I nomi che vorrei avere

di Maria Teresa Messidoro (*)

Pablo Picasso in realtà si chiamava Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno Maria de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz y Picasso, dei quali gli ultimi due tratti dal padre e dalla madre, ai sensi della regola del “doppio cognome” vigente in Spagna.

Abuela Kihili, una ricercatrice colombiana – dopo un lungo processo di riappropriazione delle proprie origini, applicando il diritto sancito da un articolo di un decreto colombiano approvato nel 1980 – con una scrittura pubblica, registrata con il numero 1246 l’8 settembre 2000, cambia il proprio nome in Zafra Kihili Zafra Kunturpillku Khamaqshani. Ha voluto introdurre come nome il cognome paterno Zafra, di origine Moro, il cui significato è “giallo, dorato, pronto per il raccolto”, mantenendo inoltre le proprie radici culturali per cui questo nome deve essere ripetuto all’inizio ed alla fine del nome stesso. Kihili, invece, in lingua iku, della Nazione Wintukua, è il nome mitico della donna che quando scuote la folta capigliatura mentre danza, fa piovere foglie sacre di Coca. Per ciò che concerne i due cognomi, entrambi derivano dalla lingua qeshwa: kuntur è il condor, pillku è stormo, quindi Kunturpillku è stormo di condor. Khamaq è colui che organizza, ordina, porta armonia; shani è il corrispondente del gerundio attivo andando/camminando: quindi Khamaqshani significa organizzando, ordinando, armonizzando. (1)

Beh, io molto più modestamente, vorrei che il mio nome completo fosse MariaTeresa Wilma Carolina Apollonia Isabella Maddalena Maria Margherita Rosa Lucia Aklia.

Andiamo con ordine.

MariaTeresa è il nome con cui sono stata battezzata, anche se nel corso della mia vita ho avuto molti soprannomi: Gegia è come mi presentavo da piccola (e Gegia sono rimasta per alcuni cugini), poi sono diventata Emme Ti, Tere, Mayte, Terri, a seconda degli ambienti e delle circostanze.

E Maria Teresa sia come primo nome, perché mi si addice, come un vestito realizzato su misura per me.

Mi piacerebbe portare anche il nome di mia madre, Wilma (in realtà Wilma Elisabetta), un nome poco usuale, ma scelto da mia nonna perché era il personaggio di una novella (non so purtroppo quale); da lei ho sicuramente ereditato l’ottimismo e la priorità da dare alle persone rispetto alle cose e all’esteriorità; purtroppo non ho ereditato il suo pollice verde né la sua fantasia da sarta, però sì il parlare con tutti e saper ascoltare. Per anni, nel popoloso e umano quartiere Borgo San Paolo di Torino, era soltanto zia Wilma, in una informale grande famiglia allargata che superava le pareti della casa o di un condominio per raggiungere il mercato e i negozi di vicinanza.

Sicuramente non posso tralasciare il nome di mia nonna materna, Carolina, la persona a cui sono stata forse più legata; dopo un viaggio interminabile da Torino ad Asti in treno, poi con la “littorina” fino a Moncalvo (dove lei ha vissuto e dove sono nata) e gli ultimi quindici minuti a piedi tra orti e case inerpicate sulla collina, suonavo accaldata alla sua porta: ma bastava il suo sorriso e il suo racconto quotidiano a farmi dimenticare la fatica e la tristezza. Da lei non ho certo ereditato le capacità culinarie (ah i fantastici agnolotti), sì il desiderio di conoscere (leggeva tutti i giorni al nonno le notizie del quotidiano, per essere informata e aggiornata prima di tutto lei), il considerare la propria casa uno spazio per tutti: apriva il portone appena si alzava alle cinque del mattino e lo lasciava aperto fino alla sera tardi, per permettere di entrare a chi si avvicinava anche semplicemente per una bottiglia di latte o qualche pomodoro dell’orto.

Mia nonna a vent’anni

Della bisnonna materna, la mamma di Nonna Carolina (Apollonia ho scoperto essere il vero nome, ma per noi era nonna Bettina, boh) ho solo un ricordo: lei ormai vecchietta, con la cuffia e la camicia da notte bianca, nel letto importante della casa a Moncalvo e io che non arrivavo nemmeno a toccarle la mano; so che era nota per non perdere mai tempo, per pensare sempre a ciò che avrebbe dovuto fare immediatamente dopo a ciò che stava terminando; come me, del resto.

So anche che con suo marito, il bisnonno Simone, ha rifiutato la tessera del fascismo, rischiando di perdere il lavoro; coerenza politica no?

Non posso tralasciare nemmeno la bisnonna Sablina, la mamma di mio nonno Michelito; innanzitutto il vero nome era Isabella Maddalena (per anni abbiamo creduto che si chiamasse Elisabetta, secondo nome di mia madre); lei non l’ho proprio conosciuta, è morta quasi centenaria quando io ero appena nata. Una vita per niente facile: originaria di Calliano, piccolo paesino del Monferrato, dove nacque il 10 ottobre 1862, a soli quindici anni sposa Michele Zanello, originario di Penango; dopo alcuni anni di matrimonio, morti piccolissimi due dei quattro figli (senza nemmeno potersi permettere un funerale dignitoso) decide con il marito, alla fine dell’800 (probabilmente verso il 1885) di emigrare nella Merica, più precisamente nelle pampas argentine; ritornerà a Penango anni dopo, già nel secolo XIX, con pochi soldi ma con otto figli (mio nonno Michelito fu l’ultimo, nato nel 1897) a Tres Arroyos. Chissà che proprio da questa bisnonna Sablina non abbia ereditato un inconsapevole legame con l’America Latina, che caratterizza le mie scelte di solidarietà e di impegno. E un sentirsi cittadina del mondo.

Maria De Bernardis era sua madre, una trisnonna di cui quasi niente si sa. Ma scelgo di conservare questo nome, collegandolo a quello che ufficialmente ho; so invece che avevo una pro pro zia che si chiamava Teresa detta la Grama, troppo arcigna e severa con tutti, per questo non l’aggiungo al mio nome, già sufficientemente lungo.

Margherita (e pensare che mia mamma voleva chiamarmi Margherita!) è la mia trisnonna da parte di nonna Carolina, nata a Moncalvo nel 1830. Pare fosse chiamata Margherita da Moncalvo, e per questo mi piace, perché anch’io sento profonde le mie radici nel Monferrato, una piccola terra che ha cercato di resistere a lungo alla supremazia dei Savoia (Davide contro Golia si diceva una volta, oggi noi diciamo los de abajo contro los de arriba, secondo il modello zapatista)

Rosa Gamba è invece la mia trisnonna, mamma del bisnonno Michele, nata sempre a Penango nel 1813 e lì morta nel 1876, ancora giovane dunque; so che sua mamma si chiamava Lucia Gerba, probabilmente nata nel 1700. Lì le radici si perdono, non ci sono documenti più antichi da consultare, o così pare.

Generazioni di donne della mia famiglia, inizi anni 50

E Aklia perché? Eva sarebbe stata troppo scontata, perché Eva è la nostra grande madre, la prima donna; ma ho scelto Aklia, rifacendomi a L’infinito nel palmo della mano in cui Gioconda Belli trasforma il testo apocrifo sulla storia di Adamo ed Eva in un bellissimo romanzo da leggere e rileggere.  Aklia è la figlia di Eva, muta, che un giorno riprenderà a parlare e riconquisterà il Paradiso perché i suoi discendenti “sapranno che l’unico Paradiso dove la vita è vera, è quello in cui possiedono il libero arbitrio e la conoscenza” (2) E noi donne vogliamo il Paradiso già ora, non l’inferno delle violenze, dei femminicidi, dei soprusi, delle discriminazioni, una terra dunque in cui valga la pena di vivere.

Intanto potremmo firmare la petizione che Laura Cima ha postato su Change, in cui si chiede al Parlamento Italiano di legiferare il permesso di scegliere il cognome materno. Il cognome maschile, afferma Laura Cima, è uno degli ultimi baluardi di una società patriarcale. La legge giace ferma da più di un anno in Senato, con il rischio di non essere approvata nemmeno in questa legislatura. Un piccolo gesto in più verso la conquista del nostro Paradiso. (3)

Parola di MariaTeresa Wilma Carolina Apollonia IsabellaMaddalena Maria Margherita Rosa Lucia Aklia.

  1. https://vitaminevaganti.com/2021/01/02/abuela-kihili-un-nuovo-linguaggio-decolonizzatore/#
  2. Gioconda Belli, L’infinito nel palmo della mano, Feltrinelli 2009, pag 195
  3. https://www.change.org/p/la-legge-sul-cognome-materno-deve-essere-approvata

(*) Alla ricerca delle proprie radici e dell’altra storia, quella delle donne troppo spesso invisibili.

In “bottega” cfr Sessismo: cognomi e nuove parole per…(per cacciare le vecchie idee del patriarcato) di Barbara Bonomi Romagnoli

Teresa Messidoro

2 commenti

  • Gianluca Cicinelli

    Gustosissimo l’articolo e firmerò la petizione. Volevo soltanto aggiungere il caso di una mia carissima amica, vittima di uno zio bontempone a cui fu delegata, nel lontano 1951, la registrazione della nascita all’anagrafe di Roma. Vedendo un regolamento appeso al muro scoprì come aggirare tutte le liti familiari per il secondo nome, che per noi comuni mortali si consuma nella lite su quale nome dei nonni mettere per primo. Il regolamento ne prevedeva fino a 35 e fu così che la mia amica si ritrovò con 35 secondi nomi. Sarei curioso di vedere il certificato di nascita di allora. Cito infine mio padre, era del 1913, a cui il padre, socialista, affibbiò come terzo nome inaspettato Maria. Quando fu un po’ più grande chiese spiegazioni per quel nome, che all’epoca implicava battutine a sfondo sessuale. Il padre gli rispose che era il nome dei maschi dei Savoia e gli chiese: “pensi che tu abbia qualcosa di meno del re?” Il ragionamento deve averlo convinto perchè anche io di terzo nome faccio Maria.

    • Gianluca Maria Cicinelli. Suona bene, il “Gianluca” quasi chiama il “Maria”, dovresti adottarlo, non per rispetto al padre ma perché ti ingrandisce. Ma forse tu intendi restare nel tuo solito, più modesto e autentico, nelle dimensioni di ognuno.
      PS. A scanso di equivoci preciso che Mauro Antonio è il mio primo nome, per quanto risultante da una contesa familiare, conclusa con un vero e proprio trattato di non belligeranza. Tra il padre modernizzatore che voleva Mauro; e la madre devota di Sant’Antonio di Padova, che sul rispetto del santo non transigeva. Per lungo tempo ho dato ragione a “papà”, accettando mi si diminuisse chiamandomi semplicemente Mauro; poi il fisco, e l’introduzione del codice fiscale, mi hanno costretto a aumentare le mie ambizioni e così portare rispetto anche alle ragione di “mammà”. Con il risultato che tutti credono io possa essere effettivamente chiamato Marc’Antonio (pensate alla mia vergogna: non c’è nulla di atletico o militaresco in me); e che la correzione che apporto alle obiezioni di ognuno non sia altro che una copertura all’errore di uno dei tanti burocrati, complicatori di professione, che democristianamente cerco di salvare.
      Quanto alla domanda del nonno “pensi che tu abbia qualcosa di meno del re?” rispondo io per conto di tuo padre, Gianluca (concedimi questo ulteriore azzardo): Macché, semmai sarà lui ad avere qualcosa in meno di me e di tutti. Tant’è che ha bisogna di un “Maria” per darsi un po’ di tono. Io, guarda, se proprio vogliamo ridere, ce lo aggiungo. Ma dobbiamo pensare al tuto futuro nipote, ai tempi nuovi, al rifiuto di tirarsela delle nuove generazioni. Come la prenderà lui?
      Ma la vera domanda è: mi manderà o meno a quel paese il bravissimo (con o senza Maria) Cicinelli?

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