I santoni dell’informazione

Si sottostima la gravità della crisi nel dire che c’è solo una pesante responsabilità dei giornali nel clima d’ignoranza che intorpidisce questo paese. Si tratta di complicità vera e propria. Prendi i referendum ad esempio: parlando con le persone in fila con te per il pane o dal medico ti rendi conto che quasi tutti ormai pensano che di sicuro non si terranno più. Questa manipolazione, nemmeno sofisticata, a cui assistiamo oltre che dalle colonne di quei quotidiani della famiglia che finisce in oni da quelle delle corazzate “progressiste”, parte dallo stato d’ignoranza di chi scrive il singolo articolo e arriva alla voluta deformazione della realtà dei gruppi proprietari dell’informazione in Italia.

Persino Giorgio Bocca è arrivato pochi giorni fa a lamentarsi in un’intervista di come sul suo giornale, Repubblica, devi arrivare ogni giorno almeno a pagina venti per leggere qualcosa di diverso dalle cronache del puttanaio di Arcore. Situazione che crea una complicità che un tempo avremmo definito oggettiva, non Olgettina, con ogni respiro del potere. Spariscono i morti sul lavoro e le guerre, spariscono Rom e immigrati, gli esteri in compenso sono venivano trattati neanche prima e quindi ce ne accorgiamo di meno. Il processo che porta a nascondere e deformare le notizie da molto tempo però non è più oggetto esclusivo delle ricerche di studiosi delle comunicazioni, ma interessa tutti i cittadini.

Se vi collegate con la pagina online di Repubblica capirete in parte come si forma materialmente questo processo di decadimento dell’informazione. Sul sito del giornale di De Benedetti trovate il massimo della “trasparenza” di un giornale: la riunione della redazione filmata e proposta ai lettori. Cosa abbiamo oggi, chiede serafico Enzo Mauro al caporedattore di cronaca, che snocciola tutto serio il suo menù, o lo sport o la cultura (cha cha cha!). Sono tutti seri, molto educati, in maniche di camicia, ricordano un film sul giornalismo, Dieci in amore, protagonisti Clark Gable e Doris Day, anno di produzione 1958, mancano solo, nella redazione di Mauro, quelle simpatiche visierine sulla testa dei lynotipisti, ormai in soffitta, e gli elastici che tengono arrotalate le maniche dei redattori, per il resto c’è proprio tutto.

Mai uno screzio, mai un piccolo dissapore tra redattori, mai uno che aggiunga qualcosa alle notizie dell’altro, insomma: falsi come un biglietto da sei euro. Dal filmato si comprende che non è una ripresa in tempo reale, ci sono taglio e montaggio che assicurano una trasparenza “educata”, che non dia al lettore l’impressione che si stia faticando ma che invece si stanno facendo ragionamenti alti per il bene del paese. Insomma, con una simile struttura che sembra non prendere mai al volo la telefonata affannata di un corrispondente e dove non ci sono gli insulti del giornalista alla centralinista che gli ha passato per sbaglio un lettore indignato, hai visto mai che la vita vera scalfisca i sacerdoti dell’informazione al lavoro, l’errore è impossibile, filtrato attraverso mille canali e controlli. Efficienza e sobrietà.

Quest’ultima domenica però deve essere andato in tilt il microchip che contiene la memoria e l’efficienza di Repubblica. Nel riportare la notizia della morte di Sai Baba si è verificato un corto circuito di rara potenza e per colpa dei Beatles, pensa un po’! Recitava infatti il titolo: “Addio Sai Baba, guru dei Beatles, portò una generazione verso l’India“. Io non m’interesso tanto di religioni orientali, ma di quelle occidentali come l’idolatria per i Beatles sì, così, ricercando nella memoria mia e della rete, tramite google, ho avuto conferma che Sai Baba con i quattro di Liverpool non c’entrava niente. Il “santone”, che sequestrò due etti di Maria a un Paul McCartney esterrefatto e forse da allora irreparabilmente stranito con George Harrison che aveva avuto quella bella idea dell’India, era Maharishi Mahesh Yogy. E infatti Repubblica, quando era morto il Maharishi, il 6 febbraio del 2008 aveva fatto il seguente titolo: “Addio Maharishi, guru dei Beatles, portò una generazione verso l’India”.

Vorrei essere stato alla riunione di redazione il giorno dopo. Quella vera però.

ciuoti

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