Il breve volo di Stanley Weinbaum

di Gian Filippo Pizzo (*)

Quando fu pubblicato il racconto «Un’odissea marziana», nel numero del luglio 1934 della rivista «Wonder Stories», i lettori di fantascienza provarono un brivido. Di piacere: non si era ancora letto un racconto così avvincente e così brioso: il suo autore, Stanley G. Weinbaum, divenne subito un beniamino degli appassionati. Nell’editoriale il racconto veniva così presentato: «Questo autore ha scritto una storia di fantascienza tanto nuova e fresca da spiccare nettamente al di sopra di tutti i racconti di questo genere». E qualche fascicolo dopo, rispondendo a un’entusiastica lettera, il caporedattore Charles D. Hornig confessava:«La storia di Weinbaum ha già ricevuto lodi maggiori di qualsiasi altro racconto nella storia della nostra pubblicazione».

La fantascienza era nata non da molto, perché la sua origine – come genere narrativo popolare – viene fatta risalire alla pubblicazione della rivista «Amazing Stories» nell’aprile 1926, che aveva coniato il neologismo scientifiction (poi abbandonato in favore dell’odierno science fiction) e indicato i parametri da seguire affermando di volersi ispirare alle opere di Giulio Verne, Edgar A. Poe e H. G. Wells. Ma già otto anni dopo le riviste si erano moltiplicate e tante altre – dedicate più genericamente all’avventura, al mistero o al fantastico – avevano preso a pubblicare regolarmente fantascienza. Gli appassionati erano quindi già numerosissimi, ma tutti furono concordi nel giudicare «Odissea marziana» il più bel racconto di SF (abbreviazione consueta di science fiction) apparso fino a quel momento.

Anzi, il racconto mantenne questo primato ancora per qualche anno, almeno fino a quando non iniziò il periodo chiamato “l’età d’oro della fantascienza”, che si protrasse dal 1938-39 al dopoguerra (per qualche studioso arriva fino al 1950, quando la SF muta quasi radicalmente pelle sulla base degli sconvolgimenti politici, economici e sociali provocati dalla Guerra Mondiale). Quel periodo vide infatti l’opera del direttore di «Astounding Science Fiction» John W. Campbell, che pretendeva dai suoi autori una maggiore plausibilità scientifica, e soprattutto l’esordio e poi la consacrazione dei maestri del genere, i vari Isaac Asimov, Ray Bradbury, A. E. Van Vogt, Robert A. Heinlein e altri.

Un’ulteriore conferma della validità di quel racconto è data dal fatto che viene ristampato ancora ai giorni nostri. Per dirne una, in Italia arrivò solo nel 1963 su un numero di Urania, ma da allora è apparso sia in antologie miscellanee che in raccolte dedicate a Weinbaum altre nove volte, l’ultima delle quali nel 2012. Ed è significativo notare come abbia anche suscitato l’interesse di H. P. Lovecraft, che era molto critico verso la fantascienza di quel periodo:«Ho notato con piacere che almeno qualcuno è riuscito a sfuggire alla rivoltante banalità in cui è avvolto il 99,99% di tutte le storie interplanetarie pubblicate nei pulp. Qui c’è una persona in grado di pensare ad un altro pianeta in termini diversi da monarchi antropomorfi e belle principesse e battaglie di astronavi e cannoni a razzi e attacchi da parte di subumani pelosi della zona della “faccia oscura” o della “calotta polare», ecc. ecc. Egli sa immaginare situazioni, psicologie ed entità totalmente aliene, escogitare eventi coerenti prodotti da motivi del tutto alieni ed evitare i melodrammi di bassa lega in cui sguazzano tutti gli scrittori di avventure pulp. Qua e là appare un tocco, un elemento solo in apparenza trito, ma presto diventa ovvio che l’autore l’ha introdotto unicamente per sottoporlo a una briosa satira. Il tocco leggero non diminuisce l’interesse delle storie e una “suspense” genuina viene assicurata senza i trucchetti da quattro soldi adoperati dalla maggioranza degli autori. Credo che i racconti di Weinbaum ambientati su Marte siano i migliori che abbia letto, specialmente quelli in cui figura quell’essere curioso e simpatico di nome Tweerl».

Lovecraft coglie esattamente il punto. La novità di Weinbaum è sapere immaginare un ambiente diverso, incomprensibile, veramente alieno, cioè estraneo al nostro sentire. Non i mostri insettoidi o rettiloidi che tentano di invadere il nostro pianeta, non gli extraterrestri antropomorfi – anche se magari di colore verde o blu, alti più di due metri o solo cinquanta centimetri – che emulano i nostri atteggiamenti più negativi. Il Nostro mette in campo psicologie comportamentali e situazioni che non hanno niente di umano e che per l’esploratore spaziale Jarvis sono assolutamente indecifrabili. Lo sono per lui, che tenta di ritrovare codici linguistici e di comportamento analoghi ai nostri, ma non lo sarebbero se si potesse guardare la faccenda dall’altro lato, dalla parte degli alieni. In effetti – e qui in fondo sta l’essenza del racconto, il vero motivo del suo successo – la creatura marziana di cui in qualche modo diventa amico (o almeno sodale), una sorta di uccello chiamato Tweerl, riesce invece a comprendere il terrestre e ad aiutarlo contro gli altri esseri marziani, sia pure solo a livello epidermico, senza cioè che si crei un vero rapporto fra le due razze.

A tutto questo si univa una notevole capacità affabulatoria, il riuscire a raccontare una storia ottimamente concepita in modo coerente e con uno stile fresco, immediato, veloce e tuttavia descrittivo, con personaggi ben delineati anche se psicologicamente non approfonditi (d’altra parte con quell’idea di base sarebbe stato impossibile dotarli anche di spessore). Si consideri poi che era una storia d’esordio, il primo racconto di SF scritto dall’autore, e qualche difetto poteva essere e fu perdonato.

Da quel momento Weinbaum cominciò a pubblicare racconti con regolarità, ma senza eguagliare il suo scoppiettante esordio. Come disse Picasso «nulla è peggio di un inizio folgorante». Ma è comprensibile: forse qualunque dei suoi racconti, se apparso per primo avrebbe provocato lo stesso effetto, ma di primo ce ne può essere uno solo. Le sue storie sono comunque sempre gradevoli, di buon livello, e reggono alla lettura ancora adesso, anche se magari da lettori più smaliziati le troviamo ingenue. No, non ingenue: candide, e ciò aggiunge oggi un pizzico di fascino in più. Peccato che la sua carriera sia durata così poco.

Stanley Grauman Weinbaum era nato il 4 aprile 1902 a Louisville nel Kentucky, da una famiglia di ebrei provenienti dall’Europa centrale, come il cognome fa agevolmente capire. Aveva studiato a Milwaukee e poi si era iscritto nel 1920 all’Università del Wisconsin, inizialmente a ingegneria chimica e in seguito a inglese. Lasciò l’università nel 1923, senza laurearsi (come un suo compagno di studi poi divenuto famosissimo, l’aviatore Charles Lindberg, come lui stesso racconta nel breve “sketch autobiografico” che pubblichiamo in appendice) perché, secondo una diceria, aveva sostenuto un esame al posto di un amico e in seguito era stato scoperto (peraltro, la leggenda aggiunge che aveva superato brillantemente l’esame pur non avendo studiato la materia). A questo punto decise di tentare la carriera di scrittore ma, a parte qualche poesia, riuscì a pubblicare solo nel 1933 il romanzo rosa «The Lady Dances», sotto lo pseudonimo di Marge Stanley, nato dall’unione del nome della moglie con il suo. Pare senza molto successo, visto che ci ha lasciato altri otto romanzi d’amore rimasti inediti.

Ma Weinbaum era anche un assiduo lettore di fantascienza e a Milwaukee frequentava un circolo di aspiranti scrittori che comprendeva persone poi diventate famose, come Robert Bloch, Ralph Milne Farley (con il quale collaborò per alcuni racconti) e Ray Palmer, più tardi divenuto redattore in capo di «Amazing Stories». Naturale quindi che si rivolgesse anche a questo campo, tentando subito la strada del romanzo: ne scrisse tre nella seconda metà degli anni Venti ma senza riuscire a pubblicarli (sarebbero apparsi postumi). Provò perciò con opere più brevi, come abbiamo visto, pubblicandone una dozzina fino al momento della sua prematura morte nel dicembre 1935, mentre un’altra decina di racconti sarebbe apparsa nei mesi successivi, sempre su riviste pulp quali «Amazing», «Wonder Stories», «Astounding Stories», «Thrilling Wonder». La sua scomparsa, avvenuta per un cancro ai polmoni inizialmente curato come una polmonite, rattristò profondamente i lettori.

Weinbaum potè godersi la sua fama per meno di diciotto mesi, ma questa crebbe con il passare degli anni, con la continua ristampa delle sue opere. Dopo «Odissea su Marte» il suo racconto più noto è «Adattabilità» del 1935, che ebbe una versione radiofonica nel 1949, ben tre televisive nel 1949, 1952 e 1955 (la versione più fedele al testo scritto è quella della serie «Tales of Tomorrow» nel 1952, intitolata «The Miracolous Serum») e da cui fu tratto nel 1957 un mediocre film diretto da Kurt Neumann, «She-Devil». Incidentalmente, il racconto somiglia molto a quelli del ciclo di van Manderpootz – di cui diciamo più avanti: basterebbe cambiare il nome dei personaggi e qualche dettaglio minore e rientrerebbe in pieno nella serie.

«Adattabilità» è completamente diverso da «Odissea marziana» e dalla maggior parte dei racconti apparsi fino a quel momento, quasi tutti di tipo spaziale, ambientati su Marte, Venere, Urano, Nettuno o Plutone (che, non dimentichiamolo, era stato scoperto da pochissimo, nel 1930) e tutti basati sulla descrizione di ambienti ostili, con flora e fauna estremamente pericolose e alieni decisamente estranei. In questo caso abbiamo invece una storia terrestre, in epoca contemporanea o in un futuro molto prossimo, che racconta di un esperimento scientifico che comporta, oltre all’adattamento all’ambiente, una modifica della personalità di una ragazza, la quale diventerà un’assassina. Per inciso, proprio perché così diverso e temendo di scontentare i lettori già abituati alle sue storie planetarie, il racconto apparve con lo pseudonimo di John Jessel (nome del nonno di Weinbaum) che fu poi usato anche per «L’isola di Proteo». Un buon esempio della versatilità di Weinbaum che ci conduce a evidenziare quali sono le caratteristiche salienti della sua narrativa.

Intanto una grande fantasia, una capacità di speculazione che lo porta ad immaginare non solo creature misteriose e paesaggi straordinari, ma anche innovativi esperimenti scientifici e macchine tecnologicamente avanzate, fino all’evoluzione della società del futuro.

In secondo luogo – si è già detto – la capacità di raccontare storie in maniera avvincente e che coinvolgono il lettore. Certo, la sua scrittura è molto veloce e questo porta, in alcuni punti, a salti logici nelle trame e nei dialoghi (a volte come se mancassero pezzi, il che è assolutamente possibile considerando la natura delle riviste popolari a cui collaborava, spesso carenti dal punto di vista redazionale) ma sono difetti su cui si può sorvolare. Il tocco leggero e un certo umorismo di fondo riescono a mitigare questo aspetto. E poi sottolineiamo il fatto che le sue avventure finiscono quasi sempre bene… un po’ di ottimismo non fa mai male.

C’è poi un romanticismo sempre presente, sia in senso più lato come approccio alla vita e all’avventura, sia in senso più stretto, cioè erotico e sentimentale. Nei suoi racconti non manca quasi mai una donna: la compagna del protagonista che affronta con lui tutti i pericoli, la ragazza che viene conquistata alla fine di una complessa vicenda, l’eroina negativa con cui è impossibile avere un rapporto, la fanciulla dei sogni che si manifesta nei modi più disparati (quasi sempre tecnologici). Abbiamo già visto come egli abbia scritto diversi romanzi rosa, e questa propensione alla romanticheria non poteva non riflettersi anche nella SF.

Infine, una grande attenzione al dato scientifico, evidentemente frutto non solo dei suoi studi universitari ma di un costante aggiornamento in materia. Weinbaum non lesina le spiegazioni scientifiche nei suoi testi e pur trattandole a volte quasi di sfuggita le inserisce in maniera appropriata. Si tratta certo della scienza come era conosciuta negli anni Trenta, carente soprattutto per quanto riguarda l’astronomia, ma siamo sempre un passo più avanti rispetto a quella che era la conoscenza del lettore o dell’uomo medio. L’autore disquisisce con cognizione di fisica, di astronomia, della teoria einsteiniana, di matematica, di statistica e teoria dei numeri, di ottica, di biologia, di teoria evoluzionistica, in particolare di chimica e biochimica, ma anche di economia, psicologia e filosofia, e le sue elaborazioni sulla fauna e sulla flora degli altri mondi sono ecologicamente ed etologicamente molto verosimili. Ed è importante notare come sappia integrare le varie discipline rendendo coerente tutto il contesto.

A fronte di ciò – si è detto anche questo – c’è uno scarsissimo approfondimento sulla psicologia dei personaggi, ma qui siamo in linea con la produzione popolare della narrativa di quel periodo, che privilegiava le idee e la trama rispetto ai personaggi, e dalla quale non sono esenti altri grandi della SF a partire da Isaac Asimov. I suoi eroi – che siano i personaggi principali o le “spalle” degli scienziati di turno – sembrano fotocopie l’uno dell’altro: giovani, brillanti, non belli ma fascinosi, un po’ ingenui ma non stupidi, pieni di iniziative e capaci di azioni. E perennemente innamorati.

In conclusione si tratta di uno scrittore per molti versi in anticipo rispetto ai suoi tempi. Asimov, che pare si fosse perso il fascicolo di «Wonder Stories» del luglio 1934, scrive: «ma Il pianeta dei parassiti, nel numero successivo, mi colpì con la forza di un maglio e mi trasformò immediatamente in un adoratore di Weinbaum»; e quando in seguito lesse «Odissea marziana» sostenne che era «una opera in perfetto stile campbelliano prima di Campbell». Otto Binder, scrittore allora in auge, scrive in un tributo postumo apparso su «Startling Stories» nel gennaio 1939: «Era sufficiente incontrare Weinbaum per capire perché scrivesse buoni racconti. Gli feci visita a Milwaukee, in un giorno d’estate, e trascorsi uno dei pomeriggi più interessanti della mia vita. La sua conoscenza della scienza era straordinaria e molto aggiornata. La sua riserva di idee per nuove storie sembrava inesauribile. La sua immaginazione piena di forza». Aggiungiamo che le sue figure femminili non erano solo di contorno come usava allora nella narrativa di consumo e che le sue estrapolazioni economico-sociali sembrano anticipare la social science fiction degli anni Cinquanta.

Insomma uno scrittore valido che ha lasciato un segno nella storia della fantascienza ma anche della cultura in generale, tanto è vero che nel 1973 al suo nome fu dedicato un cratere del pianeta Marte.

Visto tutto ciò, ci siamo sempre chiesti come mai in Italia non siano stati pubblicati tutti i racconti, tanto più che da qualche anno le opere sono libere da diritti. Esistono alcune raccolte dedicate a Weinbaum, tutte basate su «A Martian Odissey», ma tranne l’ultima sono esaurite da tempo: «Un’odissea marziana» (Libra, 1982) contiene tutte le storie interplanetarie; «Un’odissea marziana e altre storie» (Nord, 2001) arricchisce la precedente con altri racconti; «Odissea marziana» (Delos, 2012) si limita al racconto omonimo e al suo seguito, «La valle dei sogni». Il resto di quanto apparso nel nostro Paese, anche se ristampato più volte, è disperso in antologie miscellanee e riviste.

Da qui la decisione di colmare la lacuna e presentare gli inediti, dovendo purtroppo escludere ancora i romanzi «The New Adam» e «The Mad Brain» (per motivi di spazio) e un paio di racconti scritti in collaborazione con altri autori. Ma il resto c’è tutto: «Volo su Titano», che abbiamo scelto come titolo del volume, è una sua classica avventura spaziale nella falsariga di altre apparse da noi e non inferiore a queste (anzi!); si tratta della prima avventura della coppia di sposini innamorati Ham Hammond e Patricia Burlingame che compare anche ne «I mangiatori di loto» e ne «Il pianeta del dubbio»(che non inseriamo in questa raccolta perché abbiamo preferito privilegiare i più introvabili). Il brevissimo «Il grafico» è solo un scherzo ma divertente. Il racconto più lungo, «Il dittatore», quasi un romanzo breve, si svolge in un futuro in cui gli Stati Uniti sono diventati una tirannia e anticipa dunque tematiche che diventeranno consuete solo nel dopoguerra. A queste, per dovere di completezza e per presentare un aspetto da noi sconosciuto della sua attività, abbiamo aggiunto un racconto non di fantascienza ma poliziesco, «Il verde bagliore della morte»: una commedia gialla scritta in tono leggero (ma il morto non manca) e con un plot ben congegnato.

Inoltre abbiamo deciso di ripubblicare, ritraducendoli, quattro racconti, due dei quali avevano avuto una sola edizione italiana, non erano stati inseriti nelle antologie sopra citate ed erano indisponibili da troppo tempo, addirittura dalla metà degli anni Settanta: «L’isola di Proteo» (leggibile come un seguito ideale all’«Isola del Dottor Moreau»di H. G. Wells o meglio ancora come un’anticipazione degli ogm) e «Cerchio uguale zero» (altro racconto che, come «Adattabilità», potrebbe far parte del ciclo di van Manderpootz: il professore ha molti punti di contatto con quest’ultimo, così come gli altri protagonisti, le “spalle” dei due scienziati). Gli altri due sono apparsi in Italia in tempi più recenti, ma si trovano in due diverse raccolte frammisti a racconti di altri autori e ci è sembrato necessario accorparli: «Gli occhiali di Pigmalione» è una sorta di science fantasy piuttosto ingenua ma con una bella descrizione di un mondo “altro”; «L’orlo dell’infinito» è un racconto che in realtà l’autore aveva scritto solo per il divertimento della moglie e non era destinato alla pubblicazione in quanto sarebbe stato considerato un plagio (e lo è) del racconto «The Tenth Question» di George Allan England apparso su «All-Story Weekly» nel 1915: solo per errore la moglie lo consegnò ai redattori di «Thrilling Wonder» dove apparve postumo.

Per finire, dovendo inserire l’ancora inedito terzo racconto della serie di Haskel van Manderpootz, «Punto di vista», abbiamo deciso di ripresentare anche i due precedenti in modo da avere, per la prima volta in Italia, i tre racconti insieme. Questo ciclo merita alcune parole in più perché tratta una figura che avrebbe avuto più di un seguito nella letteratura e nel cinema: quella del mad doctor, lo scienziato pazzo. Se l’origine del carattere è quello tragico del barone Frankenstein, capostipite di una serie di scienziati cattivi, con Weinbaum la “pazzia” va intesa più in senso buono, come stranezza o eccentricità. Van Manderpootz è un matematico tronfio ed egocentrico, che inventa macchinari improbabili e strabilianti, non privi di singolare genialità (e le spiegazioni che Weinbaum mette in bocca al suo personaggio sono davvero irresistibili), il cui uso non corretto porta però a conseguenze dannose e impreviste. Una visione ludica della scienza, che ispirerà il personaggio di Gallagher de «I robot non hanno la coda» di Henry Kuttner (1952) come pure il Professore Matto dei film con Eddy Murphy o il Taylor di «Flubber» (con vari seguiti e remake disneyani) e di cui Weinbaum può vantare la primogenitura.

Con racconti come questi il divertimento – ci auguriamo che i lettori siano d’accordo – è assicurato!

(* ) Questo testo è l’introduzione alla raccolta «Volo su Titano» di Stanley Weinbaum – che contiene racconti inediti e introvabili – recentemente pubblicata da Fratini Editore e acquistabile esclusivamente sul sito http://www.fratinieditore.it.

 

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