I primi della lista, cinema anni ‘70

di David Lifodi

Italia anni ’70, piazze piene, lotte sociali in espansione, la nuova sinistra ed il movimento studentesco sulla scena, ma anche trame nere e repressione di stato: è in questo contesto che si dipana I primi della lista, un film gioiellino del cinema indipendente che ha come regista, al suo esordio, Roan Johnson, un pisano-londinese.

Pisa in quegli anni vive il fulcro della contestazione e, proprio da una storia vera, trae spunto il film, ripercorrendo l’avventura di tre giovani, legati alle esperienze di movimento, che decidono di fuggire nella “liberale” Austria per chiedere asilo politico angosciati dall’imminenza di un colpo di stato in Italia. Non si tratta di una pellicola dedicata a ricostruire da un punto di vista storiografico gli anni ’70, quanto di una commedia che intende mostrarci uno sguardo sull’Italia di allora attraverso la lente d’ingrandimento di tre ragazzi protagonisti di un episodio reale, una strampalata fuga fuori dall’Italia di cui per mesi parlerà tutta Pisa. Il Gismondi e il Lulli (si chiamano così tra loro, con l’articolo ed il cognome) sono due studenti che dovrebbero prepararsi all’esame di maturità, ma fanno parte di un collettivo extraparlamentare e, più che allo studio, si dedicano a suonare alcune canzoni protesta sociale per entrare nel giro di Pino Masi, cantautore di movimento vicino a Lotta Continua. Proprio Masi, mentre i due ragazzini stanno provando al suo cospetto “La Ballatadel Pinelli”, decide all’improvviso che bisogna fuggire immediatamente. Alcuni giornalisti gli hanno riferito che a giorni sarà in atto un tentativo di golpe militare: i militanti della sinistra extraparlamentare saranno i primi della lista ad essere schedati o arrestati. I timori sono fondati. Solo pochi anni prima, nel 1964, il generale De Lorenzo aveva preparato un colpo di stato con il Piano Solo, nel 1969 la polizia aveva sparato e ucciso a Battipaglia (per la chiusura di un tabacchificio) e ad Avola durante uno sciopero di braccianti, poi la bomba di Piazza Fontana ed il volo di Pinelli da una finestra del quarto piano della questura di Milano. E ancora: nel 1970 i moti di Reggio Calabria guidati dalla destra e a dicembre dello stesso anno il fallito golpe organizzato dal principe Junio Valerio Borghese, proveniente anche lui dall’estrema destra. I tre si mettono quindi in viaggio su una scassata A112 di proprietà del Lulli (con grande orrore dei suoi genitori) verso il confine: “Prendiamo la macchina del Lulli e si va alla frontiera, se il golpe non c’è s’è fatta una gita”, dicono i fuggiaschi. Arrivati alla frontiera con l’Austria i ragazzi decidono di forzare il blocco della polizia, poiché non hanno i documenti in regola, e chiedere asilo politico. Superato il confine pensano di essere al sicuro, ma vengono sbattuti in prigione. In una serie di esilaranti equivoci i fuggitivi si rendono conto in breve tempo che l’Austria non darà loro l’asilo e che in Italia non c’è stato alcun sovvertimento militare in quei giorni. Pino Masi, interpretato da Claudio Santamaria, non si capacita, al pari di Lulli e Gismondi (Francesco Turbanti e Paolo Cioni, al loro primo film), e i tre capiscono presto di aver commesso una stupidaggine: “Tre coglioni” è il commento del babbo del Gismondi (il film è caratterizzato da un riconoscibile accento pisano), mentre i ragazzi cominciano a pensare alle prese in giro che dovranno subire quando torneranno nella loro città. D’altro canto le paure del Masi erano giustificate: se è vero che la presenza di truppe incontrate dai ragazzi ad una stazione di servizio, mentre sono diretti al confine era dovuta alla tradizionale parata militare del 2 Giugno a Roma e non ad un golpe in atto, è altrettanto vero che le trame per ordire un colpo di stato erano realmente in corso. Lo stesso editore Giangiacomo Feltrinelli, solo qualche anno più tardi, temeva complotti della destra, tanto da fargli ipotizzare un legame tra Junio Valerio Borghese ela Rosadei Venti, da cui deriverà l’arresto di alcuni ufficiali dell’esercito.

Pur trattandosi di una (tragi)commedia con caratteri surreali e stralunati, il film resta in bilico tra umorismo e realismo ed ha il pregio di raccontare quegli anni’70 che troppo spesso molti cercano di far dimenticare.

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