale che ha condotto la guerra in Afghanistan fino al 2016. Come i suoi predecessori anche Austin nel periodo successivo al pensionamento è entrato nel gruppo dirigente di un’industria di armamenti. Austin ha scelto (o è stato scelto?) Raytheon Technologies, che, manco a dirlo, è uno dei maggiori fornitori della Difesa.

La biografia del vicesegretario alla Difesa, Kathleen Hicks, sembrerebbe più immacolata, infatti il suo impegno privato riguarderebbe solo una apparentemente innocua associazione non profit, il prestigioso Center for Strategic and International Studies.

Sennonché si può notare che uno dei principali finanziatori del CSIS è un’industria di armamenti, la Northrop Grumman Corporation. Come la Raitheon Technologies, anche la Northrop Grumman è uno dei principali fornitori privati della Difesa USA. Le fondazioni non profit rientrano infatti nel lobbying occulto.

L’attuale vicesegretario di Stato, Wendy Sherman, proviene dal gruppo dirigente di un’altra società di consulenza di affari internazionali, l’Albright Stonebridge Group, fondato da Madeleine Albright, da poco scomparsa, che era stata segretario di Stato durante la seconda presidenza Clinton. Dalla stessa associazione privata proviene anche un’altra esponente del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, che ha svolto un ruolo decisivo nella vicenda ucraina a partire dal colpo di Stato del 2014. Il trionfo della porta girevole in funzione del business della guerra infinita.

Tutto questo elenco rappresenta solo un piccolo assaggio della rete del lobbying nell’apparato governativo statunitense, e per descrivere nei dettagli questa rete non basterebbe un’enciclopedia. La questione, ovvia, che si pone a questo punto è quale senso abbia parlare ancora di interesse nazionale o di interesse imperiale americano. Per le lobby d’affari il problema è di individuare il business e gli slogan pubblicitari atti a veicolarlo. Una lobbycrazia non può permettersi un presidente che interloquisca con le potenze rivali e prenda accordi con loro, poiché ciò disturberebbe il business della guerra infinita. Una lobbycrazia non si regge su leadership o strategie ma sull’automatismo delle complicità affaristiche.

Per imperialismi tradizionali come la Russia o la Cina la prospettiva sarebbe invece di trovare negli USA un interlocutore e una controparte per negoziare gli equilibri di potenza e le rispettive sfere di influenza. Ma come si può pensare a nuove Yalta quando gli USA non sono più un soggetto statuale tradizionale ma una rete di imbonitori affaristi?

da qui

 

 

E guerra sia – Rosso Malpelo

 

I conflitti mondiali sono sempre forieri di rivoluzioni e guerre civili. La rivoluzione d’Ottobre avvenne proprio nell’ultimo anno della prima guerra mondiale, pure con un piccolo aiutino dei tedeschi che agevolarono il rientro in patria di Lenin, a cui seguirono cinque anni di feroce guerra civile, sostenuta anche dalle potenze vincitrici. In Italia una delle principali conseguenze del primo conflitto mondiale fu l’avvento del fascismo.

La guerra civile italiana fece seguito alla deposizione del duce da parte del re ed il successivo cambio d’alleanze del nostro paese, mentre le sorti del secondo conflitto mondiale volgevano in nostro sfavore sia sul fronte africano che su quello russo e gli angloamericani erano appena sbarcati in Sicilia. Le forze fasciste si raccolsero, con il supporto nazista, nella Repubblica Sociale Italiana, in nord Italia, permanendo in guerra sia con gli angloamericani che con tutti quegli italiani passati dall’altra parte e divenuti antifascisti. Quella guerra civile parallela durò due anni, alla fine i nazifascisti vennero sconfitti ed il paese poté iniziare una qualche pacificazione, sempre sotto l’egida degli americani, che da allora non hanno più abbandonato militarmente il Belpaese.

Anche in Cina una delle conseguenze della seconda guerra mondiale fu la ripresa della guerra civile tra i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Zedong, che si era interrotta nel 1937 per l’invasione giapponese. Nel 1946, finita la seconda guerra mondiale, i combattimenti tra gli eserciti dei due contendenti ricominciarono con forza, durando fino al 1949, quando i nazionalisti capitolarono ed oltre due milioni e mezzo di cinesi si rifugiarono, con l’aiuto della flotta americana, sull’isola di Taiwan, occupandola e proclamandola Repubblica Cinese. Va da sé che la repubblica nazionalista di Taiwan ha potuto resistere alle rivendicazioni della repubblica popolare fino ad oggi solo grazie alla protezione americana.

Supponiamo per un attimo che gli angloamericani avessero deciso di non sbarcare in Sicilia nel 1943, anticipando invece quello sbarco in nord Europa a lungo richiesto da Stalin per alleggerire la pressione tedesca sul fronte russo. Quello stesso sbarco che effettuarono solo l’anno successivo, allorché le sorti del conflitto in Europa orientale stavano volgendo decisamente a favore dei russi, che ora rischiavano di prendersi tutto il continente. Il regime fascista in Italia sarebbe caduto comunque, forse poco dopo, ma la guerra civile ci sarebbe ugualmente stata e molto probabilmente sarebbe arrivata ad una resa dei conti finale, senza la presenza in forze degli angloamericani. Sempre per un esercizio di fantasia, immaginiamo che la fazione di sinistra delle forze partigiane fosse uscita sconfitta dal confronto con le altre fazioni e si fosse ritirata in Sardegna, occupandola e dichiarandola Repubblica Popolare, sotto la vigile protezione dell’Unione Sovietica. E’ lecito ritenere che la Repubblica Italiana non avrebbe mai cessato di rivendicare la sovranità sulla Sardegna, aspettando solo il momento più adatto per riprendersela.

Il conflitto che si sta svolgendo in Ucraina nasconde una posta in gioco molto più grande di ciò che può apparire a prima vista. Ce lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, nelle sue ultime dichiarazioni, quando afferma che la Russia ha l’ambizione di cambiare l’ordine internazionale, ovvero quello finora definito dagli USA ed i suoi satelliti Nato, che gli concede il privilegio di intervenire militarmente in Serbia, Iraq, Afghanistan, Siria e Libia senza alcun mandato ONU e lo vieta espressamente ad ogni altro paese. Se non è ordine egemonico imperiale questo… Stoltenberg aggiunge pure che gli alleati dovranno reagire alle sfide poste da Mosca e Pechino insieme.

All’egemonia mondiale non si rinuncia così facilmente, in ballo ci sono interessi immensi a partire dalla supremazia del dollaro nel commercio internazionale, metterlo in discussione farebbe cadere giù l’immenso castello di carta straccia stampata a debito dalle banche centrali dell’occidente negli ultimi decenni. Che la posta in gioco sia altissima e globale lo si deduce anche dall’assenza di ogni parvenza di dibattito e informazione indipendente deciso dai padroni dei media, dall’intolleranza di ogni sussulto pacifista nella popolazione e dal livello di pervasività raggiunto dalla propaganda russo fobica e guerrafondaia persino in un paese come il nostro, con (una volta) forti tradizioni cattoliche e pacifiste.

La Russia parte svantaggiata in questo confronto con l’occidente, ma lo sarebbe stata ancor di più in futuro se non avesse lanciato il guanto di sfida ora. Tuttavia un vantaggio oggettivo ce l’ha ed è costituito dalla grande disponibilità di materie prime, a partire dal petrolio. Gli eserciti sono tra i maggiori consumatori di energia, navi, aerei e mezzi corazzati necessitano di una marea di petrolio e se una guerra dura a lungo, avrà più possibilità di vincere chi riuscirà a far ancora muovere i propri mezzi. Ecco perché Hitler puntava al petrolio del Caucaso ed il non esserci arrivato gli è costata la guerra. Un altro vantaggio è costituito dalla confluenza di interessi, in questa fase storica, con il dragone cinese, che ha tutto da guadagnare nel ridimensionamento dell’egemonia americana, soprattutto in Asia. Se gli USA credono oggi di essere stati furbi per aver trascinato la Russia nella trappola ucraina, resteranno sorpresi quando s’accorgeranno di essere stati a loro volta sospinti nella trappola europea dalla Cina. E noi europei lo saremo ancor di più quando ci accorgeremo di essere l’esca, come gli ucraini stanno scoprendo a loro spese.

Le guerre mondiali vedono contrapposti nazioni e popoli, ma questi a volte possono dividersi al loro interno tra chi difende i propri privilegi nello status quo e chi vorrebbe rovesciarlo, come reazione alle scelte scellerate operate da una classe dirigente guerrafondaia e le nefaste conseguenze che ricadono sulla gente comune. Può darsi che alla fine anche quella classe dirigente venga chiamata a rispondere da un popolo ingannato, bastonato e impoverito e perciò sempre più inviperito.

da qui

 

 

 

Jacques Baud, strategico ex Nato/ “Consegna di armi all’Ucraina atto criminale” – Josephine Carinci

Jacques Baud, strategico ex Nato, parla della situazione della guerra in Ucraina, facendo il punto sulle varie forze in campo e sull’impegno dell’Occidente

Jacques Baud, colonnello dell’esercito svizzero con un passato nella NATO, racconta il conflitto tra Russia e Ucraina in un saggio. Si parte dalla composizione dell’esercito ucraino, formato non solamente da soldati professionisti: “Il governo ucraino ha fatto ricorso a milizie paramilitari per compensare la mancanza di soldati. Esse sono soprattutto composte da mercenari stranieri, spesso attivisti di estrema destra. Nel 2020, esse costituivano circa il 40% delle forze ucraine e contavano circa 102.000 uomini, secondo Reuters. Sono armate, finanziate e addestrate dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dal Canada e dalla Francia. Vi sono rappresentate più di 19 nazionalità, tra le quali quella svizzera”.

Come spiega il colonnello, Putin non ha alcuna intenzione di eliminare Zelensky. Non rientrerebbe infatti nei suoi progetti. Nel saggio, Baud spiega: “L’idea che la Russia stia cercando di impadronirsi di Kiev, la capitale, per eliminare Zelensky, viene tipicamente dagli occidentali: questo è ciò che essi hanno fatto in Afghanistan, Iraq, Libia e ciò che volevano fare in Siria con l’aiuto dello Stato islamico. Ma Vladimir Putin non ha mai avuto intenzione di eliminare o rovesciare Zelensky. Al contrario, la Russia cerca di tenerlo al potere spingendolo a negoziare con l’assedio a Kiev. Lui che si era rifiutato di farlo fino ad ora per attuare gli accordi di Minsk, ma ora i russi vogliono ottenere la neutralità dell’Ucraina”.

Jacques Baud: “Consegna armi all’Ucraina atto criminale”

L’immagine della resistenza popolare ucraina che i media diffondono è, secondo Jacques Baud, sbagliata e ha portato a errori come la fornitura di armi da parte dell’Occidente all’Ucraina stessa: “È questa immagine che ha portato l’Unione europea a finanziare la distribuzione di armi alla popolazione civile. Si tratta, in verità, di un atto criminale. Queste strutture di comando sono l’essenza degli eserciti: la loro funzione è quella di incanalare l’uso della forza in funzione di un obiettivo. Armando i cittadini in modo disordinato, come avviene attualmente, l’Ue li trasforma in combattenti, e quindi anche in potenziali obiettivi. Inoltre, senza comando, senza scopi operativi, la distribuzione di armi porta inevitabilmente a regolamenti di conti, a banditismo e ad azioni più letali che efficaci”…

continua qui

 

 

qualche link interessante da https://libertariam.blogspot.com:

articoli di Angelo Gaccione e Girolamo Dell’Olio

https://libertariam.blogspot.com/2022/04/a-rigor-di-logica-diangelo-gaccione.html

https://libertariam.blogspot.com/2022/04/verso-labisso-di-girolamo-dellolio.html

https://libertariam.blogspot.com/2022/04/invasori-invasi-invasati-diangelo.html 

 

 

La guerra in Ucraina: realtà e finzione – Alan Woods                 

…Il 10 marzo il Fortune Magazine ha pubblicato un articolo di Marcus Ryder, nel quale già si esprimevano seri dubbi sulla veridicità della propaganda ufficiale:

“In una guerra in cui la vasta maggioranza dei governi occidentali ha appoggiato l’Ucraina contro le azioni della Russia, pare che numerosi giornalisti occidentali abbiano quasi del tutto abbandonato i loro princìpi giornalistici di doverosa imparzialità e obiettività nel racconto della guerra.

“I giornalisti, come i medici, non devono schierarsi. È nostro dovere riferire i fatti senza timore o simpatia, il più oggettivamente possibile.

“Se una delle parti in guerra è indiscutibilmente ‘l’aggressore’ e ‘nel torto’, ciò deve emergere con chiarezza dal modo in cui riferiamo i fatti e restare al giudizio dei nostri lettori. Se il giornalista emette un verdetto al posto del lettore, rompe il contratto di fiducia siglato dal lettore con l’organo di stampa, contratto secondo il quale i giornalisti non selezionano i fatti da riferire sulla base di quelli che tornano comodi alla parte che favoriscono.

“Da lettore, devo essere messo in condizione di poter avere fiducia che i giornalisti mi raccontino le violazioni dei diritti umani a prescindere se a commetterli sono forze russe o ucraine. Ciò non fa di me un “simpatizzante di Putin”. Un giornalismo obiettivo e imparziale che riporta i fatti mi può convincere che Putin sia nel torto. Servizi soggettivi e pregiudiziali mi portano a dubitare se sto avendo una descrizione equa e accurata di quanto sta veramente accadendo. Mi rende più riluttante a condannare Putin perché non sono sicuro se mi stanno dicendo tutto.”

Ma a nessun occidentale è mai stato detto tutto. Contrariamente alle stupidaggini della propaganda, i russi, ben lungi dal distruggere tutto ciò che gli capita a tiro, hanno dato prova di moderazione per ridurre le vittime civili – donde i numeri incredibilmente bassi di morti civili accertate.

A puntualizzarlo è stato un articolo molto interessante pubblicato il 22 marzo da Newsweek intitolato “I bombardieri di Putin potrebbero devastare l’Ucraina ma si stanno trattenendo: ecco perché”.

L’articolo si apre con la dichiarazione per cui “Nonostante quanto la guerra ucraina si stia dimostrando devastante, la Russia sta causando meno danni e uccidendo meno civili di quanto potrebbe, secondo esperti dell’intelligence statunitense”.

E continua citando le parole di alti ufficiali Usa, i quali hanno dovuto rimanere anonimi, perché avevano ricevuto un briefing dal Pentagono e gli era stato ordinato di non parlare con la stampa. Uno di questi, ufficiale della US Air Force, afferma:

“Trovo frustrante la narrazione per cui la Russia sta intenzionalmente bersagliando i civili, distruggendo le città, e che a Putin non freghi nulla. Questa visione distorta ostacola la ricerca di una soluzione prima che si verifichi un vero disastro o che la guerra si propaghi nel resto dell’Europa.”

Un’altra fonte, analista presso la Defence Intelligence Agency (DIA), dice:

“So che i notiziari continuano a ripetere che Putin sta colpendo i civili, ma non c’è alcuna prova che la Russia lo stia facendo intenzionalmente… Anzi, io direi che la Russia potrebbe uccidere migliaia di civili in più se solo volesse.”

“A parere dell’analista”, ci dice Newsweek, “nonostante la guerra abbia portato a devastazioni senza precedenti nel sud e nell’est, l’esercito russo in verità ha dato prova di moderazione nei suoi attacchi a lungo raggio”.

Questi commenti particolarmente illuminanti vengono poi elaborati nel corso dell’articolo, dal quale citerò ora ampi estratti:

“Lo scorso weekend, dopo 24 giorni di conflitto, la Russia ha effettuato circa 1400 sortite aeree e lanciato quasi 1000 missili (in contrasto, gli Stati Uniti effettuarono più sortite e sganciarono più armi nel primo giorno soltanto della guerra all’Iraq del 2003). La vasta maggioranza degli attacchi aerei avviene sul campo di battaglia, dove l’aviazione russa fornisce ‘stretto supporto aereo’ alle forze di terra. Il rimanente – meno del 20%, secondo gli esperti statunitensi – era mirato ad aeroporti militari, caserme e depositi logistici.

[…]

“‘So che è difficile accettare il fatto che il massacro e la distruzione potrebbero essere ben peggiori di quanto già sono’, dice l’analista della DIA. ‘Ma questo dicono i fatti. Ciò se non altro mi suggerisce che Putin non stia attaccando i civili intenzionalmente, ma che forse sappia che deve limitare i danni per tenere aperto uno spiraglio ai negoziati.’

[…]

“La Russia non ha bombardato le postazioni di contraerea a protezione delle città. Gli analisti Usa dicono che i generali di Putin erano particolarmente riluttanti ad colpire bersagli urbani a Kiev.

“Di conseguenza, qualunque fossero i piani del Cremlino – se la Russia cercava veramente la supremazia aerea o se stava cercando di limitare i danni a Kiev –, è fuor di dubbio che Putin abbia dovuto rivedere il suo piano d’attacco a lungo termine.

“L’analista della DIA non è d’accordo: ‘Qualunque sia la ragione, chiaramente i russi sono stati riluttanti a lanciare attacchi dentro la megalopoli urbana di Kiev’.

“‘Hanno lanciato dei segnali’, aggiunge l’ufficiale in pensione. ‘Gli aeroporti delle regioni occidentali [a Lutsk, Leopoli e Ivano-Frankovks] sono stati colpiti perché erano i più probabili trampolini di lancio per i mezzi aerei donati all’Ucraina che sarebbero entrati dalla Polonia e da altri paesi est-europei’.

“‘Mentre venivano individuati quegli obiettivi’, continua, si parlava anche di una no-fly zone occidentale per la quale quegli aeroporti sarebbero probabilmente stati fondamentali.

“‘E il campo d’addestramento per i cosiddetti peacekeeper [a Yaroviv] è stato colpito perché era lì che sarebbe stata addestrata la ‘legione internazionale’, aggiunge l’ufficiale. ‘Mosca l’aveva pure annunciato.’

[…]

“‘Si fa un gran parlare di Grozny [in Cecenia] e Aleppo [in Siria] e delle città ucraine rase al suolo’, dice a Newsweek un secondo alto ufficiale in pensione della US Air Force. ‘Ma anche nel caso delle città meridionali, dove i centri abitati sono a portata dell’artiglieria e dei missili, gli attacchi sembrano mirati alle unità militari ucraine, molte delle quali operano necessariamente all’interno dei centri urbani’.”

Come gli ucraini fanno diventare i civili degli obiettivi

C’è abbondanza di prove che l’esercito ucraino piazzi regolarmente la sua artiglieria nelle aree residenziali in prossimità di scuole e ospedali con l’idea di attirare il fuoco russo. Ad attestarlo c’è l’articolo del Washington Post firmato da Sudarsan Raghavan il 28 marzo, dove leggiamo questa interessante ammissione:

“Secondo attivisti per i diritti umani ed esperti internazionali di diritto umanitario, la strategia dell’Ucraina di collocare attrezzature militari pesanti e altre fortificazioni nelle zone civili potrebbe indebolire gli sforzi occidentali ed ucraini di rendere la Russia legalmente colpevole di possibili crimini di guerra. La settimana scorsa l’amministrazione Biden ha ufficialmente dichiarato che Mosca ha commesso crimini contro l’umanità.

“‘Se lì ci sono attrezzature militari e [i russi] dicono che li stanno attaccando, ciò delegittima la tesi per cui stanno attaccando intenzionalmente obiettivi civili e i civili stessi’: così Richard Weir, ricercatore della divisione crisi e conflitti di Human Rights Watch, che sta lavorando in Ucraina.

“Weir ha sostenuto che l’esercito ucraino ‘ha una responsabilità dettata dalla legge internazionale” di rimuovere le sue forze e materiali dalle aree popolate da civili, e, se ciò non fosse possibile, di trasferire i civili fuori da quelle zone.

“‘Se non lo faranno violeranno le leggi di guerra’, ha aggiunto. ‘Il motivo è che stanno mettendo a rischio i civili, perché ogni materiale militare costituisce un obiettivo legittimo.’

[…]

“‘Quando un attacco contro obiettivi militari rischia di causare vittime civili’, spiega Schabas, professore di diritto internazionale, ‘il danno ai civili deve essere bilanciato rispetto al vantaggio militare. Se quest’ultimo viene a mancare, la violenza non è giustificata ed è ragionevole parlare di crimini di guerra’.

“Ma il confine con il crimine di guerra diventa ancora più sfumato se i quartieri residenziali vengono militarizzati e diventano zone di combattimento con inevitabili perdite civili.”

È il caso di Kiev stessa, le cui zone residenziali sono frequentemente colpite da missili russi, non perché erano il bersaglio originale, ma perché tali missili sono stati abbattuti dai razzi ucraini schiantandosi su zone popolate. L’articolo spiega:

“Esperti di sicurezza di media occidentali hanno fatto notare che la contraerea ucraina si trova talmente dentro la città che quando colpisce razzi, missili e droni russi i detriti sono talvolta caduti su complessi residenziali.

“I soldati e i volontari ucraini dissuadono i giornalisti dal fare foto o video dei checkpoint, degli equipaggiamenti militari, delle fortificazioni e delle basi estemporanee all’interno della città per non rivelare ai russi le loro ubicazioni. Un blogger ucraino ha caricato su TikTok un post dove si vedevano un carro armato e altri veicoli militari ucraini stazionati nei pressi di un centro commerciale. Centro distrutto il 20 marzo da un attacco russo che ha lasciato otto vittime.

“Non ci sono prove che il post su TikTok abbia portato all’attacco. Su Facebook un sostenitore dell’esercito ucraino ha detto di dare la caccia al tiktoker per avere rilevato le postazioni militari ucraine ‘solo per avere dei like’. ‘Fornisco premio di $500 per ogni informazione riguardo questo utente TikTok: identità, indirizzo, contatti’. Il Servizio di sicurezza dell’Ucraina ha poi annunciato l’arresto del blogger.”

Le atrocità russe: realtà o messinscena?

La raffica di falsità propagandistiche è riuscita a ingannare il pubblico, specie nel Regno Unito. Ma finalmente il muro sta cominciando a mostrare delle crepe.

In una recente trasmissione di Channel Four News, il corrispondente senior Alex Thomson (da Poltava) ha espresso per la prima volta i suoi dubbi sul modo in cui l’esercito ucraino censura le notizie:

“Quando si va a fare informazione su una guerra bisogna sempre sottoscrivere le regole di censura militare: non puoi quindi rivelare le posizioni e i numeri dei dispiegamenti di forze e così via, perché ciò potrebbe causare delle morti. E nessuno ha niente da ridire.

“Le cose si sono fatte un po’ più interessanti qui in Ucraina. A Kiev, nei pressi del centro città, due giorni fa, è stato colpito un importante edificio strategico. Ecco, è meglio che non aggiunga altro. Ma per due giorni i media del mondo intero, oltre a quelli ucraini, non hanno potuto dire praticamente nulla in merito, né mostrare dei filmati dettagliati su quanto era accaduto.

“Non ho mai visto un livello di controllo così forte in nessuna delle guerre che ho mai seguito, e nemmeno così efficace. Questo giusto per ricordare che ovviamente, non si discute, i russi hanno un regime di censura molto forte e ingombrante che si propaga da Mosca. E lo sappiamo tutti, ne abbiamo vista parecchia in azione. Ma anche qui c’è della censura e anche noi operiamo sotto quelle restrizioni. È bene ricordarlo.”

È in questo contesto che dobbiamo valutare le ultime notizie sulle presunte atrocità russe a Bucha, uno dei villaggi dai quali l’esercito russo si è recentemente ritirato. L’esercito ucraino ha annunciato il ritrovamento delle prove di crimini di guerra russi: cadaveri di civili abbandonati per strada con le mani legate dietro la schiena, alcuni con segni di tortura, e così via.

Ma a nessuno è stato permesso di verificare queste notizie. Il governo di Kiev ha immediatamente vietato a tutti i giornalisti di visitare la zona per 24-48 ore. Il pretesto ufficiale per tenere fuori tutti gli osservatori esterni è stato la possibile presenza di trappole esplosive nella zona.

Ma Thomson ha precisato che non c’era la minima prova. La sua supposizione è che vi fosse un “potenziale di indagini per crimini di guerra” e che la “scena del crimine” dovesse essere preservata a tale scopo.

È naturale che ogni accusa seria di crimini di guerra debba essere investigata da soggetti qualificati la cui onestà e imparzialità non possano essere messe in discussione. Ma l’esercito ucraino corrisponde forse a questa descrizione? Thomson si è espresso in modo molto attento e misurato nei suoi commenti – tutti, come ci ha ricordato lui stesso, fatti sotto stretta censura militare:

“Dobbiamo essere molto attenti a non saltare a conclusioni – se avete visto le nostre foto stanotte – riguardo come queste persone sono finite dov’erano, nello stato in cui si trovavano, con quegli uomini con le braccia legate dietro la schiena.”

Sì, è verissimo. Ma fermi tutti! La scena del delitto, per definizione, deve essere lasciata completamente intatta, per evitare che possa essere manomessa o alterata in qualsiasi modo. Escludendo deliberatamente i giornalisti e ogni altro osservatore esterno, gli ucraini hanno avuto 48 ore per fare quello che pareva loro.

È un tempo più che sufficiente per interferire con la scena del delitto, sistemare prove incriminanti e, in generale, presentare una visione distorta al mondo. Fatto questo, gli ucraini si sono sentiti liberi di accompagnare sul posto un gruppo di giornalisti ben selezionati e metterli davanti a tutte le varie “prove” che avevano deciso di allestire per i loro occhi.

Ma dalla parte ucraina sarebbero capaci di un simile inganno? La domanda stessa è carica di ingenuità. È cristallino che sin dall’inizio gli ucraini sono stati impegnati in una campagna di disinformazione elaborata, sofisticata e altamente efficace, ripresa e magnificata da tutti i media del mondo occidentale. Visto il ruolo chiave giocato dai media in questa guerra, perché dovrebbero astenersi dal ricorrere a simili metodi?

La prima domanda che deve essere fatta per identificare l’autore di un crimine è: cui bono? A chi giova?

Commettere una strage per poi lasciare le vittime in giro per le strade affinché il nemico le trovi non sembra la tattica ideale per i russi, che non ne trarrebbero il benché minimo beneficio.

Ma per gli ucraini, i quali, nonostante tutta l’insensata retorica, si trovano ora in una posizione sempre più disperata, il beneficio di una simile propaganda è incommensurabile, perché darebbe ulteriore peso alle richieste di aiuti militari ripetute ancora una volta da Zelensky davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Oh, sì! Varrebbe l’invio di un intero carico di razzi anticarro per un uomo con le spalle al muro.

In assenza di prove certe da fonti assolutamente imparziali e affidabili, noi dobbiamo sospendere il giudizio riguardo la validità di queste accuse. Sarà il tempo a dire chi stava mentendo e chi stava dicendo la verità.

Ma ci rifiutiamo categoricamente di sottoporci al rullo compressore della macchina della propaganda, che non fa che manipolare i fatti nell’interesse della cricca al governo dell’Ucraina e i suoi sponsor imperialisti, le cui mani sono indelebilmente macchiate del sangue di innumerevoli innocenti.

Un crimine di guerra ucraino

È arcinoto che in tutte le guerre da entrambe le parti vengono commessi atti atroci. Non c’è ragione di supporre che la guerra in Ucraina faccia eccezione. Quel che è strano, però, è che nessuno parla mai delle atrocità e dei crimini di guerra commessi dagli ucraini.

Fino ad oggi.

Ieri il velo di segretezza e censura è finalmente caduto. Abbiamo avuto notizia di un incidente verificatosi in una località a nord della cittadina di Dmytrivka, a poco più di otto chilometri da Bucha. È stato documentato e ha avuto larga diffusione sui social media.

In questo video si vedono quattro corpi a terra in un bagno di sangue – tutti con l’uniforme militare russa. Le mani di almeno uno di questi corpi sembravano legate dietro la schiena.

Dei quattro soldati a terra nel video, uno si muove ancora, mentre si sentono dei fischi. Uno dei soldati intorno ai corpi dice: “Guardate, è ancora vivo”. Poi un soldato gli spara alla testa due volte. Il corpo continua a muoversi e quindi il soldato gli spara di nuovo. A quel punto si ferma.

Il video è stato inizialmente condiviso sulla piattaforma social Telegram. Il New York Times ha comunicato di avere verificato il video, e la BBC ha detto di aver confermato la località e trovato immagini satellitari che mostrano i corpi a terra.

Secondo il giornalista della BBC, i soldati ucraini sono rimasti sulla macabra scena ridendo e ironizzando sulla loro impresa. Uno di loro si sente gridare: “Gloria all’Ucraina”. Un altro risponde: “Gloria agli eroi”.

Ora, non ci vuole una grande dose di eroismo per uccidere un ferito a terra con le mani legate dietro la schiena. Non è stato un atto di guerra commesso nel fervore della battaglia, ma un omicidio a sangue freddo. Il fatto che le vittime fossero in uniforme non cambia nulla, in quanto un prigioniero di guerra disarmato non è più un combattente attivo, per legge è assimilabile a un civile.

Il video ha causato un certo imbarazzo, ma è stato fatto velocemente cadere nel dimenticatoio con le solite assicurazioni che ci saranno delle “indagini”. Possiamo prevedere con certezza che non se ne saprà più nulla e che i censori militari ucraini stringeranno ancor più la presa per evitare che ulteriori prove dei crimini ucraini possano apparire sui social media.

Possiamo fare due ulteriori previsioni con assoluta fiducia:

1) ci saranno molte altre notizie di presunti crimini di guerra russi nell’immediato futuro;

2) maggiore sarà il baccano fatto su queste storie, maggiore sarà la certezza che gli ucraini stanno perdendo terreno.

Joe Biden mostra gli artigli

Armiamoci di santa pazienza e ascoltiamo le perle di saggezza giunte dalla bocca di un anziano signore che presiede il paese più potente del pianeta. Eccolo qui che parla dei crimini di guerra russi:

“Ho un ultimo commento da fare prima di cominciare la mia giornata. Forse ricorderete che sono stato criticato per aver chiamato Putin un criminale di guerra. Be’, la verità l’avete vista a Bucha. Ciò ci legittima a chiamarlo criminale di guerra.”

Oh, finalmente si parla chiaro!

Ma fermi un attimo! C’è dell’altro:

“Ma dobbiamo raccogliere informazioni, dobbiamo continuare a fornire all’Ucraina le armi di cui hanno bisogno per continuare a combattere, e dobbiamo trovare tutti i dettagli così che questo possa essere un vero… per avere un processo per crimini di guerra.”

Un momento solo, prego: prima dici che Putin è un criminale di guerra. Poi che “dobbiamo raccogliere informazioni”.

Ma non è forse necessario raccogliere le informazioni necessarie prima di stabilire se qualcuno è colpevole o no?

Il nostro zio Joe si è caricato sulle spalle (un po’ cadenti) il ruolo di giudice, giuria ed esecutore. Ci ricorda un giudice dei vecchi film di cowboy: “Ti faremo un processo giusto, e poi ti impiccheremo”.

Mosca commenta i commenti di Biden

Il Cremlino non ha misurato le parole nella sua risposta allo zio Joe. Il portavoce Dimitri Peskov ha detto ai giornalisti che “Rifiutiamo categoricamente tutte le illazioni”.

Peskov ha precisato che gli “esperti al Ministero della Difesa [russo] hanno identificato segnali di fake video e falsi di altro tipo”.

Secondo l’AFP, ha anche detto che “Sarebbe auspicabile che i leader internazionali non si affrettassero a lanciare accuse generiche e almeno ascoltassero le nostre argomentazioni”.

Gli investigatori russi hanno inoltre annunciato un’indagine sulle immagini da Bucha, sostenendo che per l’esercito di Mosca “non corrispondono alla realtà e sono di natura provocatoria”.

E Peskov ha chiesto quale diritto hanno gli Usa di accusare chicchessia di crimini di guerra quando l’imperialismo statunitense stesso è stato responsabile della morte di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. È una buona domanda. Mi chiedo se Washington sia in grado di fornire una risposta altrettanto buona.

Un vero caso di genocidio

Nelle ultime settimane la parola “genocidio” è stata sbandierata più e più volte. Zelensky ha una passione particolare per questa parola nel descrivere le azioni russe in Ucraina, anche se Joe Biden non sembra condividere il suo entusiasmo. Ma cos’è un genocidio esattamente?

La definizione più in uso è lo sterminio deliberato di vasti numeri di persone di una particolare nazione o gruppo etnico, con l’obiettivo di distruggere quella nazione o gruppo, come il massacro di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti, o lo sterminio di massa dei tutsi da parte degli hutu in Rwanda. Ma che rapporto c’è con le morti in Ucraina?

In tutte le guerre muoiono i civili, spesso in gran numero. Ma non tutte le guerre vengono chiamate guerre di sterminio. Di che stime parliamo in Ucraina? Il 3 aprile l’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu registrava un totale di 3 455 vittime civili nel paese; 1 417 morti e 2 038 feriti.

Certo, anche una sola morte civile rappresenta una tragedia. Ma rispetto a quasi qualsiasi altra guerra che possa venirci in mente, questi numeri sono minuscoli. E sono ben lontani da qualsiasi accettabile definizione di genocidio.

Prendiamo un altro esempio. Penso alla sanguinosa guerra in Yemen, dove negli scorsi otto anni i sauditi e i loro alleati hanno condotto una spietata campagna di bombardamenti contro la popolazione civile, distruggendo deliberatamente zone residenziali, silos per il deposito di grano, porti e imbarcazioni impegnate a trasportare generi alimentari a una popolazione ridotta alla fame.

L’Onu stima che la guerra in Yemen abbia ucciso 377 000 persone per la fine del 2021. Più di 150 000 di queste morti sono conseguenza diretta del conflitto armato, ma ben superiori sono quelle causate dalla fame e dalle malattie portate dalla guerra.

I raid aerei sauditi colpiscono frequentemente obiettivi civili civili come ospedali e scuole, nonché assembramenti come matrimoni e mercati senza alcun obiettivo militare nelle vicinanze. Spesso si tratta di attacchi definiti a colpo doppio, perché si ripetono poco dopo per bombardare i soccorsi giunti sul posto.

Per giunta, la coalizione saudita ha deliberatamente bombardato tutte le infrastrutture, le strade, i porti ecc., ed ha imposto un embargo via terra e mare che ha bloccato l’arrivo degli aiuti umanitari, persino quelli disposti dall’Onu.

Benché il governo britannico dichiari che fornisce servizi di addestramento alla coalizione per evitare le vittime fra i civili, non c’è alcuna prova che questo abbia ridotto i decessi causati dai raid aerei. Tutto questo ben si presta a essere definito genocidio. Ma Boris Johnson e Joe Biden non hanno nulla da dire in proposito.

Perché? Perché la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sono complici di questa guerra di sterminio contro il popolo dello Yemen e appoggiano il regime saudita con le mani grondanti di sangue di Mohammed bin Salman, che riforniscono di quelle stesse armi che stanno uccidendo e menomando uomini, donne e bambini innocenti. La loro è una tacita approvazione dell’uso della carestia di massa per spezzare la popolazione civile di un paese povero.

Se c’è qualcuno che dovrebbe essere trascinato davanti alla Corte internazionale di giustizia sono loro. Ma nessuno osa dire mezza parola in merito.

Gli interessa molto più sbraitare contro un inesistente genocidio in Ucraina e puntare il dito contro l’uomo del Cremlino, che tratta la loro stupida retorica come l’impotente balbettio, qual’è.

Un momento critico

Questo è un momento critico per la guerra in Ucraina. L’accerchiamento e la distruzione di una vasta parte delle forze armate regolari del paese avrà effetti catastrofici e presumibilmente porterà a un crollo del morale. Ciò renderebbe superfluo conquistare Kiev, come quando nel 1940 per l’esercito tedesco non fu più necessario mettere sotto assedio Parigi una volta che l’esercito francese era stato accerchiato e aveva subito una sconfitta decisiva sul campo.

Questa è una possibile variante. Se, ciononostante, gli ucraini continueranno a resistere, la distruzione sarà spaventosa e, alla fine, dovranno capitolare, accettando qualsiasi condizione che i russi desiderino offrire.

Ecco perché Zelensky è preso dall’ansia di negoziare un accordo il più presto possibile. Dietro tutti suoi ultimi discorsi, a dispetto dal loro tono sprezzante, si identifica chiaramente una nota di disperazione. Ma non tutti sono altrettanto entusiasti alla prospettiva di un accordo che comporterebbe la fine delle ostilità in Ucraina.

Un ruolo particolarmente disgustoso viene giocato dai britannici e dagli americani. Devono sapere che le probabilità di una vittoria ucraina sono infinitesimali, eppure Biden, e soprattutto Johnson, continuano a spingere per continuare a combattere fino alla fine. Anziché incoraggiare gli ucraini a trovare una forma di accordo negoziale, sabotano sistematicamente ogni tentativo di trattativa.

La cricca famelica dei pazzi destrorsi che governano la Gran Bretagna ha deciso di mettersi in prima mel partito internazionale della guerra. Non che intendano mandare un solo soldato britannico a combattere in Ucraina, men che meno imbracciare un mitra e andarci in prima persona.

Ma ora sospettano che i loro alleati nella Nato, specie gli odiati europei, si stiano preparando a svendere l’Ucraina. Nemmeno gli yankee sono al di sopra dei sospetti. Pochi giorni fa The Times di Londra ha pubblicato un articolo con un titolo interessante:

“La Gran Bretagna incoraggia l’Ucraina: non demordere. Il governo teme che gli alleati occidentali spingeranno Zelensky a trovare un accordo di pace a breve.”

Sarebbe difficile immaginare un articolo più cinico e disgustoso di questo. Ecco cosa vi si legge:

“La Gran Bretagna teme che gli Stati Uniti, la Francia e la Germania spingano l’Ucraina a ‘scendere a patti’ e fare concessioni significative nelle trattative di pace con la Russia, secondo fonti raccolte da The Times.

“Una fonte governativa di spicco ha svelato il timore che gli alleati siano ‘troppo desiderosi’ di ottenere un accordo di pace a breve, aggiungendo che l’accordo andrebbe raggiunto solo con un’Ucraina nella posizione più forte possibile.

“In una telefonata nel weekend, Boris Johnson ha avvertito il presidente Zelensky che il presidente Putin è ‘un bullo e bugiardo’ che non si farebbe problemi a sfruttare i colloqui per ‘sfiancarvi e costringervi a fare delle concessioni’.

‘La fonte dice che queste concessioni potrebbero essere significative in termini di territori, sanzioni e l’incriminazione di Putin come potenziale criminale di guerra.

“I ministri credono che a Putin non debba essere offerta una ‘facile via d’uscita’, mentre Johnson ha affermato che vuole un’intensificazione delle sanzioni da parte degli alleati finché tutte le forze russe non avranno lasciato l’Ucraina, compresa la Crimea.”

Non è carino? Questi benestanti signori, dalle comodità delle loro stanze di Westminster, mentre sorseggiano il miglior Scotch, spingono Zelensky a combattere fino all’ultima goccia di sangue – di sangue ucraino, intendiamoci.

E quanto all’accusa del nostro Boris a Vladimir Putin di essere un bugiardo: è un po’ strano sentirla da un uomo incapace di aprire la bocca senza sparare almeno due o tre colossali falsità.

Cosa importa agli “amici dell’Ucraina” a Londra e Washington se la guerra si trascina e migliaia di persone perdono la vita? Certo, è tutto molto triste. Ma ha il vantaggio di dare ai “difensori del mondo libero” strabilianti storie da copertina di incalcolabile valore per distrarre l’attenzione di un pubblico sempre più scontento per la dura realtà dell’aumento dei prezzi e del crollo delle condizioni di vita. Non è forse una causa per la quale vale la pena combattere e morire?

È nei loro interessi egoistici far sì che il massacro continui il più a lungo possibile per poterlo usare al fine di coprire la miseria del popolo sotto i drastici tagli alle condizioni di vita inflitti dai rispettivi governi. Nell’interesse del popolo ucraino, così dicono!

Ma Zelensky capisce meglio di chiunque altro che la guerra deve finire con un negoziato. Sicuramente comprende che, prolungando l’agonia del suo popolo, l’accordo finale sarà persino peggio di prima.

Il paese sarà distrutto e Washington non avrà materiale di propaganda a sufficienza per nascondere quella che sarà un’umiliante disfatta.

E i poveri ucraini dovranno pagare il prezzo di tutto questo.

Un avvertimento

Tutte le prospettive hanno un carattere necessariamente condizionale. Ciò è tanto più vero per qualsiasi prognosi dell’esito della guerra, che – come affermato da Napoleone – è la più complessa di tutte le equazioni.

Ho basato la mia analisi sui fatti a mia disposizione. Ma nelle guerre si possono verificare molte svolte brusche e inaspettate. Ci saranno numerosi alti e bassi prima dell’epilogo. Ma nei limiti di ciò che è possibile valutare, i fatti puntano verso una sola direzione.

È vero che i russi hanno subito delle perdite, quasi certamente maggiori rispetto a quanto Mosca sia disposta ad ammettere. Tuttavia le vittorie ucraine sono state esagerate dai media.

Qua e là i russi sono stati rallentati da unità ucraine di piccole dimensioni grazie a tattiche mordi e fuggi per mettere fuori gioco carri armati e altri veicoli con moderni lanciarazzi, per gentile concessione di Boris Johnson. Ma a prescindere da quanto possano essere state vittoriose in certi casi particolari, queste tattiche di guerriglia non possono cambiare l’orientamento generale della guerra, men che meno stabilire il suo esito ultimo.

Nel frattempo le perdite ucraine – sulle quali i media non dicono una parola – devono essere ben superiori rispetto a quelle russe. E la Russia è molto più in grado di rimpiazzare le perdite rispetto all’Ucraina, alimentando così una campagna punitiva per un periodo di tempo ben maggiore.

Ma l’esito non sarà necessariamente rapido e semplice come l’ho presentato qui. Tanto per cominciare, l’accerchiamento delle forze ucraine nel Donbass è una manovra mastodontica e complicata, che potrebbe richiedere settimane, se non di più.

Anche in quel caso, in teoria, non è da escludersi che Zelensky, sotto la pressione degli elementi ultranazionalisti e fascisti del suo governo e degli “alleati” a Washington e Londra, decida di continuare a combattere, anche se certamente sa che sarebbe una linea di condotta disastrosa.

Joe Biden e Boris Johnson stanno aiutando Zelensky, sull’orlo del precipizio, a fare qualche ulteriore passo in avanti. Con amici così, a che servono i nemici? In ogni caso, il risultato finale non è di difficile previsione.

Conseguenze

Le conseguenze di tutto ciò saranno di lunga durata. E non saranno di gradimento per gli stupidi sciovinisti di Washington e Londra. Tutta la propaganda occidentale sull’imminente crollo della Russia e le dichiarazioni incendiarie su un Putin con le spalle al muro sono già state smascherate come ridicola aria fritta.

Senza dubbio, le sanzioni hanno avuto degli effetti in Russia, ma non catastrofici come si sperava a ovest: hanno fatto infuriare il popolo e l’hanno messo contro l’Occidente, senza la minima conseguenza sulle azioni di Putin o sulla guerra in Ucraina.

Biden e co. speravano che, colpendo i portafogli degli oligarchi russi, questi ultimi si sarebbero rivoltati contro Putin. L’effetto è stato esattamente l’opposto. Le mie fonti in Russia mi dicono che la popolarità di Putin fra le élite russe è persino aumentata dopo l’imposizione delle sanzioni occidentali.

Due mesi fa gran parte degli oligarchi russi erano filo-occidentali. Non è più così. I filo-occidentali sono emigrati, chi è rimasto sta facendo quadrato attorno a Putin.

Per quanto riguarda le larghe masse, il sostegno per la guerra è in aumento in tutti i gruppi sociali. Al contrario del 2014, però, il sostegno per Putin fra le masse, benché esista, è relativamente passivo. La situazione potrebbe cambiare in qualsiasi momento nel futuro, ma non presto. Quanto ai tentativi occidentali di ottenere una rivolta di massa contro Putin, gli sono più che altro d’aiuto. Putin non potrà essere popolare, ma le masse nutrono un disgusto ben radicato per la Nato e l’imperialismo Usa, che giustamente vedono come loro nemici giurati.

Dovremo occuparci degli effetti economici in un prossimo articolo. Ma le masse stanno già subendo gli effetti delle sanzioni con la lacerazione del fragile tessuto del commercio mondiale, l’interruzione delle catene di approvvigionamento, l’aggravarsi delle scarsità delle merci e un’inflazione galoppante. Le masse dovranno pagare il conto dei crimini del capitalismo e dell’imperialismo: aumento dei prezzi e crollo delle condizioni di vita. Sarà benzina sul fuoco della lotta di classe.

La storia dimostra che le guerre hanno spesso conseguenze rivoluzionarie, una volta dissipatisi i fumi velenosi dello sciovinismo e i deliri bellicisti. I lavoratori greci stanno già dando l’esempio con lo sciopero generale e manifestazioni di massa contro la guerra e gli attacchi al tenore di vita. Altri seguiranno.

I fatti in Ucraina sono il preludio di un nuovo, tempestoso periodo nella storia del mondo. In un paese dopo l’altro, le masse cominceranno a trarre conclusioni rivoluzionarie. I marxisti devono essere pronti!

La cosa più importante è non farsi influenzare dal martellamento senza precedenti della propaganda ufficiale, avere sangue freddo e mantenere una ferma posizione rivoluzionaria e internazionalista di classe.

E la precondizione per farlo è tenere salda la presa sui processi reali mediante un’analisi marxista scientifica. Che le nostre azioni siano guidate dalle meravigliose parole di quel grande pensatore dialettico che fu Spinoza:

Non piangere né ridere, ma capire.

da qui

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

7 commenti

  • C’era una volta un re piemontese. Si chiamava Vittorio Emanuele.

    Era convinto che il Lombardo Veneto e il Regno delle Due Sicilie dovessero unirsi in un unico regno italiano: il suo.

    Così intraprese una serie di guerre, successivamente chiamate guerre di indipendenza; e finanziò una spedizione militare, successivamente chiamata spedizione dei Mille.

    Vinse, e fu Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia. Oggi vediamo ovunque monumenti, strade e piazze a lui dedicate.

    C’era una volta un presidente russo, spesso denominato anche “autocrate”. Si chiamava Vladimir Putin.

    Era convinto che la Crimea e il Donbass facessero parte della Russia.

    Così le invase, con migliaia di morti, deportati, torturati, profughi. Non conosciamo ancora la conclusione della storia.

    I casi sono due: o Vittorio Emanuele e Vladimir Putin sono entrambi criminali (e questa è la mia personale opinione) o sono entrambi eroi “della Patria”.

    Maledetta patria, maledette patrie.

  • Francesco Terreri

    E questo sarebbe un blog pacifista e nonviolento?

    “Il sostegno dell’opinione pubblica sia all’Operazione Z che al presidente Putin è senza precedenti. Dopo i video di tortura dei prigionieri di guerra russi che hanno provocato una diffusa repulsione, la società civile russa si sta addirittura preparando per una “Lunga Guerra” che durerà mesi, non settimane, finché gli obiettivi dell’Alto Comando russo – in realtà un segreto militare – saranno raggiunti.
    La Russia può affrontare la NATO e farla a pezzi in 48 ore. Può impiegare sistemi avanzati di deterrenza strategica senza eguali in tutto l’Occidente. Il suo asse meridionale – dal Caucaso e dall’Asia occidentale all’Asia centrale – è completamente stabilizzato. E se il gioco si fa veramente duro, il signor Zircon può consegnare il suo biglietto da visita nucleare ipersonico senza che l’altra parte sappia nemmeno cosa l’ha colpita”.

    • Non capisco perchè Francesco Terreri prenda una sola frase (dentro un dossier con oltre 20 interventi) e ci giudichi da quella.
      Dall’inizio di questa nuova fase di una lunga guerra – prima invisibile (come tante altre purtroppo) ma da quasi due mesi sotto i riflettori mondiali – in questo piccolo blog abbiamo ospitato molti dossier con punti di vista diversi; ovviamente non tutti e/o non per intero li condividiamo ma ci sembravano, per un verso o per l’ altro, interessanti.
      Negli ultimi due mesi qui nella “bottega” ci siamo ritrovati confusi (e un po’ schizofrenici) come tanti altri ma tutte/i d’accordo su un punto: «o ci uniamo al coro di chi canta quanto è cattivo Putin (che è vero) o diamo voce a chi dice che dall’altra parte non risiede la bontà (e anche questo è vero)». E abbiamo scelto la seconda opzione. Dunque massima solidarietà a tutte le vittime e condanna a Putin per aver alzato il livello dello scontro ma noi non vediamo questa guerra come vorrebbe la propaganda Nato. E crediamo a molto poco – quasi nulla – di quanto ci viene ripetuto e mostrato ogni giorno dai media occidentali.
      Prima di questa nuova fase di una lunga guerra (è bene ripeterlo: da una parte ci sono la Russia con i suoi alleati e dall’altra Ucraina con Nato-Usa) nel nostro blog per anni abbiamo pubblicato decine e decine di articoli e dossier sulle guerre nascoste, sul crescente riarmo e sull’aumento delle spese belliche. Perchè siamo convinti che questo modello economico-politico mondiale che è dominato dall’ Occidente (o Uccidente se vogliamo dire una scomoda verità cambiando una sola vocale) inevitabilmente alimenti e/o produca guerre in ogni parte del mondo, proprio come ogni giorno “fabbrica” – più o meno consapevolmente – catastrofi ecologiche, sanitarie e sociali.
      Crediamo che pacifismo e nonviolenza includano il farsi domande su dati, cause e pretesti delle tragedie che succedono. E continueremo a interrogarci e a cercare faticosamente le risposte per “disarmare” il mondo.
      Daniele, a nome della piccola redazione

    • Francesco Masala

      se è per questo abbiamo messo anche il video di Luttwak che dice che la guerra è una cosa bella, ma fare una citazione non vuol dire essere d’accordo.
      sono due cose diverse, almeno in bottega la pensiamo così, lo diciamo per chi ancora non lo sa.

  • claudia berton

    siete davvero ottimi, voi della bottega! Vi seguo sempre, vi condivido, e vi ringrazio!!

  • Francesco Masala

    Dai pacifisti e pacifiste dell’ora in silenzio per la pace
    Dalle Veglie contro le morti in mare
    lettera aperta a Gianfranco Pagliarulo

    Caro amico, caro compagno Gianfranco Pagliarulo
    Abbiamo molto apprezzato il coraggio tuo e dell’ANPI nello schierarsi contro l’invio di armi all’Ucraina: siamo convinti/e, con te e con voi, che va riconosciuto che l’Ucraina è l’aggredito, e la Russia l’aggressore; ma siamo altrettanto convinti/e che posizionarsi al fianco dell’aggredito non significhi automaticamente rifornirlo di armi.
    Ci ha particolarmente indignato l’argomento di chi tira in ballo la Resistenza di cui tu e l’ANPI volete fare memoria. Sappiamo bene che gli alleati che rifornivano anche di armi i partigiani erano con loro cobelligeranti contro i fascisti ed i nazisti; che iniziarono a rifornirli a guerra già in atto e non, come hanno fatto gli USA con l’Ucraina in funzione antirussa nel periodo prebellico; che oggi l’Italia avrebbe dovuto e potuto farsi promotrice di pace e di trattative, cosa che la sua posizione di belligerante non dichiarata rende impossibile.
    Abbiamo assistito impotenti al banchetto di tutti imedia che hanno dipinto la tua dichiarazione “la resistenza ucraina è legittima” come una marcia indietro o un voltafaccia.
    Sappiamo bene che è legittima. Resta da stabilire se è umana, opportuna, consigliabile, utile, sensata.
    Resta da stabilire se chi la guida non avesse alternative per evitare l’llegittima (questa sì è illegittima) invasione russa
    Resta da stabilire se chi la sostiene con le armi (USA, NATO, Europa, Italia) è disinteressato
    Resta da stabilire che fine farà l’arsenale internazionale che è stato recapitato in Ucraina, e consegnato non si sa a chi
    Resta da stabilire se non trascinerà in guerra altri paesi
    Resta da stabilire se i combattenti civili ucraini, arruolati senza tanti complimenti e ripresi dalle tv di mezzo mondo mentre salutano mogli e figli non avrebbero preferito fare altre scelte.
    …Anche la pena di morte negli USA è legittima.
    Anche il finanziamento italiano alla guardia costiera libica è legittimo
    Anche il job act e il licenziamento dei lavoratori scomodi è legittimo
    Anche Frontex è legittimo.
    Anche sottrarre risorse alla sanità, alla scuola ed al welfare per destinarle alle armi è legittimo.
    Anche le 90 bombe nucleari USA stoccate nel sottosuolo italiano sono legittime.
    Ma….
    Cerchiamo di comprendere la fatica ed il travaglio cui sei sottoposto in questi giorni, e vogliamo farti giungere il nostro abbraccio affettuoso e solidale.
    Le Veglie contro le morti in mare
    Pacifisti e pacifiste dell’ora in silenzio per la pace di Genova http://www.orainsilenzioperlapace.org

  • Gian Marco Martignoni

    Fortunatamente Lucio Caracciolo, a cui va riconosciuta una certa freddezza nei giudizi, sta mettendo visibilmente in difficoltà la Gruber e tutta quell’opinione pubblica bombardata come non mai da una propaganda a senso unico.Tra l’altro sabato su La Stampa di sabato 23 c.m Caracciolo si domanda ” Dov’è la vittoria dell’occidente ? “, stante che non si comprendono gli obiettivi di Zelenskyi e della sua cerchia.Giusto questa mattina, leggendo il quindicinale Area ( organo del sindacato svizzero Unia, che collabora per i lavoratori e lavoratrici frontalieri-e con la Cgil ), ho appreso da un intervista a Matteo Zola, esperto di Europa centro-orientale e area post-sovietica ,che le milizie armate di estrema destra Azov,Dnipro e Aidar ” sono state create per scopi economici” dall’oligarca Ihor Kolomoiskyi, che è il padrino politico di J.Tymosenko e di P.Porosenko.Quando quest’ultimo è entrato in conflitto con l’oligarca, Kolomoiskyi è ricorso alla figura di Zelenskyi.Queste milizie private combattono dal 2014 contro il battaglione Vostok, che è finanziato dall’oligarca Achmetov ed altri oligarchi filo-russi per brutali, lo ripeto, interessi economici.Poichè è evidente che dobbiamo respingere la manipolazione informativa in corso, mi risulta più chiara l’affermazione raccolta da Sabato Angeri su Il manifesto del 24-3 ” Azov ha preso il controllo dell’Ucraina.Zelenskyi è solo una pedina nelle loro mani e fa tutto ciò che gli ordinano.Le persone si illudono che Azov stia combattendo per l’indipendenza ,ma è solo propaganda “.Se poi consideriamo che gli USA e l’Inghilterra mirano ad una guerra prolungata per procura, due più due fa quattro.Quindi, non scherziamo con la storia della resistenza da sostenere con le armi, se si vuole far terminare il conflitto.

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