I pennivendoli scrivono che l’Ucraina e la Nato stanno vincendo

articoli, video e disegni di Vauro, Cobas scuola, Francesco Gesualdi, Douglas MacGregor, Scott Ritter, Giuseppe Bruzzone, Raniero La Valle, Marco Politi, Marco Tarquinio, Andrea Tornielli, Piero Schiavazzi, Francesco Pallante, Toni Capuozzo, Clara Statello, Domenico Quirico, Loris Campetti, Giuseppe Masala, Nicolai Lilin, Alessandro Di Battista, Francesco Masala, Dante Barontini, Stefano Vespo, Stefano Orsi, Giacomo Gabellini, Carlos Latuff, Marco Travaglio

NO ALLA MILITARIZZAZIONE DELLA FESTA DELLA REPUBBLICA (Cobas scuola)

Ai Dirigenti Scolastici

Ai Presidenti dei Consigli di Istituto

Ai docenti e ai genitori

Agli studenti e alle studentesse

In occasione della festa della Repubblica il prossimo 2 giugno, il Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del MIM con circolare del 4/5/2023 prot. 699 ha invitato i Dirigenti Scolastici delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione a inoltrare la propria candidatura per partecipare alla rivista militare in via dei Fori Imperiali a Roma. L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, presentato a Roma il 9 marzo 2023 nel corso di una conferenza stampa svoltasi a Montecitorio, sta già da tempo monitorando i rapporti, sempre più stretti, che si stabiliscono tra forze armate e scuole denunciandone l’assoluta incompatibilità. Chiediamo con forza che le scuole intenzionate a partecipare alla rivista militare del 2giugno a Roma ritirino, o non inoltrino, la propria candidatura: il 2 giugno deve rimanere la festa della Repubblica democratica antifascista che ripudia la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali.

Chiediamo che gli studenti, le famiglie e i docenti convinti della necessità di un’educazione alla pace intervengano e risparmino alle loro scuole una giornata che si profila come l’ennesima occasione di contatto tra forze militari e istituti scolastici. In un contesto simile la partecipazione a una sfilata in mezzo alle divise militari finirebbe con il mettere in secondo piano quanto di buono quotidianamente viene portato avanti all’interno delle nostre aule. Siamo fermamente convinti che non sia possibile per docenti, genitori, dirigenti scolastici, studenti e studentesse farsi rappresentanza di tutto il personale scolastico all’interno di una parata militare, e crediamo che far sfilare dei ragazzi e delle ragazze insieme all’esercito, mentre nel cuore dell’Europa assistiamo a una progressiva escalation militare, sia un messaggio molto pericoloso e in lampante contraddizione con la funzione stessa della scuola…

continua qui

 

 

L’Ucraina e don Lorenzo – Francesco Gesualdi

A cento anni dalla sua nascita, possiamo provare a leggere la guerra che avanza in Europa con il pensiero di don Milani? Naturalmente no, spiega Francesco Gesualdi, che del priore di Barbiana è stato allievo. Rimettere indietro gli orologi del tempo è operazione rischiosa e spesso strumentale, anche perché in tempo di guerra la prima vittima è sempre l’informazione. Eppure, nelle parole di don Lorenzo troviamo riflessioni e insegnamenti che ci aiutano in modo essenziale a interpretare ancora la realtà contemporanea. Da quelli espressi nella Lettera ai cappellani militari sulla loro accusa di viltà agli obiettori di coscienza fino alla rilettura critica del concetto di “patria”, parola chiave nella retorica della prosa dei destinatari di quella lettera così come in quella dei massimi esponenti del governo italico dei giorni nostri. Il punto da cui partire per capire le ragioni e le dinamiche della guerra scoppiata in Europa, guerra che nessun governo cerca davvero di fermare pensando solo a come poterla vincere, scrive Gesualdi, è che l’aggressione russa non è un fulmine a ciel sereno, ma il risultato di 30 anni di rapporti logoranti fra paesi occidentali e Russia. Il vero oggetto del contendere non è l’Ucraina ma il dominio del mondo. Il che ci porta su un altro piano, quello economico, la madre di tutti i nazionalismi.

 

Nel centenario della sua nascita, in quanto ex-allievo, mi sento chiedere da molte persone cosa avrebbe detto il Priore, alias don Lorenzo Milani, rispetto alla guerra in Ucraina. Mettere parole in bocca ai defunti è sempre sconveniente, per cui rispondo che è impossibile dirlo e che tocca ad ognuno di noi assumerci la responsabilità di trovare le risposte agli avvenimenti in corso.

Ma nel contempo aggiungo che il Milani  può esserci d’aiuto per individuare il metodo utile a formarci un’opinione. Il testo di riferimento è la Lettera ai cappellani militari scritta per contestare la leggerezza con cui quest’ultimi avevano condannato gli obiettori di coscienza.

Il comunicato dei cappellani militari era intriso della parola “patria”, un concetto che don Milani non condivide, ma che affronta solo marginalmente perché capisce che per dimostrare l’infondatezza di quanto affermavano i cappellani non deve restringere il campo di osservazione, bensì allargarlo in una prospettiva storica, politica, morale.

Così decide di passare in rassegna le guerre che hanno coinvolto l’Italia dal 1860 in poi, per dimostrare che la patria si serviva obiettando, non obbedendo. Rispetto alla guerra in Ucraina, se vogliamo formarci un’idea il più possibile vicina alla verità, dobbiamo fare la stessa operazione: dobbiamo abbandonare l’ambito ristretto degli avvenimenti contingenti e allargare lo sguardo alle origini del conflitto.

Che significa fare un viaggio a ritroso nella storia e analizzare gli interessi di tutte le parti in causa sotto ogni profilo: militare, politico, economico. Ricordandoci che in tempo di guerra la prima vittima è l’informazione, che non ci viene data proprio o ci viene data distorta e amputata.

Per ammissione generale la guerra in Ucraina non è solo fra russi e ucraini, ma fra Russia e Nato. Lo dicono gli sforzi profusi dai paesi Nato per sostenere l’Ucraina e le ragioni espresse da Mosca a giustificazione della sua aggressione. Secondo i calcoli del Keil Institute, dal gennaio 2022 al febbraio 2023, i paesi occidentali hanno stanziato a favore dell’Ucraina aiuti complessivi per 143 miliardi di euro, di cui 73 da parte degli Stati Uniti e 55 da parte dell’Unione Europea unitamente ai paesi che la compongono. Oltre un terzo dell’aiuto è stato per armi fornite principalmente da Stati Uniti (44 miliardi di euro) seguiti da Gran Bretagna (4,89 miliardi), Polonia ( 2,43 miliardi), Germania (2,36 miliardi).

Per di più alcuni paesi Nato ospitano soldati ucraini per corsi di addestramento e garantiscono servizi di intelligence nel teatro di guerra. Tanto impegno è giustificato con l’argomentazione che è doveroso intervenire a fianco di chi è aggredito.

Ma la credibilità viene meno quando pensiamo che molti di quegli stessi paesi che mostrano tanta solerzia verso l’Ucraina non hanno mosso un dito a sostegno di altri popoli aggrediti.

Peggio ancora hanno permesso alle proprie industrie di fornire armi agli aggressori. Tipico il caso del governo italiano che per anni ha autorizzato la fornitura di bombe e missili ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che le utilizzavano per bombardare lo Yemen.

Del resto come dimenticare la guerra in Iraq, i bombardamenti in Serbia e altre aggressioni perpetuate nel recente passato dai paesi occidentali singolarmente o come alleanza Nato?

Il punto da cui partire per capire le ragioni e le dinamiche della guerra scoppiata nel cuore dell’Europa è che l’aggressione russa non è un fulmine a ciel sereno, ma il risultato di 30 anni di rapporti logoranti fra paesi occidentali e Russia.

A inizio anni ’90 del secolo scorso, quando l’impero sovietico cominciò a sgretolarsi, molti pensarono che la guerra fredda sarebbe finita considerato che i rapporti di tensione fino allora esistenti erano conseguenza di blocchi economici e politici contrapposti.

Ma se il sistema economico adottato da entrambi le parti ora è lo stesso, perché continuare a ritenersi nemici?

La variabile non considerata, però, erano i nazionalismi in agguato in entrambi gli schieramenti. Finché si configura con la tutela delle proprie tradizioni culturali, il nazionalismo si può anche ritenere un sentimento positivo, ma molto più spesso ha il connotato del senso di superiorità ed allora diventa mortale perché sfocia nell’egemonia e nella supremazia.

Nel desiderio, cioè, di dominare gli altri popoli. Non a caso un prodotto tipico dei nazionalismi sono gli eserciti, anche se la ragione addotta a loro giustificazione è la sicurezza. L’esigenza, cioè, di tutelarsi dall’istinto di egemonia altrui. Così crescono le spese militari in un mondo dominato dallo spirito di sopraffazione. Ed è stato proprio il tema della sicurezza uno dei principali elementi di frizione che ha condotto alla guerra in Ucraina.

Nel 1991, assieme all’impero sovietico si dissolse anche il Patto di Varsavia, l’alleanza dei paesi dell’Est, ma non si dissolse la Nato, l’alleanza dei paesi occidentali. Il che era elemento di preoccupazione per i dirigenti della nuova Federazione russa, che fin dai primi scricchioli del proprio declino avevano chiesto assicurazioni sulla non espansione della Nato.

Assicurazione data a più riprese dagli Stati Uniti come testimonia la storica frase pronunciata dal segretario di stato James Baker il 9 febbraio 1990 in un incontro col leader sovietico Mikhail Gorbachev.

La promessa era che la Nato non si sarebbe spostata ad est neanche di un centimetro, ma nel 1999 la troviamo arricchita di tre nuovi paesi dell’Europa dell’Est e successivamente di altri 11, contando, nel 2020, un totale di 30 membri rispetto ai 16 del 1998.

La grande nazione dell’est che ancora mancava era l’Ucraina, che però aveva iniziato le procedure di ammissione. Con grande ira della Russia che chiedeva la neutralità per questo paese confinante. In conclusione l’Ucraina è diventato un paese strattonato da ambedue le parti, ciascuna utilizzando l’argomentazione che più le è funzionale per il raggiungimento dei propri obiettivi.

L’Occidente sostenendo il diritto dell’Ucraina a scegliere con quale parte stare; la Russia sostenendo il diritto alla propria sicurezza e il diritto all’autonomia da parte delle minoranze russofone presenti soprattutto nella regione del Donbass.

Quanto alle sommosse popolari avvenute in ambedue i campi, solo fra qualche decennio gli storici potranno dirci se si è trattato di iniziative spontanee o di fenomeni alimentati dalle potenze straniere. Di certo c’è che la guerra in Ucraina poteva essere evitata se le due parti l’avessero voluto.

Lo dimostra l’esistenza di una bozza di accordo presentata nel dicembre 2022 dalla Russia. Che però non fu neanche presa in considerazione dalle forze occidentali. Ed oggi che la guerra è in atto, seminando morte e distruzione, non c’è la volontà di fermarla, bensì di vincerla, perché il vero oggetto del contendere non è l’Ucraina ma il dominio del mondo. Il che ci porta su un altro piano, quello economico, la madre di tutti i nazionalismi.

 

E’ interessante notare come l’allargamento della Nato iniziò nello stesso decennio in cui venne istituita l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Che sembra una contraddizione, ma solo in apparenza. In realtà il rafforzamento della Nato faceva da polizza assicurativa contro i rischi posti dall’OMC. In fondo l’OMC è stato lo strumento giuridico per liberalizzare il mondo, ossia per farne un unico mercato dentro il quale le imprese potessero competere alla conquista del mercato mondo.

Una prospettiva fortemente voluta dai paesi occidentali, patria delle multinazionali sicure di uscirne vincitrici. Ma dovettero ricredersi, perché il nuovo contesto favoriva la crescita di imprese collocate in nazioni prima insignificanti dal punto di vista economico. In particolare cinque paesi racchiusi nella sigla Brics, i più temuti dei quali sono Cina e Russia che l’Occidente vuole frenare.

E sapendo che la partita economica sarà vinta da chi sarà in grado di controllare le nuove tecnologie e le nuove risorse ad esse funzionali, gli Sati Uniti da anni si stanno organizzando per limitare il progresso tecnologico e l’accesso alle materie prime strategiche da parte delle potenze emergenti.

Con due strumenti chiave: sanzioni commerciali e impegno militare. In un caso per isolarle sul piano tecnologico, nell’altro per fiaccarle in modo da limitare la loro capacità di penetrazione nei paesi del Sud del mondo ricchi di materie prime. Principalmente Africa e America Latina.

Tanta complessità dovrebbe insegnarci ad evitare le tifoserie incondizionate e a chiederci sempre se le scelte che stiamo sostenendo sono a difesa dei diritti e della vita o al servizio di logiche di sopraffazione.

da qui

 

 

L’odio – Francesco Masala (3)

Forse è arrivato il momento che il miliardo d’oro occidentale (al quale apparteniamo per caso) si tolga la maschera e si protegga con alte mura, fossati, telecamere a raggi infrarossi e sopravviva con i dollari del Monopoli, che vengono stampati senza sosta, di valore declinante, e produca da sé, se può, tutto quello che vuole consumare.

Sembra ieri che gli occidentali corrotti, incapaci, servi, capi di stato eletti e non eletti parlavano di vittoria sulla Russia, di distruzione della Russia, di emarginazione della Russia, di Afghanistan e Vietnam per la Russia.

Gli occidentali corrotti, incapaci, servi, capi di stato eletti e non eletti ricordano le trionfali vittorie in Vietnam e Afghanistan (e in Siria)?

Probabilmente gli occidentali corrotti, incapaci, servi, capi di stato eletti e non eletti parlano di guerra, guerra e guerra e non di pace perchè hanno la lingua biforcuta (come insegnano gli accordi di Minsk) e nessuno al mondo si fida di loro.

Intanto nella giungla i sette miliardi restanti, i colonizzati dall’Occidente, gli invasi dall’Occidente, gli umiliati e offesi dall’Occidente, i torturati dall’Occidente, che si parlano e si chiamano Brics, aspetteranno la diserzione e la resa degli abitanti della Fortezza Occidente.

 

 

Colonnello MacGregor: “La verità è che l’esercito ufficiale ucraino è stato cancellato”


Conversazione con il Col. MacGregor – Clayton Morris (“Redacted”)

Intervista video originale:

 

[Trascrizione e traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

Il colonnello Douglas MacGregor rivela la devastante verità sull’esercito permanente dell’Ucraina: è stato cancellato. Il Presidente Zelensky questo fine settimana ha detto che ci sono lunghe file ai centri di reclutamento dell’Ucraina, ma non ci sono prove. La Russia continua a decimare la difesa aerea in tutta l’Ucraina in vista dell’offensiva di giugno.

 

*  *  *

 

Morris: Poche ore fa, la Russia ha scatenato un massiccio attacco aereo sull’Ucraina. L’Ungheria è arrabbiata perché l’Ucraina ha progettato di far saltare il proprio gasdotto verso la Russia. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania hanno intenzione di inviare altri miliardi di armi all’Ucraina. E Rishi Sunak ha abbracciato Zelensky ieri nel Regno Unito. Quindi tutto questo denaro, tutte queste armi, cambieranno qualcosa? Se non cambierà nulla e cosa è successo durante la notte, lo faremo con il colonnello Douglas McGregor che ci fornirà la sua analisi e i suoi approfondimenti… Colonnello, è un piacere vederti, amico mio. Bentornato alla trasmissione.

 

MacGregor: Il piacere è mio.

Morris: Parliamo prima di tutto di quello che è successo durante la notte, della strategia e della tattica di quello che è successo durante la notte con Putin che ha lanciato una raffica di attacchi. I rapporti dicono che si è trattato di un attacco devastante da parte ucraina. Gli ucraini però dicono di averli abbattuti tutti. Anche sei missili Kinzhal, i missili ipersonici. Quindi l’Ucraina dice: “Non preoccupatevi, abbiamo tutto sotto controllo”. La Russia dice che hanno colpito tutti e hanno centrato i loro obiettivi. Cosa ne pensate di quest’ultima raffica di missili contro la capitale?

MacGregor: Bisogna tenere presente che i missili balistici intercontinentali sono anche ipersonici. Quindi si tratta di missili che volano a 25-35.000 piedi al secondo. Non possiamo abbattere i missili intercontinentali. Nessuno può abbattere un missile ipersonico. Mi sembra assurdo anche solo suggerire che questi missili Kinzhal, che sono ipersonici, possano essere stati abbattuti.

Quindi tendo a pensare che i russi stiano dicendo la verità. Hanno colpito gli obiettivi.

Ora, mi rendo conto che la gente vuole dividere in compartimenti stagni questi vari attacchi che avvengono nell’arco di diversi giorni. Ma è un errore farlo. Bisogna considerare lo scopo strategico più ampio di questi attacchi. Si sono concentrati quasi interamente sui punti di stoccaggio delle munizioni. Hanno cercato i nuovi armamenti che sono arrivati, come i missili ombra, i patriot e così via. Hanno colpito diversi luoghi in cui si trovavano questi missili e sono stati distrutti.

Se questo è vero, e credo che lo sia, l’idea che gli ucraini siano in grado di fermare qualcosa è ridicola. Non hanno più molto in termini di difesa aerea. Da tempo stanno distruggendo la difesa aerea, rendendo l’Ucraina vulnerabile agli attacchi aerei. E i russi hanno avuto un discreto successo.

Negli ultimi giorni c’è stato un tentativo di entrare in territorio russo da parte di una forza di operazioni speciali ucraina, che è riuscita ad abbattere un paio di aerei russi, cacciabombardieri, e un paio di elicotteri sono andati persi. Quindi la gente dichiara la vittoria sulla base di questa unica fortuna.

Negli ultimi giorni sono anche riusciti a conquistare un complesso agricolo abbandonato e in rovina ai margini di alcuni boschi all’interno della zona di sicurezza di 20-25 chilometri di fronte alle linee difensive russe e all’estremità meridionale vicino a Kherson e Zaporizhzhia, in quella regione.

E naturalmente questa fu salutata come una grande vittoria, perché si trattava di truppe Azov ricostituite.

Avevano subito perdite così pesanti da dover essere completamente ricostruite da zero.

La verità è che questi risultati non sono molto significativi, perché se si guarda all’intera linea del fronte, gli ucraini hanno perso ancora una volta migliaia di persone, centinaia di carri armati e veicoli da combattimento blindati. Non stanno facendo alcun progresso. Stanno semplicemente perdendo altro equipaggiamento e persone che non possono permettersi di perdere.

E vicino a Kiev, hanno colpito punti deboli molto importanti che sono stati presi di mira e fatti saltare in aria. Se avete visto i video, potete vedere le esplosioni piuttosto drammatiche.

Questo ci dice che l’intelligence russa è eccellente. I russi sanno esattamente dove si trovano tutti i nuovi armamenti, le nuove concentrazioni di blindati provenienti da Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna.

Queste cose vengono distrutte molto prima che raggiungano il campo di battaglia…

continua qui

 

 

Scott Ritter (Ex ufficiale marines Usa): “Perché dobbiamo tifare che vinca Putin”

 

 

Con la traduzione di Nora Hoppe vi riproponiamo la traduzione dell’intervento di Scott Ritter, ex ufficiale dei marines Usa, alla trasmissione “Dialoghi su Radio Komsomolskaya Pravda”.


Abbiamo caricato i sottotitoli su Youtube e poteti selezionarli:

 

Di seguito il testo del suo intervento:

 

L’intero esercito americano era unicamente concentrato sull’andare in guerra con l’Unione Sovietica. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato focalizzato su quel compito. Quindi, per quanto le cose siano brutte oggi – e sono brutte, non lo sto minimizzando – non è poi così brutto come allora. L’America non sta spendendo ogni singolo giorno ad allenarsi per andare in guerra con la Russia. Questa è già una cosa positiva.

Penso che la grande differenza tra allora e oggi sia che quando ci stavamo addestrando per combattere l’Unione Sovietica, rispettavamo l’Unione Sovietica. Temevamo persino l’Unione Sovietica. Era una mentalità ben diversa da quella che esiste oggi.

Ma quando l’Unione Sovietica crollò, gli Stati Uniti videro la Russia come un nemico sconfitto. E penso che chiunque abbia vissuto il decennio del 1990 sappia cosa significava. Abbiamo cercato di distruggere la Russia. Abbiamo cercato di controllarvi politicamente e abbiamo cercato di sfruttarvi economicamente. Non avevamo più paura della Russia.

Quando Boris Eltsin si è fatto da parte e Vladimir Putin ha preso il sopravvento, questo ha cambiato un po’ la dinamica. Perché ora la Russia aveva un leader che non avrebbe permesso che fosse trattata come un nemico sconfitto. Ha fatto in modo che la Russia si alzasse in piedi da sola.

Ma il fatto è che la Russia era molto debole quando Vladimir Putin ha preso il potere per la prima volta, e la Russia è stata debole per molti anni dopo. E noi ne abbiamo approfittato. Ad esempio, l’espansione della NATO è stata un segno della debolezza russa. L’interferenza degli Stati Uniti e di altre nazioni negli affari interni della Russia e, ad esempio, il nostro desiderio di controllare l’opposizione politica della Russia significava che non rispettavamo la Russia…

continua qui

 

 

Parti di realtà d’ oggi – Giuseppe Bruzzone

Ho davanti a me l’ articolo inerente un’ intervista dell’ “Avvenire”, al premio Nobel per la Pace 2022, Irina Scherbakova, sulla situazione in Ucraina. Pensa che Putin debba essere sconfitto nella guerra in corso, per avere la Pace, così come accaduto al nazismo, nella seconda guerra mondiale. Secondo il mio punto di vista dico che la signora sta correndo troppo. Tralascia tutti gli accadimenti del fine e dopo guerra con il finale bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki, senza esprimere una speranza pacifista che una seconda guerra mondiale non accada più, stante le distruzioni di vite e di cose, avvenute. Altro che fare con la Russia come con la Germania !

Il fatto che gli americani, la Nato, siano entrati in Ucraina nel 2014 , non nel 2022, data dell’ intervento russo, grazie agli aiuti nazisti in Piazza Maidan e da lì l’ inizio di una loro influenza sociale e politica, non la tocca. Alla signora vorrei ricordare come gli Stati Uniti si siano avvalsi ancora di aiuti nazisti (il fratello di Eichmann e altri ) per contrastare l’ ideologia sovietica nel dopoguerra.( Documenti Cia desecretati anni fa ).  Accenno al comportamento, perché importante, di diversi Stati vincitori della guerra, Urss e Stati Uniti compresi, nell’ accaparramento di scienziati nazisti e non che hanno collaborato con quel potere. Non è stato un buon inizio di Pace nel dopoguerra. Lo si è potuto constatare fino ad oggi, per quanto accaduto nel mondo. In epoca nucleare gli Stati confliggono come in precedenza. Solo che il “nucleare” non ha amici o nemici, può distruggere tutto e tutti. E non lo stiamo capendo, considerando un certo incontro di Stati proprio a Hiroshima, in questi giorni, da cui è scaturita la scelta della continuità della guerra alla Russia, fornendo sempre più armi distruttive agli ucraini. Alla signora vorrei dire come Putin abbia aggredito come altri Capi di Stato hanno aggredito altri Paesi. Occorre citarne alcuni, Siria, Irak,Vietnam del Nord, Jugoslavia ? Qualcuno ha invocato Tribunali internazionali? Presumo che la signora Scherbakova sappia che gli Stati Uniti rifiutano il loro giudizio in presenza di personale americano! Democratico, no?

Non sarebbe ora di un cambio “intelligente” di comportamento statale con i tanti problemi che abbiamo come abitanti del Pianeta Terra? Con il coinvolgimento anche dei propri cittadini verso i quali dovrebbe esserci un senso di responsabilità e non considerarli solo come numeri? E’ impossibile pensare ad una Ucraina neutrale affrontando il problema Crimea e assieme la ricostruzione del “distrutto”? Non si potrebbe aiutare le loro donne emigrate in Europa, Italia compresa, per aiutare la famiglia di ciascuna, a ritornare al proprio Paese, risparmiando sulle armi in gioco?

 

 

Ucraina: quelle di Mattarella e Meloni sono parole di guerra – Francesco Pallante

Che fine ha fatto l’articolo 11 della Costituzione? Quell’articolo che – come ricordava Meuccio Ruini, presidente della commissione che materialmente scrisse il testo della Costituzione – non rifiuta, ma «ripudia» la guerra, a volerne marcare la definitiva condanna giuridica e morale?

Impossibile non chiederselo dopo la tappa italiana del tour europeo di Volodymyr Zelensky. Come i commentatori hanno sottolineato fin da subito, la consonanza con cui i vertici istituzionali italiani hanno accolto il leader ucraino è stata perfetta. «Quello che oggi gli ucraini stanno facendo, lo stanno facendo per l’Europa nel suo complesso. I loro sacrifici sono sacrifici che vengono fatti per difendere anche la nostra libertà». «Per tutto il tempo necessario, e oltre, la nostra nazione continuerà a fornire assistenza bilaterale e multilaterale e ci sarà la nostra convinta adesione agli accordi per l’applicazione delle sanzioni e il nostro sostegno alla pace, purché sia una pace giusta. Non siamo così ipocriti da chiamare pace qualsiasi cosa che possa somigliare a un’invasione. No a nessuna pace ingiusta, imposta all’Ucraina. Qualsiasi accordo di pace dovrà essere condiviso dal popolo ucraino e l’Italia contribuirà a questa direzione». Così la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Piena la sponda assicuratole dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Riconfermo il pieno sostegno dell’Italia all’Ucraina sul piano degli aiuti militari, finanziario, umanitario e della ricostruzione, sul breve e lungo termine. Sono in gioco non solo l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche la libertà dei popoli e l’ordine internazionale. La pace, per la quale tutti lavoriamo, deve ripristinare la giustizia e il diritto internazionale. Deve essere una pace vera e non una resa». E dunque: dal momento che la nostra libertà è anch’essa esposta all’attacco del nemico (un modo più elegante per ribadire, propagandisticamente, che il vero obiettivo di Putin non è Kiev: è Lisbona), continueremo ad armare l’Ucraina senza limiti di tempo, rifiutando qualsiasi mediazione possa concedere alcunché alla Russia.

Una sintonia, quella tra Meloni e Mattarella, davvero impressionante: non solo nei concetti espressi, persino nelle parole utilizzate. Con la sola, significativa, sbavatura di una Meloni che si fa prendere la mano e finisce per lasciarsi sfuggire il vero obiettivo strategico dell’Occidente a guida Nato (con l’Unione europea sempre più ridotta a mera appendice economica): «Scommettiamo sulla vittoria dell’Ucraina». Esattamente quel che, sin dal primo invio di armi, avevano paventato i pacifisti: che, ridotta l’iniziativa occidentale alla sola dimensione militare, il condivisibile obiettivo della difesa dell’Ucraina finisse col trasformarsi nell’avventuristico obiettivo della sconfitta della Russia. Nella sconfitta, cioè, di una potenza nucleare, con tutti i rischi di conseguenze senza ritorno che ciò comporta.

È chiaro che siamo completamente al di fuori dal dettato dell’articolo 11 della Costituzione: una disposizione che ripudia la guerra non solo «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche come «mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Proprio quello che stiamo, invece, facendo in Ucraina, con il rifiuto di parlare di pace se non alle nostre condizioni. È lo strano destino della giustizia applicata alla violenza bellica: che si parli di «guerra giusta», com’era quando a muovere le ostilità era l’Occidente, o di «pace giusta», com’è oggi che a scatenare la violenza sono i nostri avversari, alla fine la giustizia invocata dai potenti sul campo di battaglia non serve mai a far cessare le ostilità, sempre e soltanto a continuarle. È evidente l’intento di disinnescare l’iniziativa diplomatica del Vaticano, al quale hanno congiuntamente contribuito, in un ben riuscito gioco di squadra, Palazzo Chigi, Quirinale e Palazzo Marinskij (sede della Presidenza ucraina).

Giova richiamare, per contrasto, alla memoria le alte parole pronunciate in Assemblea costituente, l’8 marzo 1947, da Ugo Damiani, rappresentante del Movimento unionista italiano: «La guerra, questa follia, questo crimine che sempre ha perseguitato nei secoli l’umanità – perché l’umanità è stata sempre lontana, ed è ancora lontana, da quella forma di civiltà che sia veramente degna dello spirito umano – noi vogliamo eliminarla per sempre, e quindi rinunziamo a questi mezzi di conquista, perché riconosciamo che tutti i contrasti, che qualsiasi contrasto, per quanto grave, per quanto aspro, può sempre essere risolto col ragionamento, poiché il ragionamento – dobbiamo riconoscerlo – rappresenta l’arma più poderosa dell’uomo. Noi rinunziamo alla guerra; non vogliamo più sentirne parlare. Vogliamo lavorare pacificamente; non vogliamo più la violenza. E quest’odio alla violenza, questo odio alla guerra sarà appunto l’orientamento nuovo del popolo».

Proprio il ragionamento – «l’arma più poderosa dell’uomo» – è quel che, fin dalle prime settimane, avrebbe potuto portare alla conclusione del conflitto con un accordo di pace, come svelato dall’ex primo ministro israeliano Naftali Bennet, la cui promettente mediazione fu affossata da Biden e Johnson con l’intento di riportare la Russia alla posizione di subalternità cui era stata ridotta alla fine della guerra fredda. Con il risultato che, giunti a questo punto, per l’Occidente, e per l’Italia, la prospettiva di un accordo di pace che, come tutti gli accordi di pace, riconosca qualcosa all’uno e all’altro contendente, è diventata un rischio più pericoloso della prosecuzione della guerra. Accettare adesso una pace che dovesse riconoscere alla Russia la Crimea e, in una forma o in un’altra, almeno alcuni dei territori di confine abitati da popolazioni russofone significherebbe dover spiegare perché non la si è accettata sin da subito. Costringerebbe a giustificare l’ingiustificabile: le decine di migliaia di morti e feriti e le immani distruzioni nel frattempo prodotte dai combattimenti. Implicherebbe, in definitiva, dover ammettere di essersi spinti sull’orlo dell’abisso morale spalancato dalla Russia, avendo accettato il rischio di cadervi dentro noi stessi.

È per questo che la mediazione di un’autorità (anche) morale come quella di Papa Francesco era, ed è, così importante. Ed è per questo che la posizione assunta dall’Italia in occasione della visita di Zelensky è così deplorevole: non soltanto perché ignora il dovere costituzionale di promuovere e partecipare alle trattative di pace, ma soprattutto perché contribuisce a farci fare un ulteriore passo verso l’abisso pronto a inghiottire il mondo.

da qui

 

 

VENTO DI GUERRA: UNA BASE PER ADDESTRAMENTI MILITARI NEL CUORE DELLA SICILIA – Stefano Vespo

Senza che la popolazione ne fosse minimamente avvertita, senza nemmeno chiedere ai cittadini se fossero d’accordo con una decisione che sconvolgerà per anni e forse per sempre le loro vite, i sindaci di tre paesi del centro della Sicilia, Gangi Nicosia e Sperlinga, decidono di stipulare un accordo di trent’anni con il ministero della difesa italiano. Trent’anni che possono benissimo essere rinnovati di altri trenta.

Il bosco meraviglioso che si estende di fronte al belvedere della piazza di Sperlinga, in cui sorgono almeno diciotto aziende agricole, unica attività produttiva del paese, verrà ceduto all’esercito italiano e trasformato in un poligono di tiro e in un’area di addestramento militare della Brigata Aosta. Si tratta di una estensione enorme: più di trenta chilometri quadrati che fiancheggiano i venti chilometri di strada che separano Sperlinga da Gangi.

Nel piccolo paese, uno dei borghi più belli d’Italia, che ogni anno registra migliaia di turisti che giungono per visitare un castello scavato nella roccia, unico per storia e bellezza, saranno realizzate una caserma che ospiterà in pianta stabile almeno un centinaio di soldati e un deposito per gli equipaggiamenti militari.

Sperlinga ha in tutto meno di mille abitanti e un’estensione molto ridotta. Questo significa che l’intero paese finirà per assumere l’aspetto di una caserma, e che nei periodi in cui l’esercito userà armi da fuoco probabilmente non sarà più possibile raggiungerlo. Questo significa che le attività economiche legate all’allevamento, all’agricoltura e al turismo verranno distrutte.

Alla fine della storica firma, che lunedì otto maggio di quest’anno ha visto i protagonisti stringersi sorridenti la mano sotto la volta della chiesetta del castello, sindaci e generali rilasciano anche soddisfatte interviste, prima di dirigersi verso il generoso banchetto allestito per loro in un’altra sala. Interviste dalle quali apprendiamo più cose che dalla lettura dello stesso accordo.

Soprattutto è istruttiva quella rilasciata dal generale Scardino, delegato del Ministero della Difesa alla firma dell’accordo. Avendo dovuto lasciare la base addestrativa della spiaggia di Punta Bianca ad Agrigento, dopo le continue proteste degli abitanti e delle associazioni ambientaliste, è da tempo che l’esercito cerca un’area in cui fare esercitare i propri soldati all’uso delle armi, dal momento che nessun amministratore di altre zone della Sicilia si è mai minimamente sognato di rispondere al suo appello. Ma questa volta, invertendo il motto che ha reso famosa Sperlinga, Quod Siculis placuitsola Sperlinga negavit, “ciò che i Siciliani hanno rifiutato, a Sperlinga è piaciuto”. Eccome! Quello che in nessuna zona della Sicilia si accetterebbe, quello contro cui ambientalisti e popolazione lottano da anni, viene qui non solo accettato ma accolto con riconoscenza. Infatti, giunto nel cuore dell’isola il generale ha avuto una inattesa sorpresa. Non solo degli amministratori totalmente aperti ad ogni loro richiesta, ma addirittura una popolazione, quella parte meno avvertita naturalmente, che ha subito mostrato simpatia verso l’esercito. Uno spettacolo che ha lasciato meravigliato il generale stesso, che non nasconde di sottolineare il proprio ironico stupore di fronte a tanta innocenza d’animo…

continua qui

 

 

“E’ tutto falsificato, ci tengono in ostaggio”. Nuova (kafkiana) persecuzione di Kiev ai fratelli Kononovich – Clara Statello

La persecuzione giudiziaria dei fratelli Kononovich assume sempre più una dimensione kafkiana. Per l’ennesima volta la loro udienza è stata rinviata. Questa volta non si è presentato nessuno: né il giudice, né il pubblico ministero, né il cancelliere. In aula c’erano solo loro, Mikhail e Aleksandr.

“Oggi c’è stata un’altra udienza in tribunale sul nostro caso inventato. Questa volta non solo non è venuto il pubblico ministero, ma nemmeno il giudice e il segretario del tribunale. Per farla breve, nessuno è venuto tranne noi. Udienza rinviata! Una donna è uscita dall’ufficio e ha detto “sarete informati quando si terrà la prossima sessione del tribunale”, scrivono i Kononovich in una nota inviata ai giornalisti giovedì sera.

Loro si dichiarano prigionieri politici poiché arrestati a Kiev oltre un anno fa per essere comunisti e antifascisti. I pm ucraini brancolano nel buio, non hanno lo straccio di una prova della loro colpevolezza. Per questo le autorità stanno trascinando il processo all’infinito, pur di non rilasciare i due fratelli, che attualmente vivono nel limbo della semi-libertà, con i conti bloccati e sotto minaccia costante delle aggressioni di nazionalisti. Ne è convinto Mikhail Kononovich:

“Trascinano il caso perché non esiste nessun caso. E’ tutto inventato e falsificato, ci tengono in ostaggio e ci prendono in giro”.

Nonostante siano trascorsi i sei mesi previsti dalla legge per la misura cautelare degli arresti domiciliari a cui sono sottoposti, la giustizia si è intoppata. Il giudice ha abbandonato il caso dopo un anno, probabilmente perché “rendendosi conto che non eravamo colpevoli di nulla e che era costretto a prendere una decisione per condannarci, si è dato alla fuga”, ipotizza Mikhail.

Con il nuovo giudice il procedimento deve iniziare da capo, ma la procura non ha nemmeno riformulato l’accusa. Per questa ragione, secondo i fratelli, le udienze si tengono solo per disporre la proroga delle misure cautelari, altrimenti le sessioni vengono rinviate ad libitum per l’assenza del pm.

Giovedì “avrebbe dovuto leggere l’atto d’accusa, in modo che il caso andasse ulteriormente in esame, ma non l’ha fatto perché in realtà non c’è alcun caso penale contro di noi e tutti capiscono che non siamo colpevoli di nulla”, afferma Michail. Teme che la procura stia temporeggiando per costruire le prove e montare un caso che definisce del tutto finto.

“E’ evidente che il potere attraverso il tribunale, sta preparando per noi un verdetto di colpevolezza”, aveva dichiarato lo scorso aprile Aleksandr, commentando l’estensione della misura cautelativa. “A tal fine – aggiunge – il ministero della Giustizia ha disegnato un nostro ritratto psicologico in cui veniamo descritti come inclini alla violenza e pericolosi per la società”, pur non avendo mai commesso alcun crimine.

La storia di Mikhail e Aleksandr Kononovich, perseguitati da oltre un anno per ragioni politiche ed etniche, è tristemente nota. I due fratelli di origine bielorussa sono due esponenti di spicco del Komsomol, la giovanile del Partito Comunista Ucraino (KPU), messo definitivamente fuorilegge il 7 luglio 2022 e condannato alla confisca dei beni.

Sono accusati di tentata sovversione del potere statale e cospirazione, articolo 109 parte 1 e 2 del codice penale ucraino. La pena richiesta dal pubblico ministero è 10 anni di carcere in regime severo. Questo perché a fine febbraio 2022 avevano organizzato una manifestazione per la pace davanti all’ambasciata USA a Kiev…

continua qui

 

 

Ucraina: di “paci giuste” e “vittorie tradite” sono piene le trincee di guerra – Toni Capuozzo

Di “paci giuste” e “vittorie tradite” sono colme le trincee di guerra. Per arrivare alla pace ci sono solo due strade: la vittoria piena di uno dei due contendenti, o la mediazione in cui entrambi rinunciano a qualcosa. In occidente, di questi tempi, si cerca un’inesistente terza via, che è solo un gioco di parole: armare per arrivare alla pace. Dovremmo essere onesti con noi stessi e chiederci se è possibile che l’offensiva ucraina riconquisti i territori che Kiev non controlla dal 2014, se sia in grado di ricacciare i russi oltre i confini, e quanto questo possa costare. Dovremmo essere realisti e chiederci se il rifiuto a mediare non rischi di sancire lo stallo sul terreno, e quindi premiare, in definitiva, l’invasione russa.

Ma è più comodo sperare in una vittoria facile, o sognare che i russi, per magia, si ritirino come le acque dopo un’alluvione. Non sarà così, e quella che ci si prospetta è una guerra lunga, destinata a restare una specie di Medio Oriente nel cuore dell’Europa. Con un rischio in più: che gli Stati Uniti, stanchi di pagare la guerra e attenti alle proprie contese elettorali, si stanchino. E lascino all’Europa l’eredità difficile di una guerra senza fine.

da qui

 

 

I generosi samaritani occidentali ai piedi di Zelensky – Domenico Quirico

Promossi. Qualcuno addirittura con lode. L’Europa ha passato il severo esame di Zelensky: le democrazie non sono tentennanti, pacifiste, o peggio ancora collaborazionisti mal travestiti. Garantisce lui. Sospiro di sollievo, da Londra a Roma: possiamo andare avanti, tenendo comunque le spalle al sicuro. Tutti hanno pagato la tassa necessaria per non finire impancati da Kiev nel girone dei cripto putiniani, quindi all’indice, condannati , maledetti.

Dal viaggio europeo del presidente ucraino solo gli ingenui in modo irrimediabile vaticinavano chissà quali aperture al dialogo e alla tregua. Quello che è sbalorditivo è il modo repentino con cui è cambiato il tono, l’atteggiamento della Guida suprema ucraina nei confronti dei suoi interlocutori che rappresentano, bene o male, una quota della potenza (economica) del mondo. Preistorici i tempi in cui Zelensky ripeteva quel suo nitido piagnisteo: siamo schiacciati dal destino, siamo la vostra prima linea, dateci armi… Alla vigilia della Controffensiva è arrivato il momento di struccarsi e togliersi il costume del questuante. Ormai in permanente tenuta similmaoista, versione felpa militarizzata, che indossa con la disinvoltura di una seconda pelle, è sceso tra gli alleati recitando la parte del corrucciato, ieratico eremita guerriero, che segue strategie in parte occulte ma comunque formidabili, e che accetta di formare con noi europei una società forse solidale ma scettica. È l’uomo che adesso frequenta la Vittoria, che cammina la Vittoria; un luogo ostile, difficile. Ma dopo più di un anno è il suo luogo. Certo non dei suoi mediocri interlocutori che ciabattano trafelati al massimo i sentierini dei sondaggi; in tutto ciò che non è denaro e retorica lenti, perplessi, discontinui. Quale contrasto con il Comandante deciso, svelto, secco, che volta perentoriamente pagina: pace? Trattative? Mediatori? Non servono, scavalchiamo tutto con la “formula ucraina’’, la vittoria.

È una immagine forte, aspra, di esplicito eroismo, necessaria per affrontare la durezza dell’offesa nemica, della brutalità della storia con la s maiuscola. Altro che i nostri brividini per le elezioni europee del prossimo anno.Penso che Zelensky, in fondo, ci disprezzi, noi imboscati di ferro, eroi della sana paura. Apprezza, e non è un paradosso, la aritmetica della pura forza, che è la matematica di Putin. Gli siamo utili per modificare i numeri della mortale equazione con il nemico russo. Tutto lì. I premier, i presidenti che ha incontrato? Tremebondi, che si affannano a implorare la foto consacratoria al suo fianco, che promettono devotamente, con ululati di tripudio, armi e soldi per sempre, «fino a quando sarà necessario» come decide lui. Insomma: un Occidente dignitosamente desolato, un deprimente lunapark un po’ in disuso, impegnato ad affumicare alle radici il sincero dall’utilitario.

Come si spiega questa stupefacente inversione dei ruoli: l’ex questuante sull’orlo della catastrofe personale e collettiva del febbraio dello scorso anno che ora detta, ordina, corregge, padrone dei suoi indispensabili benefattori? E i generosi samaritani che hanno vuotato arsenali e intristito i bilanci che si affannano a non chieder nulla in cambio, che rifiutano perfino di dare consigli per timore di esser bollati come apostati? La risposta è nella debolezza di coloro che hanno fatto corona al visitatore ucraino, nella loro coda di paglia. Zelensky ha capitalizzato questa fragilità. Tutti in Europa hanno bisogno della guerra combattuta dagli ucraini per tamponare consensi in discesa, coprire con infettivo entusiasmo di crociata giusta impicci interni, nutrire di altra biada opinioni pubbliche scettiche e severe, garantire legittimazioni internazionali zoppicanti. «Aiutiamo l’Ucraina contro l’assalto del nuovo Hitler» ripetono in coro, che volete di più? E così si tira avanti, si posticipano i malumori. Insomma niente eroismi democratici, sono in corso nei governi europei semmai i soliti lavori di bassa lega. Si elabora la tattica della distrazione metodica.

Macron, che la legislazione gollista pone al di sopra ormai della cronaca visto che non potrà correre per una rielezione, con le barricate nella sua capitale, lotta però per evitare la scomparsa del suo partito molto finto, senza eredi. Il sostegno all’Ucraina è il poco che gli resta, abbandonate le velleitarie aspirazioni al ruolo di mediatore, l’unico che telefonava anche a Putin. Audacia da “grandeur’’ che rischiava di costargli una fulminante scomunica.

Il cancelliere tedesco Scholz ha superato l’esame con una risicata sufficienza. Zelensky lo tiene d’occhio, sa che le idee morte merkerliane, ovvero il rapporto speciale con Putin, i vantaggi del gas russo, non cessano di esser pericolose a Berlino. Anzi lo sono ancor di più quando hanno strascichi di esistenza fittizia. Ha dovuto impegnarsi, vuotare le tasche versando un altra cateratta di armamenti per dimostrare la sua lealtà. Come ai tempi dei Krupp restano i carri armati e i cannoni la miglior carta tedesca. Il governo italiano gioca una carta ancor più delicata: l’allineamento alla Nato sempre più americanizzata vale per gli eredi del fascismo, o del post fascismo, come l’autorizzazione a esser ammessi nel salotto buono senza percettibili aggrottamenti dei padroni di casa.

Il britannico Sunak poi, in quotidiano rischio di finire licenziato dall’opinione pubblica come i due predecessori, è obbligato a essere il primo della classe: l’Ucraina offre all’ex potenza britannica ridotta a rissosa isoletta una sorta, in politica estera, di replica imbalsamatoria delle scintillanti cerimonie della casa reale. Missili, aerei (arriveranno anche quelli all’incontentabile Zelensky) per rivivere una nuova Crimea: come ai bei tempi di lord Raglan e della carica di Balaclava.

da qui

 

 

 

Ora Kiev minaccia: “se non ci date altre armi ci saranno attentati in Europa” – Dante Barontini

Sembra abbastanza chiaro che tutto l’Occidente neoliberista, dopo quindici mesi di guerra, stia cercando un’idea, una proposta, qualcosa che possa – se non mettere fine al conflitto in Ucraina – almeno fermare l’escalation. L’inferno nucleare è sempre meno sullo sfondo…

Possono aiutare in questo senso le mosse del Papa e quelle della Cina, anche se nessuno – nelle capitali euro-atlantiche – ammetterebbe mai pubblicamente che sta almeno “sperando” in un cessate il fuoco.

Le ragioni di questo tardivo “pacifismo”, come abbiamo altre volte ricordato, non sono affatto nobili, ma semplicemente “oggettive”.

Ci sono problemi seri nel rifornire di armi e munizioni l’esercito ucraino, con i paesi Nato ormai a corto di mezzi per una “guerra simmetrica” di vecchio tipo, dopo essersi specializzati in armamenti per quelle “asimmetriche”, ossia contro paesi debolissimi, in cui bastava bombardare dai cieli per qualche settimana e poi far avanzare truppe tutto sommato di piccola entità senza incontrare una immediata resistenza significativa.

Certo, poi iniziava ogni volta una guerra fatta di attentati, “piccole” azioni, con perdite anche importanti per le truppe imperiali, tanto che alla fine si cominciava il ritiro. Sia che gli obiettivi fossero stati raggiunti (parzialmente, come nei Balcani), oppure no (in Somalia, Iraq, Afghanistan, Siria, ecc.).

Soprattutto ci sono problemi seri per l’economia, specie quella europea, alle prese con una diversificazione obbligata dei rifornimenti energetici e dei mercati di sbocco per la propria produzione, visto il ginepraio inestricabile di “sanzioni” unilaterali che hanno finito per danneggiare quasi soltanto chi le ha proposte e imposte.

Inevitabile, dunque, che anche la giunta nazi-golpista di Kiev cominci a sentire in giro una certa aria di “disimpegno” dopo oltre un anno di giuramenti sull’”appoggio incondizionato fino alla vittoria” e mentre diventa intollerabile – soprattutto per la popolazione locale – una guerra impostata per continuare “fino all’ultimo ucraino”.

Un segnale importante del “malessere” – diciamo così – dei vertici di Kiev è stato ravvisato nell’intervista rilasciata pochi giorni fa da Mikhail Podolyak alla televisione di stato, in cui ha avvertito gli “alleati”: “Se l’Europa smette di fornire armi all’Ucraina, scoppierà una guerra in altri paesi. Il numero di attacchi terroristici in Europa aumenterà in modo significativo. In generale, in Europa non ci sederemo più nei ristoranti e non mangeremo più croissant in sicurezza“…

continua qui

 

 

 

 

L’azzardo scelto da Vladimir Putin “il Temporeggiatore” – Giuseppe Masala

“E non è solo il successo che insegna, il successo è il maestro degli stolti, ma anche la strategia razionale.“

 Quinto Fabio Massimo Verrucoso Il Temporeggiatore

Credo che non sia azzardato sostenere l’idea che con il nuovo tour europeo di Zalensky (prima Roma, poi di filata Berlino, Parigi e Londra) si apra una nuova fase della guerra in corso in Europa. A Berlino l’ucraino ha ottenuto un nuovo “pacchetto di assistenza” da ben 2,7 miliardi di euro (il più grande concesso dalla Germania fino ad ora) e comprendente 20 BMP “Marder”; 30 Leopard 1 tank. 4 sistemi di difesa aerea  IRIS-T-SLM, 200 droni da ricognizione UAV, 100 veicoli corazzati da combattimento per la fanteria, 100 veicoli di supporto logistico, 18 obici semoventi. Anche Macron non è stato da meno, parlando di aiuto “senza tabù” e promettendo l’addestramento di piloti ucraini ad usare gli aerei occidentali. Da segnalare sempre a proposito della Francia della possibile consegna di missili da crociera aria terra SCALP-EG (Système de croisière conventionnel autonome à longue portée), all’Ucraina.

La notizia degli SCALP è fino ad ora anticipata da alcuni giornali dell’est Europa, ucraini e russi. Ma è chiaro che se si iniziano ad addestrare piloti si vogliono consegnare anche aerei e che a quel punto è ovvio che daranno anche le armi per armarli. La Gran Bretagna a tale proposito si è già portata avanti con il lavoro consegnando all’Ucraina i suoi Storm Shadow, che sono l’equivalente britannico degli SCALP francesi e che anche nell’ultimo incontro tra Zalensky e Sunak è stato concordato un ulteriore nuovo pacchetto, contenente anche centinaia di droni d’attacco.

Ciò che in generale emerge da questa tornata di incontri di Zalensky con i leader europei è che l’Occidente è pronto a ricostruire l’esercito ucraino per la quarta volta nel caso in cui la ormai mille volte annunciata manovra d’attacco di Kiev si infrangesse sulle linee russe. Evidentemente la guerra deve andare avanti a tutti i costi.

C’è però un piano della guerra più nascosto, meno plateale, meno mediatico, ma che secondo me chiarisce le intenzioni di entrambe le parti in conflitto.

Trovo di particolare interesse la notizia che un Su-35, un Su-34 e due Mi-8 russi sono stati colpiti e abbattuti sopra la regione russa di Bryansk in un attacco ben pianificato con missili terra-aria e forse qualche genere di sistema di guerra elettronica. I piloti degli elicotteri ed un aereo sono morti. I Su-35 e i Su-34 sono tra i fiori all’occhiello dell’aviazione militare russa e il loro abbattimento non è assolutamente possibile con strumenti aerei convenzionali ucraini. E’ chiaro ed evidente che sono stati abbattuti con qualcosa di molto più sofisticato e moderno, come qualche versione moderna dei sistemi Patriot americani o dei sistemi italo-francesi Samp-T. Sistemi antiaerei questi dei quali abbiamo la certezza che siano operativi in Ucraina perchè ce lo hanno raccontato le varie gazzette della Nato (1). Peraltro a proposito di questi potentissimi (e costosissimi, quasi un miliardo di euro cadauno)  sistemi d’arma è davvero difficile credere che siano direttamente usati da personale ucraino addestrati in pochissimo tempo, quando in realtà sono strumenti che necessitano di personale ad altissima specializzazione e addestrati per anni. Molto più probabile che ad usarli siano personale italiano o francese senza mostrine e assoldati formalmente come mercenari.

Un altra  notizia da leggere in controluce è la dichiarazione del Direttore della Nato Stoltenberg: “Se gli alleati della NATO, in particolare quelli di grandi dimensioni, inizieranno a fornire all’Ucraina garanzie di sicurezza su base bilaterale, saremo vicini ad (applicare) l’articolo 5”. In altre parole Stoltenberg ha detto apertis verbis che la creazione di coalizioni di volenterosi (si è sempre parlato di Gran Bretagna, Polonia e dei suoi stretti alleati baltici) porterà ad essere molto vicini all’entrata in guerra di tutta la Nato.

Per rafforzare il concetto diretto al Cremlino, la Nato ha abbattuto nei cieli russi il Su-35 e il Su-34, come a dire, “possiamo annientare la vostra aeronautica e una volta ottenuto il dominio dei cieli possiamo giocare al tiro al bersaglio con il vostro esercito di terra, esattamente come abbiamo fatto in Iraq e in Jugoslavia, pertanto vi conviene ritirarvi e accettare il piano di pace Zelensky”. Ovviamente tutta la strategia della Nato si basa su un dogma fondamentale: la Russia non userà mai le armi nucleari. Che è poi, ciò che Biden dice da prima dell’inizio della guerra.

Dal mio punto di vista i russi hanno mangiato la foglia, e non avendo nessuna intenzione di accettare la sconfitta hanno congegnato un’altra strategia: quella del temporeggiare. Ecco, come si spiega la lentezza negli avanzamenti russi. Ciò che interessa alla Russia è non alzare il livello dello scontro. Evitare accuratamente qualsiasi azione che possa causare l’intervento della Nato e conseguentemente un allargamento del conflitto. E ciò è evidente dal fatto che i russi continuano a mandare avanti la fanteria leggera della Wagner e dei ceceni, tanto a Mosca sanno bene che uno sfondamento complessivo del fronte servirebbe solo ad allungare le linee di rifornimento e a rischiare un intervento della Nato, quindi meglio temporeggiare, demolire l’esercito ucraino comunque riarmato e aspettare che la crisi economica e monetaria occidentale faccia il suo corso. Potremmo dire che la strategia di Putin è quella del Temporeggiatore.

Certo, è una strategia pericolosa, perché più l’occidente sarà attanagliato da una crisi di vasta portata e più sarà tentato dall’entrare in guerra per sbaragliare la Russia e impossessarsi delle sue  ricchezze. Qui sta il pericoloso azzardo del Cremlino. Di quello ancora più pericoloso degli sciagurati pazzi della Nato è meglio evitare accuratamente anche di parlare.

 

(1) La Stampa, Ucraina, ecco i Samp/T: cosa sono e perché possono garantire un salto di qualità nella guerra, 15 Maggio 2023.

 

(2) Nato, “Conversation between NATO Secretary General Jens Stoltenberg and the Founder and Chairman of the Alliance of Democracies Foundation Anders Fogh Rasmussen at the Copenhagen Democracy Summit”. 15 Maggio 2023

da qui

 

 

Il teatrino dei mercanti di armi – Loris Campetti

Giorgia Meloni, cappello d’alpino in testa, sente “odore di Patria” con la maiuscola e con la penna bianca, lo sentiva già indossando il berretto della Marina militare durante la visita alla nave “Carabiniere”. Odore di Patria, quale fratello o sorella d’Italia può dire di non sentirlo nel giorno della festa oltre che degli alpini della mamma, dato che la Patria è la madre di tutte le mamme?

Benito La Russa propone il ritorno a una leva non proprio obbligatoria ma fortemente consigliata, magari una mini-naja per «consentire, a chi lo vuole, di partecipare alla vita delle forze armate e realizzare il loro desiderio di onorare la Patria». I giovani, quelli nelle tende davanti alle università o quelli che la laurea l’hanno già conquistata ma sono dovuti andare a Londra o a Parigi per lavorare ed essere pagati non con un voucher, non sognano altro che onorare la Patria con la maiuscola, non prima di aver provato l’emozione di partecipare alla vita delle forze armate.

Guido Crosetto, dismessa la divisa da mercante d’armi (per usare un’espressione cara a Papa Francesco), e indossata quella da ministro della difesa (chi non capisce la differenza tra le due funzioni come il fisico Rovelli è in cattiva fede, cioè un putiniano), con un decreto ad hoc istituisce il Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della difesa, un think thank finalizzato a «cambiare la percezione» delle armi naturalmente difensive e a «far conoscere l’entusiasmo, la passione e la dedizione del personale della difesa». Un modo sicuro per «tutelare la correttezza del dibattito pubblico». In poche parole, per liberarlo dagli sproloqui dei finti pacifisti che non capiscono il valore morale di mitra, cannoni e missili ma in realtà sono solo putiniani camuffati. Di conseguenza, per tutelare il dibattito pubblico, del Comitato fa parte il fior fiore di giornalisti tipo (transit iniuria verbis) Gianni Riotta, impegnati nel formulare liste di intellettuali, scienziati, giornalisti, attori politicamente scorretti perché sono contro la guerra, peggio ancora contro tutte le guerre.

Piazza del Popolo, che è il salotto buono di Roma con la chiesa di Santa Maria del Popolo ricca di opere di artisti, scultori, architetti, pittori come Caravaggio, Pinturicchio, Carracci, Raffaello, Bramante, Bregno, da un po’ di tempo ha cambiato look e alterna a emozionanti esposizioni di armi e mezzi bellici dell’esercito, aerei da combattimento dell’aeronautica militare. Oltre che di Giorgia Meloni con il berretto adeguato al tipo d’arma esposta, è diventato luogo di visite speciali di semplici cittadini con il sogno americano di avere almeno un mitra sotto il cuscino e un obice in giardino, e innocenti scolaresche. Si può salire su un aereo e simulare una battaglia stellare, oppure su un’autoblindo e fingere uno scontro vittorioso con l’autoblindo nemica per il tempo necessario a un selfie in tuta mimetica. Un’emozione decisamente più virile della visita alla chiesa di Santa Maria del Popolo.

Del resto, perché tutto questo disprezzo verso le guerre e verso le armi? Da Belgrado in poi dovremmo aver capito che le nostre guerre sono umanitarie mica disumane e le nostre bombe intelligenti mica fesse. Si può dire che sono atlantiche. Aggrapparsi alla Costituzione per dire che dobbiamo ripudiare la guerra è strumentale. Anzi, si potrebbe fare una piccola modifica alla Carta fondamentale dello Stato (meglio dire Patria, quella che emana l’irresistibile odore che inebria Giorgia Meloni): «L’Italia ripudia le guerre non umanitarie» e di conseguenza anche le bombe non intelligenti. Come suggerisce in modo neanche troppo subliminale il titolo d’apertura di Repubblica – che ben conosce il valore morale di mitra, missili e cannoni – di domenica 14 maggio: “Le armi italiane salvano vite”. Proprio così recita.

È ingiusto accusare la neo-segretaria del Partito democratico Elly Schlein di abiurare il suo pacifismo delle origini visto che oggi sostiene l’invio di armi a un paese in guerra. In realtà, Elly ha solo frainteso i contenuti di una vecchia canzone cara alla sinistra estremista: «Cosa vuoi di più compagno/ per capire/ che è suonata l’ora/ del fucile». Evidentemente tra i dischi della segretaria non c’è quello che diceva «Buttiamo a mare le basi americane/ cessiamo di fare da spalla agli assassini».

da qui

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *